Rossella Frollà, “L’amico sconosciuto. Biografia di un amore”. Nota di lettura di Gabriella Cinti

Il libro (Interlinea Edizioni, 2023) sembra tracciare un’epistola elegiaca e memoriale attraverso una trama poetica che annoda sentimenti e ricordi, in un fluire che è carsico quanto catartico, in quanto ridisegna una resistenza ontologica alla rapina dell’assenza. Il lirismo caldo e armonico, dai toni a volte sbarbariani, che trattiene felicemente un empito di per sé dilagante, libera una parola poetica come una tela di nuova essenza sprigionata dalle maglie del vissuto. Davvero singolare e fascinoso come la natura, l’esperienza in toto, siano investite da una intimità del sentire grazie alla quale Rossella Frollà veda per noi il mondo da dentro, faccia capolino dai fiori e dagli alberi, come una Ninfa poetica in simbiosi con l’universo fisico. Mi vorrei soffermare su questa seducente osmosi tra il dentro e il fuori, intrecciati a doppio filo in questo testo. Vi è di più. Non solo si evince un tributo d’amore struggente per questa natura, ma vi leggiamo una densa e singolare sacralizzazione della sua sapienza superiore. Rossella è lei la voce dell’”ombra che tace“, perché illumina il canto di paradossali agnizioni: come quella espressa in un “buio che mi permette /il risalire la luce“, in un nucleo oculare declinante una diversa visione nell’ascolto che ricrea le fattezze del mondo e in qualche modo lo rigenera.

Raro dono, come quello dell’alta poesia, di trascendere le vicende individuali in un tributo metafisico a una creaturalità espansa che sopravvive allo straziante distacco fisico.

Pur muovendo da una sottesa invocazione a un amato interlocutore-baricentro del libro e dell’animo dell’autrice, il cui “passo è già/ nel punto più lontano” , la narrazione elegiaca illumina “quel bagliore/ sugli argini di quel poco/ che rimane“, e sentiamo tangibilmente la grazia delle “forme pazienti che/ sanno raccogliere il sole”, questa tenuta esistenziale nella permanenza della parola, canto e testimonianza al contempo.

Quindi, questa presenza-assenza che apre orizzonti interiori – “ogni tu ancora/ per distanze nuove” -, sembra combaciare con una natura come fondamento vitale, accolta come segno elettivo “nella bellezza del dono/ che non si spegne”.

Un’armonia raggiunta per metamorfosi incandescente di dolore che, giunta al punto estremo, forgi una nuova anima rinata per ospitare la luce come una stella in fronte.

Il libro si dipana tra diverse tessiture espressive e – nelle parti più specificamente narrative – sviluppa un affresco sinestetico memoriale carico di colori e sapori.

La grande storia si intreccia alla piccola storia con naturalezza e familiarità. Pervade le pagine un’onda di affabulazione lirica in cui, anche qui, ritroviamo come cifra tematica dell’opera e del pensiero dell’autrice, la toccante sinergia per cui la natura penetra nel profondo le vicende individuali.

Tra la realtà, il paesaggio, la storia vi è un continuum unico che tutte le scioglie in un canto rammemorante.

Raramente si assiste a tale densità fusionale davvero sinfonica tra uomo e natura.

Non si tratta solo di un alto e struggente grado di empatia naturistica, ma di una attenzione molecolare, quasi quantistica, ai dettagli del mondo sublunare, in cui spicca una botanica assunta a categoria ontologica. Vi cogliamo una evoluzione ulteriore, un investimento ancora più profondo del ruolo di privilegiata interlocutrice che pure la natura riveste per l’autrice.

Vi si respira la stessa abbandonata autenticità dei fiori, una promessa di gioia che si rinnova.

Questo assetto sensoriale e quasi organolettico delle percezioni dell’autrice, ha il potere di rendere viva la memoria per richiami olfattivi ma anche di costruirci un modello di consapevolezza estetica di rilevante valore antropologico, in grado di superare, in poesia, quella dicotomia natura civiltà che minaccia sempre più l’Occidente e il mondo intero. 

Gabriella Cinti

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