Il poeta che compendia e riflette le contraddizioni, le inquietudini degli anni Cinquanta è Ennio Flaiano: un non-poeta, uno sceneggiatore, uno scrittore di epigrammi, di pseudo poesie, uno scrittore di non-romanzi, o meglio, di romanzi mancati, «ridanciano, drammatico, gaglioffo, plebeo e aristocratico» come egli ebbe a definire Il Morgante di Luigi Pulci. «Perché io scrivo? Confesso di non saperlo, di non averne la minima idea e anche la domanda è insieme buffa e sconvolgente», scrive Flaiano, poeta lunatico, irriverente, un arcimbolodo antidemagogico, antiprogressista, anti marxista e anti borghese, personalità assolutamente originale che non può essere archiviata in nessuna area e in nessuna appartenenza letteraria. Personaggio tipico della nuova civiltà borghese dei caffè, che folleggia tra l’erotismo, l’alienazione, la noia dell’improvviso benessere. Con le sue parole: «In questi ultimi tempi Roma si è dilatata, distorta, arricchita. Gli scandali vi scoppiano con la violenza dei temporali d’estate, la gente vive all’aperto, si annusa, si studia, invade le trattorie, i cinema, le strade…». Finita la ricostruzione, ecco che il benessere del boom economico è già alle porte. Flaiano decide che è tempo di mandare in sordina la poesia degli anni Cinquanta, rifà il verso alla lirica che oscilla tra Sandro Penna e Montale. Prova allergia e revulsione verso ogni avanguardismo e verso la poesia adulta, impegnata, seriosa, elitaria. Ne La donna nell’armadio (1957) si trovano composizioni di straordinaria sensibilità e gusto epigrammatico con un quantum costante di intento derisorio verso la poesia da paesaggio e i quadretti posticci alla Sandro Penna, le punture di spillo alla poesia di De Libero:
Quando la luna varca la città
Da levante a ponente
Io la guardo e mi piace
La sua pallida puntualità.
*
Su carta gialla un inchiostro viola
su giallo, odio una sola speranza
sulla speranza un sole giallo splende
sulla speranza che rimane sola.
*
L’orto dei frati era l’orto del lupo mannaro
Dietro la siepe trovarono disteso il morto.
La luna si specchiava nel pozzo dell’orto.
Il freddo era quello dei bambini.
E la campagna, quella che io ricordo.
È paradossale che sia proprio Flaiano l’autore della poesia più moderna e sofisticata dell’Italia degli anni Cinquanta che inizia la sua corsa al Moderno; colui che aveva in orrore la trivialità dell’Italia degli scandali e delle speculazioni, è costretto a invertire la rotta della sua intelligenza e a occuparsi dei ritagli, degli accidenti della visibilità, dei dettagli, delle fraseologie da ricettario, ad assumere un tono assertorio-derisorio, interrogativo-irrisorio e blasé da intellettuale sorpassato, antiquato, non à la page; nel suo stile fa ingresso, per la prima volta nella poesia italiana, lo stile delle pubblicità, delle didascalie da autobus, delle fraseologie da sussidiario e da educazione civica.
Leggiamo da L’almanacco del pesce d’oro (1960):
Chi apre il periodo, lo chiuda.
È pericoloso sporgersi dal capitolo.
Cedete il condizionale alle persone anziane, alle donne e agli invalidi.
Lasciate l’avverbio dove vorreste trovarlo.
Chi tocca l’apostrofo muore.
Abolito l’articolo, non si accettano reclami.
La persona educata non sputa sul componimento.
Non usare l’esclamativo dopo le 22.
Non si risponde degli aggettivi incustoditi.
Per gli anacoluti, servirsi del cestino.
Tenere i soggetti a guinzaglio.
Non calpestare le metafore.
I punti di sospensione si pagano a parte.
Non usare le sdrucciole se la strada è bagnata.
Per le rime rivolgersi al portiere.
L’uso del dialetto è vietato ai minori dei 16 anni.
È vietato aprire le parentesi durante la corsa.
Nulla è dovuto al poeta per il recapito.
Per un caso davvero singolare, la migliore e più evoluta poesia degli anni Cinquanta la si ritrova nell’autore che con più circospezione e tenacia ha esperito ogni tentativo per allontanare da sé il pericolo di presentarsi con l’etichetta di «poeta». In sostanza, Flaiano mette in scena la sua personale avanguardia: una sorta di retroguardia sistematizzata, in giacca e cravatta, dandystica, contro tutto ciò che il Moderno propina con le sue mode, la rivoluzione televisiva, i suoi abiti firmati, con i suoi miti letterari (Arbasino, Bertolucci, Penna, Moravia etc.), ed i suoi riti apotropaici.*
* da Dalla lirica al discorso poetico. Storia della poesia italiana (1945-2010) Roma, Edilet, 2011 p. 40 € 16
da La donna nell’armadio (1937)
Quante cose guardiamo in realtà
Che non valgono il tempo d’esser viste.
questo si chiama: l’infelicità.
*
Una parola, un’altra parola,
Un’altra parola.
Come il pensiero vola avanti
E uccide la parola al passaggio!
Il poeta dice no alla verità.
Egli ne ha un’altra più rara – ma solo metà.
L’altra metà,
Che il poeta non ha,
La sanno soltanto i morti –
Nell’Aldilà.
Ma non la possono dire.
Qui tutto il loro morire.
da Una e una notte (1959)
La funzione è finita
L’organo suona Bach,
E il Cardinale, ossequiato,
Riparte in Cadillac.
*
Chi disprezza sarà sempre ammirato,
Compra e rivende, spesso viene comprato,
Batte le mani il pubblico a chi sputa
Per aria. Ma aiuta il Cielo chi da sé s’aiuta.
da L’Almanacco del pesce d’oro 1960
Sublime attesa
Canzone-fox di Anonimo Flaiano
Ho letto con ritardo
Lolita e il Gattopardo.
Così passai l’estate
tra speranze infondate.
Perché non scrivi più?
Mi abbandoni anche tu?
L’inverno si fa avaro
e il ricordo più amaro.
Tempo ne ho d’avanzo:
sto scrivendo un romanzo.
Io t’aspetto quassù.
Vieni quando vuoi tu.
Penso alla primavera
e a una vita più vera.
faccio pittura astrale.
verrai alla «personale»?
Se mi lasci anche tu,
Io non resisto più.
Leggo e scrivo poesie,
appunti, cose mie.
il suicidio ho tentato.
Niente. M’hanno salvato.
Io non t’aspetto più.
Fa’ quello che vuoi tu.
*
Il gatto di Moravia sta facendo le fusa,
arriva e se lo mangia il Gattopardo di Lampedusa.
Autunno romano
Ritornano i giorni puntuali
col loro accento sul’ì.
Ritornano i mesi, i secoli uguali.
telefoniamoci, vuoi! Lunedì.
Scambio di persona
Il poeta Arbasino, gentile e documentato
Dormiva nella biblioteca del Senato.
Passò il presidente e disse: Questo è Arpino.
– No, replicò il poeta, sono proprio Arbasino.
I male informati
Quest’anno è andata male al poeta Bertolucci,
Gli hanno tolto il premio Nobel per darlo a Carducci.
Cronaca di Roma
Il dramma dello scrittore realista:
i suoi personaggi perde di vista.
Uno è in galera. Un altro frega il socio
e scompare. Il terzo si mette con un frocio.
Ragguagli manzoniani
Sai chi ho incontrato a Ponza?
La monaca di Monza.
Stava con il suo amico,
il Cardinale Federico.
Tutto da rifare
Sale sul palco Sua Eccellenza,
Esalta i valori della Resistenza,
S’inchina a Sua Eminenza.
da Inediti di noto anonimo abruzese (1959)
“Souvenir”
Mino, ricordi la Marcia su Roma?
Io avevo dodici anni, tu ventuno.
Io in collegio tornavo e tu a Roma
guidavi la squadraccia dei Trentuno.
Mino, ricordi? Alle porte di Roma
ci salutammo. Avevi il gagliardetto,
il teschio bianco, il pugnale tra i denti.
Io m’ero tolto entusiasta il berretto
e salutavo tra un gruppo di studenti.
Mino, ricordi? Tu eri perfetto
nella divisa di bel capitano.
Io salutavo agitando il berretto.
Tu andavi a Roma, io andavo a Milano.
Lettera del commesso viaggiatore
*
Un tempo commettevo l’errore
di partire con la macchina per scrivere.
Oggi non credo al mio rancore,
porto il necessario per vivere.
*
Lunga la noia che mi sostiene
nei paesaggi visti dal treno!
Bieca la noia della notte che viene
nelle strade, a stomaco pieno.
*
Colme di ipotesi restano le città,
i desideri hanno un prezzo infamante.
È intollerabile, la verità –
se ti scopre da casa distante.
A proposito del «Marziale» di Cesare Vivaldi
Lettera a Bilbili
Non ritornare, Marziale, resta nella tua Bilbili.
Roma è rimasta sempre quella palude d’un tempo,
ma una realtà senza luce offusca il riso alla satira
e l’impotente epigramma affonda nella brodaglia.
Un mondo ha finito di vivere quando il poeta va via.
Risposta di Bilbili
Tutta la sana provincia è già una fogna ulteriore:
il puzzo della metropoli vi arriva fresco di stampa.
Lamento della luna e dintorni
Rimane sempre alta sull’orizzonte, poveraccia,
bella a vedersi così, senza impegno.
Ma non andarci, figliolo, evita la delusione.
Erbacce, un vento di desolazione, barattoli.
Bella,sì, nella sua putrefazione.
All’alba, larve di filosofi in fila
e cani che vanno frettolosi
verso un destino da intellettuali.
EPIGRAMMI anni ’40
Disse un ermetico – triste e splenetico
– M’ami, o pio Bo?
Rispose pratico – quel problematico
– Sì. Ma. Però.
*
Pastonchi annunzia un’opera di mole
La lingua batte dove il Dante duole.
*
Fa Matacotta
Poesia scotta?
Non vi capisco,
A luci spente
Vi garantisco
Ch’è proprio al dente.
*
Guardare la radio spenta
Chiudere la televisione
dormire un poco al cinema
questa è la mia passione.
(1950)
Ho molto amato il suo romanzo “Tempo di uccidere”.
GBG
« La parola serve a nascondere il pensiero, il pensiero a nascondere la verità. E la verità fulmina chi osa guardarla in faccia.»
(Ennio Flaiano, Un marziano a Roma)
Ma la parola è l’unico mezzo ad esprimere il nostro pensiero, se le togliamo la sua funzione di rivelare il pensiero, quale altro mezzo abbiamo, il grugnito?
Quasi fosse la Medusa mitologica!
beh, insomma, il film “La grande bellezza” ci racconta quello che è diventata la Capitale. Io ci vivo, ma un po’ come un estraneo, un po’ come un marziano (come ci viveva Flaiano, ma all’epoca c’era la civiltà dei caffè dove ci si vedeva tra intellettuali, adesso… c’è un deserto di mediocri letterati pomposi, vanitosi e spregevoli). La capitale è il volto marcio di un paese anch’esso marcio. Non saprei, di recente mi hanno chiesto se questa decadenza non sia poi in fin dei conti favorevole per la poesia. A questa domanda non saprei cosa rispondere… in verità io preferirei una città un po’ più civile e un paese un po’ più civile… poi, sai, la poesia è una cosa molto sotterranea… e oggi ci sono problemi collettivi drammatici, una crisi economica drammatica, una classe politica che riflette drammaticamente quella mediocrità che ha invaso il Paese. È accaduto qualcosa di simile alla invasione dei barbari. Siamo fermi al 410 dopo Cristo, alla invasione di Goti di Alarico dell’Italia e del sacco di Roma. Il sacco di Roma è già avvenuto, sotto i nostri occhi, e i cittadini romani non se ne sono neanche accorti…
“… mediocri letterati pomposi, vanitosi e spregevoli”
Qualche anno fa, in un pregevolissimo Blog ora non più esistente per motivi tecnici, ho subito gli strali di uno di costoro. Quello che mi ha fatto più male è: “donnetta provinciale”.
Non era nemmeno un giudizio sulla mia poesia (asciugacapelli?) ma su di me come donna, anzi, perché donna e perché residente in una cittadina di provincia. Rimpiango la mia città natale, Piacenza, che tuttavia era ed è un poco provinciale, ma non mi rammarico affatto di non essere nata a Roma.
Giorgina Busca Gernetti
gentile Giorgina Busca Gernetti,
evidentemente quel signore che l’ha definita così si è magnificamente autodefinito. Evidentemente lui si crederà un «grand’uomo» e, per di più, anche delle due capitali del paese! Del che non c’è nulla di cui menare vanto. Si può essere provinciali anche abitando al Colosseo. O a San Babila.
O a San Pietro. (Pardon io ho qualche difficoltà a districarmi tra tutti questi santi)
Grazie, Giorgio Linguaglossa!
Giorgina BG
Mi chiedo se Flaiano abbia poi pagato quell’anarchia di voler vivere in piena libertà, senza alcuna catena di militanza che la propria anticonvenzionalità di sguardo. Anche Guareschi era uno di quei “testoni” che il mondo non piegava a nulla, ad esempio. Ma quello stesso mondo rifiutato fatto di potere, di conventicole etc etc, si è poi vendicato gettandoli fuori dalla memoria critica?
gentile Meth,
la “memoria critica” come lei chiama il Golem che decide chi resta nella memoria di un paese e chi no, non sono i piccoli letterati o i piccoli professori che stilano gli indici dei libri di scuola e dell’università, ma sono i lettori intelligenti, cioè coloro che sono interessati a leggere ciò che di eccellente l’umanità ha prodotto in una lingua in un determinato periodo storico. non c’è dubbio che nella poesia italiana degli anni Cinquanta quella di Flaiano brilla per separatezza ed eccellenza di stile. Certo, la “memoria critica” dei letterati pensa per filiazione, per appartenenze, per corrispondenze.. ma con lo scorrere del tempo queste, diciamo, corrispondenze si assottigliano, fino a scomparire… e allora i veri valori riemergono, come dire, dall’oblio. Certo, più un paese cade in basso più è incapace di distinguere tra valore e disvalore o non-valore. Ed è quello che succede ora.
Ma io ho fiducia nel futuro, se non proprio quello prossimo, almeno quello venturo.
L’ha ribloggato su La distensione del verso.