Giuseppina Di Leo. Poesie scelte

giuseppina Di LeoGiuseppina Di Leo ha pubblicato tre libri di poesie: Dialogo a più voci (LibroitalianoWorld, 2009); Slowfeet. Percorsi dell’anima (Gelsorosso, 2010); Con l’inchiostro rosso (Sentieri Meridiani Edizioni, 2012); Il muro invisibile (LucaniArt, 2012). Alcune sue poesie, racconti e interventi di critica letteraria sono ospitati su riviste, su blog e siti dedicati alla poesia.

*
Le quattro pietre ancorate al mare sembrano sorelle,
quattro dita in tutto afferrano l’impossibile. Così, se tu temi
la luce vorrebbe dire dover lasciare l’uscio chiuso per
troppo ancora. Rimanda la paura. A dopo. E intanto
siediti. Resta. Con un gesto del piede allontana dunque
il pensiero dalla fronte, troppi angoli mostra il prisma,
troppi colori conta l’arcobaleno, nel sole i raggi
tanti quanti i visi. Lontano dagli sguardi serba il seme
per piantarlo all’uso del lunario, e di quel che resta
a me basterà l’odore delle cotogne e della paglia.

*
Nel sogno parlavo con i morti
e credevo morte le persone vive
un letto era aggiunto al mio letto
e lasciavo che altri
ultimassero il compito di saldarli.

Ti chiedevo infine:
«Cosa fai, hai ripreso i tuoi studi?».
Mentre una foto da giovane
rimandava la certezza delle forme
perdute della giovinezza.

Ci ritrovammo.
Alla foce di un fiume
tronchi d’albero ostacolavano
altre acque giunte al mare
serbavano parole d’azzurro velate
chiare pur confuse nella rena
senza dubbio apparivano
nel confondersi nel mare.

(gennaio 2007/2013)

*
Non chiamatemi Ismaele.
Là dove ha inizio Moby Dick
anche da noi la stagione è la medesima
un novembre torvo e umido.
Chiamami allora nel nome che senti a te vicino
tenere sembreranno le parole di scisto
cureranno l’ipocondria.
Il mare «al più presto possibile»
è il rimedio, il solo sostituto della pistola,
alla pistola frappongo la gomena.
Che pensi di noi? Vedi gli altri scomparire
desiderare nella fola dei pensieri
possedere «l’inafferrabile fantasma della vita»
il mare delle sempre grandi distese
attratte sono esse dalla luna.
Non commodoro né capitano o cuoco
ma semplice marinaio, una condizione
che «punge» a chi sollevato ha lo spirito.
«Ma anche questo col tempo si smussa».
«D’altronde, chi non è schiavo? Dimmelo».

*
Dopo un’intera notte a scrosci
il tuono saluta il paese alle sette di mattina
dietro a un cielo di nuvole color catrame
rannicchio la speranza in qualcosa di caldo
farebbe ben sperare se repentino
ritornasse il sole. Ma è inutile dilungarsi ora
sui lati del trapezio, se poco resta delle ore libere.
La verità è un agguato per chi crede
di aver tempo per pensarci. Non molto
solo apatia e una mail di dolore.
L’abbassamento della temperatura
ne è la conseguenza diretta.
Per vivere all’insegna della semplicità
meglio mantenersi all’erta
al centro preferire la periferia.
Nere malte nelle viscere del non-io.

*
Ispirata ad una poesia di E. A.

Nell’inquadro delle mani
la faccia di pietra posso vederla
saprò anch’io di che natura è fatta
se piange, se sorride o se la ferita
agli occhi resta più o meno simile
nella ripetuta alternanza dei tratti
di un comune mortale indispettito e solo.
Il solco nella mano richiama la via
aperta da una crepa lungo la casa
si inerpica sulla barriera del muro.
Oltre gli sguardi
corpi adolescenti trovano riparo
tra carezze confuse di fumaria
il sesso turgido reclama
il fiore schiude ali come labbra.

*
Da una sillaba in salita scende il suono delle campane
un interrogativo privo del batacchio, il finto scuotere
metallo. L’aria non sa reggere il tempo rimasto
sembra aver dimenticato, come un bimbo al quale
si nasconde il gioco, e questo piangere di pioggia
senza un’apparente ragione.
Ci sono poi le voci grasse spalmate sulle rovine
del giorno e notti inutili di sogni, prive di una vigilia,
più simili semmai a mitili vuoti o a note lontane
sui muretti a secco. Qualcuna ancora domanda all’altro:
«ti offendi? Ero venuta per vederti!». L’attesa di
tre giorni e trenta notti e nessuno intanto
che abbia aperto bocca.
Ma io dico parole a caso nell’elleboro.

*
Difficile credere che non sia un gioco
quello della vita spenta, insabbiata, finita
saper non aspettarsi dal cielo
l’estatica visione, e poter frenare
la tensione a una vita rimasta in bilico
nei volti prossimi a farsi dimenticare.

Cada pure il cielo in tanti piccoli tasselli
ma preferirei non parlare del cielo;
su tutto l’azzurro non conta niente.
Un cielo non aspetta la pioggia
non apre orizzonti, non fatica
per ritrovare l’alba nei giorni.

Cadrà la pioggia questa notte come sempre scenderà
cadrà e solleverà le paure senza conforto.

*
Foglia

Ti spalmo il mio profumo sul viso.
Nessuna meraviglia dunque che resti
dentro la voce; lì, nel contatto tiepido
di foglia con il mattino stanco di sole.

2009/ dic. 2013

*
La scelta di una condanna a vita
ci accompagna quotidianamente
insieme a nomi sconosciuti
uno dietro l’altro

i golem della violenza disponibili a non trattare
sostengono oggi il loro peso sulle nostre teste
durante un corteo bruciamo con essi
terrore e speranze e urla con inni di libertà

lasciateci marcire insieme tra questi fogli sparsi
non saremo noi gli ultimi a morire insieme al giorno.

(04.04.2013/ nov. 2013)

*
Mi sto imbottendo di noia
ne faccio scorta contro la stanchezza del corpo,
fisica dei poveri. Adagiati sui marciapiedi
con quattro zampe insieme da sfamare
con altri occhi con cui guardare il via vai,
il vai vai che passa senza posa. La sciarpa al collo
è un collare per stare fermi, nel gran movimento;
è una palla bucata che tintinna, di poco, ma tintinna
nello sfarzo del prossimo natale. La fine del mondo,
quando arriverà, ci coprirà tutti. E noi, infine nudi,
nella grande ciotola del mondo saremo il pasto.

(nov. 2011)

*
Nell’immediato il futuro
ci colpisce e scappa via.

(nov. 2013)

*
Un colpo di vento improvviso ferma la lettura.
È un avviso: è l’inizio del viaggio,
inviti a cogliere i frammenti, gli sprazzi di luce;
sono le 18,30 di un pomeriggio di agosto.
Il capitano è indaffarato e nervoso,
passa incarichi agli ufficiali mentre il cuoco
di bordo mette in caldo il pane per noi;
le sue mani sono dure come la corteccia di un albero.
Siamo qui
estranei a quanto sta accadendo
fuori
quasi e soprattutto il vento.

*
All’inizio del viaggio è andata così:
Odisseo torna ad Itaca,
la terra ed il mare finalmente riuniti.
Saremo amanti in terra e in cielo
non c’è scampo al bisogno di cercarsi.
Circe ti insegue, vuole la tua mano
è impaziente del tuo coraggio.
Troppe mani ti cercano, tienile in ultimo
per me sola, sposo, le tue mani.
Se non mi adotti resterò senza patria:
la mia patria sei tu:
Je renirais ma patrie, si tu me le demandais…
Così.
-«Quando ci vediamo?»
«Nulla! È lontano».

*
E il male nacque sul mare delle parole radicandosi
senza un discorso. Se lui tornava, la solita storia
eleggeva a racconto ogni volta.
Le sue imprese furono rena senza limiti
e una buona dose di volontà studiata.
Come oggi, ogni sera, Odisseo torna ad Itaca
con il silenzio chiuso nel cuore rispondendo
silenzioso al mare. La speranza, parlando gli aveva detto:
«Dovrai difenderti dalle sue arroganze e dalle tue
presunzioni», così rispondendo ad un urlato:
«Non posso adottarti!».
Ci sono parole peggiori? Certo ingiuste
furono le parole per un’estate calda come questa.

*
Ritmando, ritmando
versi nella polvere
seguitando verso il sole
l’ago che trafisse la mano
è ora una goccia rossa
sul telo candido
dove la traccia era un filo
la vena gonfia una vela appare
invocata come musa
sulla punta dell’ago
nel fascio intinto
il giovane rubino
contorna nella porpora
il volto ritrovato.

(agosto, 1997)

4 commenti
  1. i testi di Giuseppina Di Leo parlano di una idea di poesia, una idea che chiama in causa un grande numero di toni e di semitoni delle note del pentagramma, la prosa ritmica, la prosa spezzata, il parlato, il virgolettato dei dialoghi (impliciti e immaginari)… la poesia si costruisce così come si costruiscono i ponti e i viadotti, fatti per scavalcare i dirupi e le vallate, per congiungerli tramite un tratto rettilineo. Questi testi, dico la loro caratteristica, ci parlano di come la poesia sia un lavoro di costruzione, lenta, simbiotica, fatta di stratificazioni successive, di inserimenti e di ripensamenti, di caso e di necessità. C’è costruzione se c’è progetto.

  2. Fate caso a come l'”io” della Di Leo – al di là delle nicchie di buone intenzioni sapientemente illuminate – sia in grado di farsi storia di tutti , in cui tutti possono riconoscersi . Il “tu” e il “noi” si affidano all’acribia meno esibita ma altrettanto pervasiva di una espressività molto sua , molto ben distinguibile , certamente gratificante anche per il lettore più smaliziato .
    leopoldo attolico –

  3. Sono particolarmente grata a Giorgio Linguaglossa per avermi ospitato sul suo blog e aver dato così spazio a questi miei inediti, così come ringrazio Leopoldo Attolico per l’attenzione rivolta alla mia poesia.
    Nei loro commenti ritrovo il senso della mia ricerca, quella cioè di poter dire che il lavoro di scarto dovrebbe sempre presupporre la consapevolezza di ogni singolo elemento, vuoti e pieni inclusi. A conferma che percepire è distinguere.
    Giuseppina

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