Laura Canciani è nata a Cermes (Bolzano) nel 1934. Le sue radici profonde sono friulane. Vive a Roma. Ha pubblicato in poesia: L’aquila svolata (Forum, finalista al Premio Viareggio 1983), Da questi occhi (Il Ventaglio, Premio Donna Città di Roma, 1986), Il dono e la meraviglia (Amadeus, 1989), Un bouquet d’ombre (Biblioteca cominiana, 1994), Aperta all’infinito (Biblioteca cominiana, 1998), Lo stesso angelo (Fermenti, 1998), Reato di parola (Manni, 2004), Il contagio dell’acqua (Passigli, 2010). Ha vinto il Premio di Poesia Profezia, Cisternino 1998 e il Premio Renato Serra, Santa Severa 1991. Sue poesie sono state pubblicate in diverse antologie, tra cui «Storia dell’arte italiana in poesia», Sansoni, 1990; l’Altro (Centro Internazionale Alberto Moravia, 1995); Melodie della terra a cura di Plinio Perilli (Milano, Crocetti, 1997); La donna, gli amori a cura di Gabriella Sobrino e Antonietta Garzia, (Loggia de’ Lanzi 2001); Poesia degli Anni Novanta (Roma, Scettro del Re, 2000) a cura di Giorgio Linguaglossa, e riviste letterarie tra cui «Hortus», «L’Ozio», «Versicolori», «Pagine», «Poiesis», «Arsenale», «Poesia». Hanno scritto della sua poesia, tra gli altri, Eraldo Affinati, Amedeo Anelli, Maria Pia Argentieri, Domenico Alvino, Attilio Bertolucci, Maria Clelia Cardona, Pietro Cimatti, Carla De Bellis, Erri De Luca, Massimo Giannotta, Paolo Lagazzi, Gianfranco Lauretano, Maria Grazia Lenisa, Giorgio Linguaglossa, Dante Maffìa, Giuliano Manacorda, Mario Lunetta, Cesare Milanese, Renato Minore, Carlo Molari, Francesco Muzzioli, Noemi Paolini Giachery, Elio Pecora, Plinio Perilli, Ugo Reale, Francesco Rivera, Merys Rizzo, Aldo Rosselli, Vittorio Sermonti, Giovanna Sicari, Isabella Vincentini. Ha collaborato con la rivista «Poiesis» con testi critici sulla poesia contemporanea. Una trattazione estensiva della sua poesia è presente in Appunti Critici. La poesia italiana del tardo Novecento tra conformismi e nuove proposte a cura di Giorgio Linguaglossa (Roma, Scettro del Re, 2002), in Dalla lirica al discorso poetico. Storia della poesia italiana (1945-2010) del 2011e in Dopo il Novecento. Monitoraggio della poesia italiana contemporanea (2013), sempre a cura di Giorgio Linguaglossa.
Anna Albert
Degli Albert ricordo il cane nero, feroce
e bellissimo, il filo arrugginito lungo il quale
correva all’impazzata e abbaiava
Lei aspettava la lettera dal fronte
come un imputato la sentenza
Arrivò una busta:
«se maschio, è buono per Hitler»
Senza rumore al cimitero fu aggiunta una croce
*
Dalla sua angolazione il poeta vede
il muro ocra pallido con le finestre a sbarre.
Io invece vedo uno splendido squarcio di cielo
color genziana con le cime degli alberi
tempestate di gemme,
il ciliegio in fiore saccheggiato dalle api.
Ricordo di essere caduta nel canale sottostante
con la bocca colma di ciliegie
È lui l’angelo della fortezza e della contentezza
in viola
che mi tende le mani
L’acqua è venata di rosa
L’acqua è venata di rosa.
È chiamata Fontanarosa per il ferro puro,
quasi un pensiero puro
– al centro di un piccolo campo
c’è un ippocampo –
come toccante.
«Quali occhi quali parole sontuose ametista
o abbracci tesi spalancati sull’abisso del non so niente?»
Per automatismo interiore diranno che questo Amore
è di tutti
che è goccia e goccia convergente
che è tempo conico
– dalla fontana psichica
il vertice sfocia in molle fonde –
La velocità del tempo invia i suoi prolungamenti
fortificanti: cade neve abbondante e libera.
La neve si appropria del dorso del gregge
metafisico
del cardo incrinato ai cristalli, candido,
candido il canto della donna si è chiuso.
Ed è proprio in quest’ora ferma
verso l’indietro e verso l’avanti
che sono più contenta
di un canto di bambina:
sapere toccare il punto d’Omega.
Le rose miracolose di Labers
I rosai erano due: quello
di sopra e quello di sotto.
Il tronco robusto di radici profonde.
Boccioli rosaviola spuntavano fitti fitti e forti.
Aperte, le rose erano nuvola profumata di cielo
sulla terra.
A maggio, in cerchio dolce e importante
attorno ai rosai, il rosario saliva saliva
festoso
sino a intravvedere un “Tu” creatore
riflesso anche sul volto della mamma.
La voce di mia madre fluiva in viola:
«saprete e capirete e ringrazierete
per non aver potuto giungere
al peso della vita
al fiore di lusso infingardo
alle ferite nostre
chiamate umano amore».
I rosai si sono consumati. Ci è
dato avanzare
ricchi di vento viola, generosi di libertà,
amati di immeritato amore.
La poesia di Laura Canciani è pura come il suo profilo, bellissimo, algido come quello della Achmatova, pura come l’«ippocampo» che appare all’improvviso in una sua poesia. Poesia fitta di scarti, di deviazioni di immagini e di senso, di retromarce verso un dove che si rivela essere un altrove. Poesia di interrogazioni caute, incaute e pensierose, insidiose, che non conducono in alcun luogo prefabbricato, ordinato, telefonato. C’è come un’insidia che sovrasta e minaccia il quadretto lacustre dei suoi «paesaggi interiori», con quella «fontana psichica» che fa convergere la poesia verso un punto che non è un punto ma una dimensione… di purezza. C’è il senso della macchia che sovrasta, c’è la paura del peccato che inquina, c’è la delicatezza di uno sguardo. Una poesia fatta di sensazioni e di immagini che si collegano alle sensazioni. Quanto di più difficile a farsi. Dove il non-detto collima con il detto rendendo l’espressione poetica antica e moderna, interiore e democratica, elusiva e esclusiva. Poesia olistica e solitaria dove possono vivere soltanto cose semplici e insolite, che si difende dall’estraneo con tutte le proprie povere forze…
C’è davvero un’aura di purezza nella poesia di Laura Canciani e un dettato limpido ma profondo, pregnante. Eppure si percepisce l’incombere di un male.
Chi appartiene alla generazione che ha conosciuto il Nazismo e la seconda guerra mondiale, pur essendo ancora in giovanissima età, non può cancellare dal suo animo, dalla mente e dalla memoria quella vera e propria macchia sull’umanità.
Mi soffermo sulla prima delle poesie dal titolo “Anna Albert”
*
Degli Albert ricordo il cane nero, feroce
e bellissimo, il filo arrugginito lungo il quale
correva all’impazzata e abbaiava
Lei aspettava la lettera dal fronte
come un imputato la sentenza
Arrivò una busta:
«se maschio, è buono per Hitler»
Senza rumore al cimitero fu aggiunta una croce
*
Limpido il quadretto del “cane nero, feroce”, che corre e abbaia all’apparire di qualcuno. La parola “sentenza” paragonata alla lettera dal fronte attesa dalla donna lascia comprendere la drammaticità del tempo.
Infatti, «se maschio, è buono per Hitler».
Meglio davvero una croce in più nel cimitero!
Un simile dramma è espresso con una misura classica e una sinteticità che dimostrano il valore della poetessa Laura Canciani, capace di rendere al lettore l’esperienza atroce del male, la tragicità di quel tempo con pochissime parole, tutte essenziali, quasi ‘parole scavate’, e nessun cedimento all’urlo o all’eccesso di sentimento.
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Giorgina Busca Gernetti