Marco Onofrio “La scuola degli idioti”, Ensemble, Roma, 2013 pp. 140 € 15

Onofrio_Copertina_La scuola degli idiotiI Big Data, la realtà che abbiamo ogni giorno davanti agli occhi, una miriade formidabile di informazioni, hanno reso obsolete le tecniche ragionative del Novecento, quando politologi, giornalisti, medici, scienziati, sociologi discettavano su test, campioni di pochi casi da cui inferire, per intuito o deduzione, sulla base di un procedimento logico le loro conclusioni. Lo storico Carlo Ginzburg parlava di «paradosso indiziario»: interpretare la realtà da un dettaglio: per il cacciatore il ramoscello spezzato sul sentiero dalla selvaggina, per il critico d’arte il colore della foggia di un abito che permette di attribuire l’opera a un pittore; per un critico letterario la conformazione di una metafora che consente di stabilire l’autore di una poesia. Oggi, in un mondo che dispone di «tutte» le informazioni possibili, abbiamo difficoltà a capire il mondo che la civiltà umana ha costruito. Tutto appare eguale a tutto. Oggi disponiamo, è vero, di sofisticatissimi strumenti idonei a prevedere da segnali impercettibili le probabilità del verificarsi di un evento, che sia un crollo in borsa o un terremoto; analogamente, per le previsioni del tempo, il flusso del traffico nelle città, i casi di epidemia, le giocate, riuscite e no, di un calciatore. Ragioniamo sulla complessità, non sulla semplicità. Ma ci sfugge il centro, il baricentro. Tutte le informazioni di cui disponiamo ci servono a poco senza l’interpretazione attenta, paziente e creativa dell’intelligenza. Il fattore umano, le doti di fantasia e di creatività del fattore umano restano centrali, senza di essi non riusciamo a comprendere il mondo nel quale viviamo. I racconti di Marco Onofrio in questo libro dal titolo inequivoco: «La scuola degli idioti», ci dicono molto di più sulla nostra società, il destino della letteratura e il nostro destino che non intere biblioteche di analisi sociologiche. Il racconto «Giallo gabinetto» imperniato sulla raffigurazione (in grottesco e iperreale) dello scrittore di successo dei nostri giorni: Oscar Mammoni, è emblematico: va a finire in una gigantesca inondazione di «merda». Lo stile di questa scrittura, che ricorda quello umorale e aggressivo di un Gadda, ci dice molto di più: che non c’è scrittura che tenga, che non c’è realismo né iperrealismo che possa essere sufficiente per descrivere la fenomenologia di un mediocre letterato di successo dei nostri giorni; ci informa, in maniera indiretta, sui gusti del pubblico che legge i libri di Mammoni, ci dice qualcosa di inquietante che sta oltre, dopo le pagine del libro. Parla di noi, della sete di conformismo che tutti ci attanaglia, della piccola scurrile Italia, della vigliaccheria dei suoi letterati e dei suoi abitanti. La generale omologazione è la molla che spinge la scrittura di Marco Onofrio verso esiti esilaranti di umorismo, di disincanto e di sarcasmo. Non è più il tempo della satira sembra dirci Onofrio, quando anche la scrittura letteraria sembra sotto il gioco di uno scacco inevitabile. È da questo scacco che sortisce il grande sovraccarico lessicale e stilistico di questa scrittura, il suo non voler cedere alla omologazione delle scritture di borotalco e delle intelligenze di cartapesta. Nel racconto «Damnati», c’è una coppia che si chiude in una stanza d’albergo a fare l’amore, ma dalla porta del bagno si apre la vista di un universo incognito, inquietante, l’estraneo che potrebbe apparire all’improvviso. In un altro racconto c’è un maiale sdraiato per strada: e si verifica una vera e propria psicosi di un presunto morbo diffuso dal suino malato. Il volo di «Icaro», protagonista dell’omonimo racconto, non può che finire in borotalco e in ovatta. In un mondo ovattato il volo di Icaro è un non-senso, il borotalco è l’equivalente della merda, l’ipocrisia è l’equivalente della codardia. È un universo sordido ed abnorme quello tipizzato in questi racconti. Nessuno si salva, tutti precipitano, ma dove non si sa.

Giorgio Linguaglossa

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