Tre poesie di Leonardo Sinisgalli da “L’età della luna”

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IL GUADO

Restano poche frasi,
le più turpi, e il sapore
delle unghie nella bocca.
Resta nella vita quest’afa
che ci soffoca, il tempo
insensato tra due estati.
Il torrente era carico di libellule,
le acque basse e rapide,
un solco tra due regni,
un confine, un segno.
Fu un sogno breve, sonno
di banditi, poi l’inverno, la neve,
la vecchiezza e i colpi alle reni
più fitti.

 

DENTRO IL BOSCO

Dentro il bosco perchè si lagna
il riccio della sua libertà?
Lo carezzo col calcagno,
lo schiaccio di tenerezza.

 

LAPIDE

Non è un orto
o un giardino
il cimitero
dove io sono sepolto.
E’ un luogo assorto,
un muro.
Ogni bene è scontato,
ogni debito pagato
e il nome tutelato.
Mio amico, fratello
contami i vecchi giuochi
il fumo, i fuochi antichi.
Prendi di me l’effigie,
le rughe, la fuliggine,
le lacrime, la ruggine.
Non è un orto
o un giardino
il cimitero dove io sono sepolto.
E’ un regno spento, muto.
Qui l’amore è perduto.
Qui la festa è finita.

Leonardo Sinisgalli

 

L’età della luna (1956-1962), Mondadori, Milano, 1962

“L’età della luna” è il libro più aperto, più nuovo, più alto di Sinisgalli; non basta, è uno di quei libri sintomatici che registrano, già nei risultati, un “nuovo corso” della poesia, e vi dà un impulso condizionante.

Giancarlo Vigorelli, 1962

Avremmo potuto soffermarci su una certa delicatezza di tocco, su una felice misura tra verso e capoverso, su un’intima coerenza estetica di Sinisgalli, abbiamo preferito parlare invece di quello che per noi è il motore della sua poesia: la sua reazione (capovolgitrice ma con cancellatrice) ai miti odierni.

Lamberto Pignotti, 1962

Nulla di più naturale in lui – per chi abbia seguito in profondità il senso della sua sconcertante avventura tra realtà e idealità, concretezza e astrazione, fedeltà al proprio cuore e dispersione nella ricerca, nella vita – di quella strenua professione di fede e amore nella poesia di recente ribadita, che potrebbe essere fraintesa come apologia della letteratura, della ragion poetica cristallizzata, dell’ars, se non trapelasse da ogni pagina del più recente Sinisgalli come un fastidio per ogni esperienza d’arte o di cultura passivamente accettata, un senso di nausea per ogni sapere saputo, congelato, meccanicizzato.

Alberto Frattini, 1963

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