
Joan Triadú Font, Ribes de Freser, Ripollès, 30 luglio 1921 – Barcellona, 30 settembre 2010
Correva il 30 settembre 2017, vigilia della chiamata al voto degli abitanti della Catalogna per decidere sull’indipendenza della regione iberica dal Regno di Spagna, il settimo anniversario della morte di uno dei massimi letterati catalani del Novecento, Joan Triadú Font (1921-2010), filologo classico, esule antifranchista, docente di lingua e letteratura catalane all’università di Liverpool, autore di saggi sui medesimi argomenti e in particolare sulla poesia. Sostenne un’idea di poesia riassumibile nella frase che dà il titolo a un suo studio – Leggere come vedere – e dunque un avvicinamento dei processi emozionali tipici della visualità a quelli razionali della lettura, come a voler temperare l’alta tensione visionaria presente – ed è imperdonabilmente banale la citazione in questa sede – nell’opera lorchiana. La sua prima e più famosa silloge, Endimione, fu pubblicata nel 1948. Ne proponiamo il testo che le dà nome in una nuova traduzione. Del riferimento al protagonista del mito greco, amato segretamente da Artemide, balzano agli occhi la scelta di farne un meditabondo, confuso, delicato solitario che, negli intervalli tra notti di passione delle quali è condannato a non serbare memoria, ordina visioni e speranza. Endecasillabi sciolti nell’originale, mantenuti nella traduzione.
Furio Durando

Nicolas-Guy Brenet, Endimione dormiente, 1756. Worcester Art Museum (Massachusetts, U.S.A.)
Endimione
Triste, imporrò lo sforzo a un’altra spalla,
ché gli occhi dell’eternità mi trovino
e un’erba nuova senta sotto il vento,
dove ogni giorno i miei piedi abbian pace.
D’ombre lo spazio affollerà il corteo
dei morti avvinti male, a me confusi
come un ricordo. Aprendosi, le pietre
fin dentro al cuore mi sorrideranno,
e piogge non desidero, o l’antica
creazione del mondo, ma il giardino
presso la chiara stele, umido suolo,
eterno di respiro, estraneo al duolo
dei fratelli, ove s’addensa il silenzio
di tutti i gridi, e di parole l’ordine,
l’ultimo specchio d’acque navigate,
dove a piangere gli uccelli viene il mare
e la gelosa vita ci abbandona.
La forma sospettata mi s’appressa
ora, nel mezzo delle alte sorprese,
e son mano del vento sopra il mare
quando si placa l’onda ed il sorriso,
prima che l’innocente fato affondi
così lontano nelle lontananze.
L’orma soltanto Dio ritroverà,
nel suo sonno preciso, e la saprà
fedele a sé, e che vi s’impresse certa,
tutta silenzio di soavità.
Mentre obbedisco, vengono i miraggi,
ribelle orrore di sentirmi solo
e non saper creare compagnia,
bensì dolermi, oscuro, a ciò che sente
il cuor, mentre l’inganno ostile sempre
lotta nel centro della vita, avaro,
dove speranza attende, seminata.
(traduzione Furio Durando)
ENDIMIÓ
Trist, deixaré l’esforç a una altra espatlla,
perquè em trobin els ulls d’eternitat
i una herba nova senti al pas de l’aire,
on em reposen cada dia els peus.
L’espai poblarà d’ombres el seguici
dels morts mal abraçats, fosos amb mi
com un record. Les pedres en obrir-se,
em somriuran fins al centre del cor,
i no desitjo pluges, ni l’antiga
creació del món, sinó el jardí
vora la llosa clara, terra humida,
perenne de respir i estranya al dol
dels germans, on es recull el silenci
de tots el crits, el manament dels mots,
l’extrem espill de l’aigua navegada,
on vénen mars a plorar els seus ocells
i gelosa la vida ens desempara.
La forma sospitada m’escomet
ara, al bell mig de les altes sorpreses,
i sóc la mà del vent damunt el mar
quand s’apaga l’onada i el somriure,
abans de pondre’s l’innocent destí
tan lluny de llunyanies. Sols l’empremta
trobarà Déu en el seu son precís
i la sabrà fidel, que fou segura,
tota silenci de suavitats.
Mentre obeeixo, venen els miratges,
l’horror rebel que és sentir-me tot sol
i no saber crear la companyia,
sinó doldre’m, obscur, cara als sentits
del cor, sempre amb l’engany hostil che lluita
al centre de la vida avarament,
on reposa sembrada l’esperança.
Joan Triadú Font