Tomaso Kemeny L’abcd della bellezza. A: Sulla futura bellezza del mondo

Tomaso Kemeny La sua “verità” il poeta lo può esprimere solo attraverso il mito; infatti attraverso le figure del mito si riesce a tenere insieme come in una costellazione, luce e ombra, bello e brutto, ricordo e oblio, voce e silenzio.

Monti, mari, fiumi, boschi, ruscelli, cascate, fiori (nonostante il diffuso inquinamento), nonché astri e costellazioni, corpi e volti umani ci permettono di distinguere diverse e specifiche manifestazioni della bellezza, manifestazioni la cui osservazione può permetterci di sciogliere indefiniti nodi problematici concernenti il senso della vita dell’universo.
Si tratta di forme di bellezza in mutamento e formazione nel tempo secondo meravigliose metamorfosi che caratterizzano non solo la morfologia della bellezza naturale, ma anche dello sviluppo dell’arte letteraria, figurativa, musicale e di tutte le attività creative di cui l’uomo si dimostra capace.
Il processo metamorfico, ma circolare, che caratterizza il nostro universo, fa presagire una evoluzione in grado di integrare nel presente il passato salvando il futuro dagli abissi dell’insignificanza. Si intende, come auspicabili, le trasformazioni della bellezza in grado di diffondere, nel tempo terrestre e storico, il prevalere delle etica del dono sull’etica del possesso.

B: La bellezza trionfa nel Rinascimento

William Shakespeare in “As you like it” (1599) pone la bellezza, nella sua manifestazione fisica umana femminile, come prima nella gerarchia delle tentazioni-desideri “Beauty provoketh thieves sooner than gold”, “la bellezza tenta i ladri più dell’oro”, dialogo tra donne Atto 1, Scena III.
Diciamocelo, la bellezza , un universale relativo, è di fondamento a tutte le civiltà. Lo riconosce Sigmund Freud quando osserva che il godimento della bellezza e in diversa misura inebriante, tantochè la civiltà non potrebbe farne a meno (S.Freud, Drei Abhanlungen zur Sexualtheorie, Vienna 1905). Essa, bellezza, come valore, varia in tempi e luoghi, si tratta di un valore eterno, ma mutevole, un universale relativo.
Sulle caratteristiche della bellezza femminile sono state versate cascate d’inchiostro nel rinascimento, in particolare a Firenze e a Venezia, basti ricordare, tra gli altri, Agnolo Firenzuola con il suo Dialogo sulla bellezza delle donne (Firenze 1548) e Nicolò Campani Bellezze della donna (Venezia, 1566). E se il dominio del “brutto” nel ventesimo secolo ha fatto scrivere a George Bataille che “l’essenza dell’istinto sessuale è l’insozzamento della bellezza “ in La mort et la sensualité(Parigi,1957), l’estetica del sembiante femminile sta a cuore persino a una intellettuale come Simone de Beauvoir, quando in Le deuxième sexe” (Parigi, 1947) scrive “occuparsi della propria bellezza, vestirsi con eleganza, è come un lavoro che consente alla donna di prendere possesso della propria persona”. Se è curioso ricordare come l’originale saggista Remy de Gourmont Physique de l’amour: essai sur l’istinct sexuel (1903, Parigi) affermi che “a rendere la donna più bella è il fatto degli organi sessuali invisibili”, Vernon e Margaret Coleman, inFace Values: How the Beauty Industry Affects You (San Francisco, 1981) ritengano necessario salvaguardare la “fragilità” della bellezza femminile con “il trucco: aiuta la donna a sentirsi meno vulnerabile”.
Ma è Giordano Bruno nei suoi De gli eroici furori”, stampati a Londra nell’officina di John Charlewood (1585) e dedicati al poeta “cavalliero” Filippo Sidneo ovvero Philip Sidney, che motteggiando i sospiri senza fine, i tremori, le malinconie, gli infruttuosi cortegiamenti in versi dei poeti tardo petrarcheschi, esalta l’originario splendore divino impresso nei volti e corpi femminili celebrando quell’impeto carnale amoroso che, attraverso la bellezza dei corpi, porta all’unione con l’infinito, ottenendo “quel beneficio d’amore” che riscatta il destino umano dalla finitezza. L’eroismo erotico include la morte nella vita, come si legge nelle parole di un personaggio nel primo dialogo degli “eroici furori”:

Mirami, o bella, se vuoi darmi la morte
del tuo grazioso sguardo apri le porte

opere di Giuseppe Pedota

opere di Giuseppe Pedota

in analogia con l’invocazione del poeta-drammatyrgo Ch. Marlowe, il cui Faust(in The Tragical History of Doctor Faustus,1589) implora Elena di farlo eterno con un bacio , “make me eternal with a kiss…” e precorre, intendo Bruno, il sintagma “profetico” di Cesare Pavese “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”.
Per Bruno peccaminoso non è il godimento carnale dei corpi, ma l’inappetenza trascendentale di chi non riesce a superare i limiti umani attraverso l’eros. Attraverso il furore eroico si esalta l’impulso a oltrepassare il piano dei corpi per vivere l’unità originaria con il divino.

C: Quale grande follia ? Quis tantus furor? (Virgilio, Georgica, 39-29 a.C, Libro IV, .494.495)

Euridice grida “Chi ha perduto me sventurata e te, Orfeo? Quale follia?” (“Quis et me miseram et te perdixit, Orpheus, quis tantus furor?”). Il sembiante bello è solo promessa di felicità, come osserva Stendhal(“La beautè n’est que le promesse de bonheur” in De l’amour,1822) si deteriora col tempo e si perde se non intessuta in altri valori epocali, promessa di felicità potrà venire mantenuta forse nella realizzazione di una concezione rivoluzionaria della bellezza. Come pensai alla morte di Andrè Breton (1966, 28 settembre), occasione in cui scrissi un poema(quando, 1968) dove ero sicuro che le lettere e e le arti ,nella prospettiva della Teoria Estetica (Torino, 1975) di Theodor Adorno, fossero castrate, dato che per il filosofo la bellezza nel contesto sociale dato non fosse che un falso valore d’uso teso a immettere il lavoro estetico nell’orizzonte delle merci contribuendo, in questo modo, a rafforzare l’ideologia dominante, riducendo le opere d’arte a livello delle pratiche gastronomiche e pornografiche. Dal mio poemetto 28 settembre 1966 (Milano, 1968) mi pare pertinente riportare un passo:

quando avrà un nome l’arresto del vortice
prodigioso
quando avrà sangue il mare d’argento
quando la morte saprà chi ha portato via nelle
sue ceste incestuose
allora nudo correrò nel vento
per sapere dove porta la via inesistente
per rispondere alla sfinge il nonsenso dell’esistenza
per tacere ai piccoli confessori di miserie
il mio contegno di erede di fallimenti
(ho scagliato nella forra la mia corona di ferro
e prigioniero di un orizzonte infernale
so che la mia vita è la più breve)
quando il colore dei tuoi occhi sarà il nulla
quando le grandi speranze saranno imbalsamate come cammelli
quando il rumore dei tuoi passi
romperà l’esilio dell’uccello di fuoco
quando l’aldiqua sarà una rosa disserrata a festa
e non ci sarà bisogno di ricordi per sentirci eterni
quando le parole avranno un eco nei cuori
quando la neve sarà un bosco in fiore
quando gli occhi delle ragazze
porteranno in vasi di porcellana i loro fragili fianchi
quando i bambini mentiranno per uccidere dio
quando la proprietà privata sarà un’orrida leggenda
quando coloro che fanno professione rivoluzionaria
sapranno salutare la bellezza

Al crollo dei regimi totalitari del ‘900 e al fallimento delle ideologie fondanti le speranze in un riscatto politico, tocca alle varie forme d’arte a rinnovare la percezione delle cose e delle azioni quotidiane guastate-corrotte dall’abitudine. E’ in gioco la vita reale, l’unica che abbiamo. In coloro che non sono insensibili all’energia eversiva diffusa sulla Terra dalla Bellezza, ogni giorno torna la smania di misurarsi con l’infinita circolarità del cosmo, nella prospettiva che tutto è ancora possibile, poiché tutto tende al ciclico. Ne consegue che quali che siano le condizioni imposte dal tempo storico, tutto ciò che finisce ricomincia secondo la meravigliosa trasfigurazione metamorfica dell’identico. E così anche la bellezza umiliata nell’effimero e nel decorativo tornerà un giorno a sfidare la volgarità dilagante e gli speculatori senza dignità, rinnovando lo splendore della ciclicità del mito. Così i poeti, artisti, filosofi devono uscire dalla scrittura per azioni simboliche, correndo il rischio del ridicolo, per svegliare i consumatori consumati quotidianamente.1295092419

Ricorderò tre azioni simboliche tese alla rinascita morale ed estetica dell’Italia : la prima accadde il 29-30 aprile del 1988 a Riccione; fu un evento dal titolo “La nascita delle Grazie”;
fummo in 6, Mario Baudino, Giuseppe Conte, Rosita Coppioli, Roberto Mussapi, Stefano Zecchi ed io a sostenere 19 tesi per la vita della Bellezza (Cf. Le avventure della bellezza,1988-2008, a cura di T.K., Arcipelago edizioni, Milano,2008). La seconda il 1° ottobre del 1994. Un commando di poeti ligure guidato da Giuseppe Conte e uno lombardo da me capitanato occupò la Basilica di Santa Croce a Firenze per un’azione dimostrativa (Cf. L’occupazione simbolica di Santa Croce, produzione & cultura, rivista bimestrale del sindacato nazionale degli scrittori, Anno VIII, n.3-4, maggio-agosto 1994). La terza azione vede l’occupazione della colle dell’infinito a Recanati, con mille poeti, artisti e cittadini mitomodernisti al grido “Fight for beauty!” il 17 marzo del 2011, in occasione dell’anniversario dell’Unità d’Italia(Cf. Recanati, l’Italia unita nella Bellezza,17marzo 1861 – 17 marzo 2011, a cura di T.K., Arcipelago Edizioni, dicembre 2011).
Nel 1994 nacque il movimento internazionale mitomodernista anche per reazione alla progressiva sdrammatizzazione e tolleranza del “brutto”, contro tutto ciò che impedisce la realizzazione di quella giustizia suprema, miticamente promessa dal “nostos” e dalla “parusia”, consistente del ritorno della Bellezza nel mondo. Se gli eventi più significativi e più grandi sono le idee, l’idea più grande è la bellezza che richiede-esige di portare a compimento lo splendore immanente nelle persone e nelle cose.
Per evocare il mito platonico di Er e gli eroici furori di Giordano Bruno azioni future potrebbero fondarsi su tre ER : sulla lotta Eroica contro i commissari dell’utile personale immediato e contro tutto ciò che avversa il numinoso, sulla lotta contro l’immoralità radicale assicurata dalle Bische delle Borse Valori. Sull’erotico: se non c’è morale che valga per tutti i tempi e tutti i luoghi, l’amore vero vede l’uomo e la donna avvertiti come fine e non come mezzo. L’amore è da considerarsi non come letale incantesimo che pietrifica il corpo desiderato, trasfigurato baudelairemente in “un sogno di pietra”, ma come scintilla in grado di trasfigurare l’indifferenza all’assurdo quotidiano nello splendore meraviglioso che aspira al bene collettivo. L’azione contro la demoralizzazione globale operata dall’Impero del Brutto, esige anche quella tensione ERetica che apra, al di là delle fedi istituzionalizzate, all’ascolto del sacro battito cardiaco della Terra Madre e del Cosmo.
Ci sono almeno tre modi di raffigurare ul rapporto della Bellezza col tempo: la bellezza come origine di un processo che dura “…finchè il Sole/ risplenderà sulle sciagure umane”(voce di Ugo Foscolo); come “una gioia per sempre la cui grazia aumenta, non finirà mai nel nulla”(voce di Keats). Come la prima parola composta di Finnegans Wake (vode di James Joyce), “riverrun”, che evoca un’idea di bellezza modernista che si manifesta nel “rhythmos”, termine che deriva da “rhein”, lo scorrere del fiume. Si tratta di una Bellezza che porta le stigmate del tempo, una Bellezza metamorfica che promette l’eterno ricominciamento lo “immer wieder” di marca poundiana.
Amo una Bellezza sconvolgente, che mette in questione il nostro rapporto con la vita e il mondo; il suo appello è l’origine di quella energia desiderante che ci spinge ad esprimerci al meglio di noi stessi. Essa apre nel tempo metamorficamente secondo un ritmo in grado di unire presente e passato, salvando il futuro dagli abissi dell’insignificanza.
Piacendo senza interesse, la Bellezza è in grado di fare rifiorire etica del dono, quella che nega l’amore come possesso, etica senza la quale muore la libertà del desiderio e che si oppone all’imbarbarimento nell’insignificanza ripetitiva.
Oggi la distanza necessaria alla contemplazione-creazione è resa domestica-anestetica dai monitor dei computer, dai display dei cellulari. Il pulsare dell’immenso cosmico in ogni granello di sabbia (vedi William Blake) viene perduto in immagini a due dimensioni che usurpano il “vuoto” necessario all’immaginazione. La stessa contemplazione notturna dei cieli, l’interrogare l’indicibilità dell’infinito tende a venire meno così come la cosmografia interiore che permise a qualcuno di pensare “il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me”. Potrei evocare innumerevoli tipi di “brutto”, ma preferisco, telegraficamente, dire che la bellezza è ciò che al mondo più manca.

C: (last but not least) Della libertà

La morfologia specifica del discorso poetico esige l’assoluta manifestazione del pensiero creativo ispirato. Al di là delle categorie di “conformismo” e di “anticonformismo”, di “consenso” e di “dissenso”, di “destra” e di “sinistra”, di “credente” e di “ateo” il poeta ,come tale, è sempre vigile nell’ascolto delle Muse. Il poeta ha come materiale a disposizione parole stuprate dall’uso e dalla comunicazione sociale; quindi deve trovare il coraggio di affrontare l’esilio imposto alle Muse e di attraversare il deserto in cui sono confinate. I lampi dell’immaginazione potranno essergli da guida per il ritrovamento delle Muse. E quando il suo canto si libera dall’evidenza del lavoro poetico, in quei rari momenti è festa grande e si assiste alla fusione del cielo e della terra, alla fusione del presente desertificato con l’oasi di un possibile futuro.
Se il poeta riesce a transumanare la propria voce, allora può guidare il lettore attraverso il proprio deserto epocale interiore. Al ritorno dal deserto gli uomini sapranno superare l’amore di sé impregnato di condizionamenti storico-culturali e con speranza e timore sapranno accostare il destino etico-sociale e cosmico di uomini liberati.
E essenziale che tutti i paesi, epoca e lingua abbia almeno un poeta perché la collettività non perda la percezione di un’identità di assoluta dignità e perché la lingua madre, massacrata quotidianamente, rinasca in quella bellezza formante che fonda lo splendore civile.
Oggi, la vita dominata da necessità tecnologico-burocratico-finanziarie assegna un ruolo titanico al poeta come a colui colui che con la sua energia immaginativa permetta ai cittadini di sentire a quale distanza si trovino dalla felicità e che li orienti a cogliere la bellezza nuova che li renda consapevoli di chi siamo e chi vorremmo essere, in che mondo viviamo e in che mondo vorremmo vivere.

Parole della Musa

La marea delle ore in gabbia sfida
in vortici
sempre più intensi
i disegni della natura
e il futuro si smarrisce in incubi virtuali.
Tu hai un unico dovere,
quello di sempre, non lo scordare:
porta le parole a sprigionare
il canto della terra che ruota
in un sogno di bellezza immortale.

Celebro la poesia

Celebro la poesia
che alle altre non somiglia:
scorre nelle vene azzurre dell’aria
per tingere di desiderio i cieli
e di gemme e di fiori incorona
la mai sazia d’amore.

Lei sola sfida il terrore senile
dell’avventura e accende il tramonto
a sospendere la lacrima stellata
della notte sovrana. Celebro lei,
la poesia che nel sangue germoglia
e ogni cosa decrepita muta
nella rosa di luce
che il mondo risveglia.

Preghiera

Vieni tu che sei incorporeo e sei tutti i corpi
Vieni gloria inespressa di tutte le cose
Non abbandonare la terra alla desolazione
sii la porta di tutte le nostre aurore

Sulla montagna calva dell’orgoglio ti disprezzo
Sono la chiave universale delle rivolte
Ma nella tela di ragno della sfrontatezza il mio cuore
Martella un salmo al tuo splendore

Per noi che dissipiamo la bellezza della natura
Per noi torrenziali nelle oscenità periferiche delle notti
Fai sbocciare i petali neri della musica oltraggiosa
Della santità incessante.

5 commenti
  1. “Il pulsare dell’immenso cosmico in ogni granello di sabbia (vedi William Blake) viene perduto in immagini a due dimensioni che usurpano il “vuoto” necessario all’immaginazione. La stessa contemplazione notturna dei cieli, l’interrogare l’indicibilità dell’infinito tende a venire meno così come la cosmografia interiore che permise a qualcuno di pensare “il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me”. Potrei evocare innumerevoli tipi di “brutto”, ma preferisco, telegraficamente, dire che la bellezza è ciò che al mondo più manca.”
    *
    “Il poeta ha come materiale a disposizione parole stuprate dall’uso e dalla comunicazione sociale; quindi deve trovare il coraggio di affrontare l’esilio imposto alle Muse e di attraversare il deserto in cui sono confinate. I lampi dell’immaginazione potranno essergli da guida per il ritrovamento delle Muse. E quando il suo canto si libera dall’evidenza del lavoro poetico, in quei rari momenti è festa grande e si assiste alla fusione del cielo e della terra, alla fusione del presente desertificato con l’oasi di un possibile futuro.”
    *
    I due passi precedenti, non unici in uno scritto tutto da gustare, apprezzare e condividere, sfociano naturalmente in versi come questi, prima strofa di “Celebro la poesia”
    *
    “Celebro la poesia
    che alle altre non somiglia:
    scorre nelle vene azzurre dell’aria
    per tingere di desiderio i cieli
    e di gemme e di fiori incorona
    la mai sazia d’amore.”
    *
    Ho avuto l’onore e la fortuna di conoscere personalmente il grande poeta Tomaso Kemeny, di cui ho ascoltato le poesie in alcuni Convegni e “reading” negli anni passati. Alla bellezza della poesia in lui si accompagnano l’umanità e la rara signorilità dell’uomo.

    Giorgina Busca Gernetti

  2. Personalmente apprezzo e stimo l’anelito alla Bellezza di Kemeny, Conte, Mussapi, Copioli e altri tutti del movimento mitomodernista i quali hanno avuto il merito, se non altro, di rimettere al centro del pensiero poetico la presenza di Erato (del Bello). Detto ciò, come ci spieghiamo che uno dei più grandi poeti del tardo Novecento come il polacco Zbigniev Herbert ci parla della bellezza attraverso la bruttezza di una città anonima e grigia come “Rovigo” che abbiamo pubblicato qualche giorno fa in questo blog?, com’è possibile che oggi i grandi poeti (e non solo Herbert) non riescono a parlare della bellezza se non prendendo lo spunto dalla grande bruttezza della nostra odierna società?, com’è possibile che non si può parlare della “Grande bellezza” come nel film di Paolo Sorrentino se non andando ad affondare il bisturi della rappresentazione sulla grande bruttezza del nostro mondo?.
    Ecco, questa è una cosa che vorrei evidenziare per avere una risposta da Kemeny o da altri. È questo un problema che mi sono posto anch’io e che mi pongo continuamente. Il fatto è che non riesco a rappresentare la bellezza se non attraversando la grande bruttezza del nostro mondo. È forse un mio limite?
    Alle questioni più propriamente filosofiche e teoriche della questione risponderò con un prossimo articolo su questo blog.

    • Forse la bellezza è un’ipostasi rovesciata della bruttezza, da cui siamo (o ci sentiamo) circondati; e quindi è aspirazione e astrazione. E dovunque ne cerchiamo, per somma e salvifica urgenza, qualche riflesso. Naturalmente partendo dal solo luogo possibile, che è la nostra quotidianità.

      Pasquale Balestriere

  3. Come si passa per Rovigo, metafora della bruttezza, per andare altrove a contemplare la bellezza, così la bruttezza del mondo in cui viviamo, dove anche la natura ha subito la nostra violenza e il nostro egoismo, è una “stazione” di passaggio verso una sperata rinascita della bellezza,
    GBG

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