Giorgio Caproni, il poeta più istintivamente congeniale ai sentimenti dei giovani del nostro tempo, di Donato Antonio Barbarito

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Giorgio Caproni, Livorno, 7 gennaio 1912 – Roma, 22 gennaio 1990

Il tema assegnato agli esami di maturità – anno 2017 – su Versicoli quasi ecologici, di Giorgio Caproni, ha suscitato una rinnovata attenzione sulla sua poesia. Cristina Taglietti (Corriere.it), per l’occasione, ha intervistato il critico Antonio Debenedetti, allievo e poi amico di Caproni. Insieme avevano frequentato il cenacolo culturale di suo padre Giacomo Debenedetti, il noto critico letterario. Nei versi di Caproni – dice – si può cogliere “una idea del mondo assolutamente nuova”, vicino “alla sensibilità del suo tempo e di oggi, sentimenti spesso travestiti di retorica”. Una poesia ricca di colori “che si può recitare nella testa in modo musicale, sonoro”. E’ “la stessa comunicatività che possono avere i cantautori come De Andrè e Paolo Conte”.  La musica, in effetti, era stata la sua prima passione, ereditata dai genitori: il padre sensibile alla musica classica, la madre suonava la chitarra. Aveva frequentato lezioni di composizione e di violino, interesse che venne meno a diciotto anni, per dedicarsi alla poesia in cui già da piccolo si era cimentato, anche su righi di spartiti musicali.
Tappe della sua vita: dopo l’infanzia di Livorno: la famiglia si trasferì, per lavoro, a Genova (1922 – 1929) – Quindi definitivamente a Roma, ove esercitava la professione di maestro, collaborava a varie riviste, traduceva opere di cui vanno segnalate “Il tempo ritrovato” di M. Proust, “Morte a credito” di I. Céline, “Bel Ami” di Maupassant, le poesie di G. Apollinaire. Fu critico letterario de “La Nazione”, che così lo ricordava il 7-1-2012: “Pochi come lui hanno saputo ritrarre, dando alle frasi l’impeto e l’armonia della pennellata, i colori del cielo e del mare, dei boschi e della terra…” Attraverso i versi di Caproni, “scarni, scolpiti più che scritti, riusciamo a vedere quanto prima ci sfuggiva.”
In effetti Caproni, con un linguaggio semplice, venato di lieve ironia e sfumata malinconia, (nel primo periodo con “versi” più distesi, poi in forma frammentata e netta) ci comunica contraddizioni, tensioni, alienazioni del nostro tempo. Un tempo in cui “Dio è morto”, (Nietzsche). Distaccato dal mondo, “ha smesso, per noi, di essere divino e di orientare la nostra vita”, e noi ci sentiamo soli, privati di guida sicura, estranei al mondo e alla storia. E’ la last long nigth di Heidegger“, la notte del mondo di Montale, in cui è immerso l’uomo contemporaneo. E il Caproni, che si alimenta delle loro opere, rifletteva sulla dolente condizione di spaesamento, di perdita dei rapporti con il Logos, con la storia e i suoi valori:

BISOGNO DI GUIDA

M’ero sperso. Annaspavo.
Cercavo uno sfogo.
Chiesi a uno. <<Non sono>
mi rispose, <<del luogo>>.

E ancora:

BENEVOLA CONGETTURA

Non mi ha risposto.
Gli ho scritto tante volte.
Non mi ha mai risposto.
Io credo che sia morto. Non penso
che si tenga nascosto.

Un intreccio di temi religiosi ed esistenziali che in Caproni non presentano accenti laici. Esprimono, invece, la drammaticità dell’esistenza contemporanea, dell’uomo privo di certezze, che vive la sua solitudine, la sua estraneità da un mondo privo di Luce. E nella figura del “cacciatore”, si mette in viaggio sulle tracce della Luce, del Logos e della Saggezza, del senso autentico delle cose. Finisce per ammettere di essere sempre rimasto fermo al proprio posto:

Esperienza

Tutti i luoghi che ho visto,
che ho visitato
ora so – ne sono certo:
non ci sono mai stato.

Il suo interesse si rivolge allora a sondare l’abisso privo di speranza. Dalla raccolta Il muro della terra in poi prende a scrivere il dramma, la sconfitta dell’uomo in cerca di senso e di salvezza e a disegnare in immagini suggestive, attraverso la struttura formale dei versi e un linguaggio netto con frasi frantumate, silenzi e spazi prolungati, la fine di ogni speranza, la riduzione di ogni cosa al Nulla. Anche la parola è qualcosa che nega e distrugge:

Il nome avvicina alla morte?
No. Il nome è la morte.

La parola è pura negazione, sottrazione:

IO SOLO

La Bestia assassina.
La Bestia che nessuno mai vide.
La Bestia che sotterraneamente
– falsamente mastina-
ogni giorno ti elide.
La Bestia che ti vivifica e uccide.

Io solo, con un nodo in gola,
sapevo. È dietro la Parola.

È il Caproni più frantumato degli anni settanta-ottanta, periodo in cui scrive la trilogia Il muro della terra, (1964-65) Il franco cacciatore (1973-82), in fine Il Conte di Kevenhüller e la postuma Res amissa, testi ritenuti i più belli della sua poesia e tra i più importanti di tutto il nostro Novecento. Eppure in questo mondo di tenebre, in cui sembrano affievolirsi valori e ideali, si intravedono fili di speranza e sprazzi luminosi che solo la poesia sa cogliere: ”..nell’ordine negativo” – che scorre nei suoi versi, nell’accertamento dell’inesistenza, interviene – scrive V. Cerami – “un palpito contrario, un moto impercettibile risalire dal fondo di tanto vuoto. La stasi è anche il movimento, il movimento che si riproduce:

<<Soltanto chi non partiva (io)>>.
Partiva in quel rimescolio>>

caproniÈ  la morte di Dio, ma è anche, attraverso il doppio senso scovato nella parola bugia, il guizzo, il bagliore superstite della verità rivelata ab antiquo ( Il Pastore). Il ritmo della vita è questo alternarsi di vuoti e sussulti di illusioni: dal nulla si sprigiona una certa energia. E “quel velo d’acqua, quel vetro nero in cui si perdono i colori della vita, stranamente rimanda immagini, ripropone con dolore presenze di luoghi, persone e incontri che furono nostri.” ((Vincenzo Cerami – nella presentazione di G. Caproni in “ I poeti italiani – 19” – supplemento “Unità” – 1993). “Le cose viste dalle crepe / sono enormemente più belle” – canta Luciano Nota. E’ nell’abisso del mondo che si intravede, “l’attimo che avviva la luce, / il colore”. “Un sorriso di speranza”.(Silloge “La luce delle crepe” -Edilazio Letteraria – 2016) . Nel 1998 la Mondadori – I Meridiani – pubblicava “Opera in versi” di G. Caproni -Introduzione di Vincenzo Mengaldo- (vedi recensione di Coletti, V., L’Indice 1998, n. 8) Nel 2016 la Garzanti raccoglie tutte le opere poetiche di Caproni, compresa Res amissa, pubblicato postumo nel 1991, con l’introduzione di Stefano Verdino che, fra l’altro, così scrive: “Il dato essenziale della modernità di Giorgio Caproni è quella sua particolare musica cui si deve la naturalezza con cui il poeta passa, senza mutar tono, dal quotidiano all’astratto, dal colore al disegno, dal colloquiale all’epigrafico, dal domestico al metafisico. Temi preferiti da Caproni sono il viaggio, la frontiera, le terre di nessuno con i loro paesaggi solitari e le loro rare apparizioni e la caccia, ossessiva, a un’imprendibile preda. Unico rifugio umano è proprio l’incerto confine tra il vero e l’immaginario, tra il certo e il possibile: anche l’Assoluto, se esiste, abita nell’ambiguità.”

Donato Antonio Barbarito

 

VERSICOLI QUASI ECOLOGICI

Non uccidete il mare,
la libellula, il vento.
Non soffocate il lamento
(il canto!) del lamantino.
Il galagone, il pino:
anche di questo è fatto
l’uomo. E chi per profitto vile
fulmina un pesce, un fiume,
non fatelo cavaliere
del lavoro. L’amore
finisce dove finisce l’erba
e l’acqua muore. Dove
sparendo la foresta
e l’aria verde, chi resta
sospira nel sempre più vasto
paese guasto: Come
potrebbe tornare a essere bella,
scomparso l’uomo, la terra.

Giorgio Caproni

4 commenti
  1. “(…) come accade nei giochi linguistici della “teologia negativa” di Caproni, dove il mondo capovolto richiede un linguaggio capovolto. Per tornare al senso vero delle espressioni , delle attese e del desiderio dell’uomo/poeta, bisognerebbe sopprimere tutte le negazioni, in fondo come si fa in matematica quando si semplificano le espressioni numeriche elidendo gli opposti; ho provato a ritornare alle provocazioni linguistiche, che mi son sembrate simili alle tue, di Caproni quando dice nel
    “Biglietto lasciato prima di non andare via”:

    “Se non dovessi tornare,
    sappiate che non sono mai partito.
    Il mio viaggiare
    è stato tutto un restare
    qua, dove non fui mai.”

    N.B.
    1- E’ Giacomo, Debenedetti, non Girolamo …
    2- Il brano è tratto da un lavoro critico di Rossana Levati su una mia poesia inedita.
    Gino Rago

  2. Gino Rago, ti ringrazio della segnalazione. A volte si pensa “Giacomo” e si scrive “Girolamo.
    “Le provocazioni linguistiche” del Caproni, riportate nel lavoro critico di Rossana Lunetti, su una tua poesia inedita, mi sembrano ispirate dallo stesso motivo del “viaggio”. Si intrecciano tra loro e si completano: parte per acquisire nuova “Esperienza” e ritorna deluso: “ora so – ne sono certo: / non ci sono mai stato”.

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