115 anni fa nasceva a Karlsruhe Marie Luise Kaschnitz. Per ricordare l’opera di questa scrittrice che continua a essere poco conosciuta in Italia, paese nel quale è vissuta e nella cui capitale è morta il 10 ottobre 1974, raccolgo oggi qui, tra le pagine del blog “La presenza di Erato”, mie considerazioni e traduzioni apparse precedentemente su “Cronache di Mutter Courage”, “Viadellebelledonne”, “Poetarum Silva”.
Non si può scrivere per salvarsi l’anima
Della storia di un lento oblio – così potrebbe chiamarsi lo sviluppo della ricezione di Kaschnitz in Italia, sviluppo impensabile negli anni Cinquanta – mi limito a menzionare due tappe, entrambe del 1971. Nella sua Analisi della letteratura contemporanea, apparsa nel volume di Vittorio Santoli La letteratura tedesca moderna, Marianello Marianelli dedica cinque righe alla poesia di Marie Luise Kaschnitz. A margine di una più ampia dissertazione su Ingeborg Bachmann. Marianelli menziona il nome di M. L. Kaschnitz solo nella quarta delle cinque righe:
«Solo per certi aspetti esteriori sono vicini a queste visioni meridionali della Bachmann, i molti paesaggi meditativi, soprattutto romani e siciliani, che una ben piú prolifica poetessa, Marie Luise Kaschnitz (n. 1901) ha raccolto in Ewige Stadt (Città eterna, 1952) e Neue Gedichte (Nuove poesie, 1957).»
Nel decimo e ultimo tomo della sua monumentale Storia della letteratura tedesca, Ladislao Mittner dedica sì un intero paragrafo a Marie Luise Kaschnitz, ma sin dall’inizio mette le cose in chiaro, nel modo lapidario e tranchant, ancorché non sempre rigorosamente argomentato, che caratterizza molte delle sue osservazioni:
“Il grande tema della non grande poesia della Kaschnitz è l’esortazione che la guerra non generi guerra e che i sacrifici del passato non siano stati vani.”
A chi insegna letteratura di lingua tedesca in Italia è senz’altro più nota la sua prosa – Das dicke Kind continua, a ragione, ad esercitare un grande fascino in chi legge questo racconto misteriosamente autobiografico con un coup de théâtre finale che sfrutta l’ampiezza di significato del termine Kind in tedesco; anch’essi, tuttavia, sono in via di progressiva ‘scomparsa’ dai manuali. Delle sue poesie, si sa poco o nulla.
Per questo motivo mi sembra di una qualche utilità proporre un passaggio significativo dal discorso che Marie Luise Kaschnitz pronunciò il 23 ottobre 1955, allorché le fu conferito il prestigioso premio letterario intitolato a Georg Büchner, insieme a una scelta di tre poesie. Tutti i testi presentati qui sono nella mia traduzione.
“La poetessa delle macerie” (in italiano nell’originale, n.d.T): così mi aveva definito, non molto tempo fa, un periodico italiano, ma per un momento questa definizione mi era quasi spiaciuta, perché mi sembrava che anche nelle mie poesie del tempo di guerra e del dopoguerra il tratto essenziale non fosse tanto il caos, quanto piuttosto l’anelito a un nuovo ordinamento. In fin dei conti, tutte le mie poesie sono state l’espressione della nostalgia per un’innocenza antica ovvero l’anelito a un mondo rinnovato dallo spirito e dall’amore. Nei miei saggi e nei miei diari, sicuramente anche nei miei radiodrammi, che peraltro non considero figli illegittimi, dappertutto ho cercato di guidare lo sguardo del lettore a ciò che per me ha significato, alle possibilità mirabili dell’essere umano, ai pericoli mortali e alla sconvolgente pienezza del mondo. Non ho voluto dare quella consolazione a poco prezzo che alcuni lettori. si aspettano dalla composizione poetica. E se i miei versi, a differenza di quelli ermetici o surrealistici, risultavano comprensibili, questo si spiega con il fatto che il mio percorso nella poesia lirica mi ha condotto dalla natura all’essere umano, e che non sono mai riuscita a dimenticare che stavo comunicando me stessa ad altre persone, sicuramente a quelle che non temono la fatica dell’inusuale e di ciò che può essere afferrato solo lentamente”.
(Marie Luise Kaschnitz, dal discorso di ringraziamento tenuto in occasione del conferimento del premio Büchner nel 1955)
Questa parte del discorso, che di seguito appare nella versione originale, può essere ascoltata qui dalla voce di colei che lo ha composto e pronunciato:
http://www.kaschnitz.de/sound/bpreis.mp3
“La poetessa delle macerie”, “die Trümmerdichterin” hatte mich eine italienische Zeitschrift vor kurzem genannt, aber einen Augenblick lang hatte mir das fast mißfallen, weil mir schien, daß auch in meinen Kriegs- und Nachkriegsgedichten weniger das Chaos als die Sehnsucht nach einer neuen Ordnung wesentlich sei. All meine Gedichte waren eigentlich nur ein Ausdruck des Heimwehs nach einer alten Unschuld oder der Sehnsucht nach einem aus dem Geist und der Liebe neu geordneten Welt. In meinen Essays und Tagebüchern, ja auch in meinen Hörspielen, die ich übrigens nicht als uneheliche Kinder betrachte, überall habe ich versucht, den Blick des Lesers auf das mir Bedeutsame zu lenken, auf die wunderbaren Möglichkeiten des Menschen, seine tödlichen Gefahren und auf die bestürzende Fülle der Welt. Den billigen Trost, den manche Leser vom Gedicht erwarten, habe ich nicht geben wollen. Und wenn meine Verse im Gegensatz zu den hermetischen und surrealistischen eher verständlich waren, so hängt das damit zusammen, daß mein Weg in der Lyrik mich von der Natur zum Menschen geführt hat, und daß ich nie ganz vergessen konnte, daß ich mich Menschen mitteilte, freilich solchen, die die Mühe des Ungewohnten und nur langsam zu Begreifenden nicht scheuen”.
(Marie Luise Kaschnitz in ihrer Dankesrede anlässlich des Erhalts des Büchner-Preises 1955)
La poesia Scrivendo è apparsa nella raccolta Dein Schweigen (Il tuo silenzio) del 1962. I versi, che ho tradotto qualche anno fa, accompagnano idealmente le mie quotidiane frequentazioni con la scrittura.
Scrivendo
Scrivendo, volevo
Salvarmi l’anima.
Tentai di fare versi
Non funzionò.
Tentai di raccontare storie
Non funzionò.
Non si può scrivere
Per salvarsi l’anima.
Lei, data per persa, passa avanti e canta
Questo è l’originale:
Schreibend
Schreibend wollte ich
Meine Seele retten.
Ich versuchte Verse zu machen
Es ging nicht.
Ich versuchte Geschichten zu erzählen
Es ging nicht.
Man kann nicht schreiben
Um seine Seele zu retten.
Die aufgegebene treibt dahin und singt.
La poesia Nicht mutig (Non coraggiosa), apparsa nel 1972 nella silloge Kein Zauberspruch (Nessun sortilegio) è una inusuale professione di fede.
Non coraggiosa
I coraggiosi sanno
Che non risorgono
Che non ricrescerà loro la carne
Nel giorno del giudizio
Che non ricorderanno più nulla
Non rivedranno nessuno
Che niente li aspetta
Nessuna beatitudine
Nessuna tortura
Io
Non sono coraggiosa
Di seguito riporto il testo originale, che può essere ascoltato dalla voce di Maria Luise Kaschnitz qui:
Nicht mutig
Die Mutigen wissen
Daß sie nicht auferstehen
Daß kein Fleisch um sie wächst
Am jüngsten Morgen
Daß sie nichts mehr erinnern
Niemandem wiederbegegnen
Daß nichts ihrer wartet
Keine Seligkeit
Keine Folter
Ich
Bin nicht mutig.
Sempre dalla raccolta Kein Zauberspruch ho tradotto ,Jeder, Ognuno, componimento che ripercorre, con immagini vivide comunicate in versi brevi e densi di riferimenti, le tappe della storia della Germania dal 1933 agli inizi degli anni Settanta. Luoghi, persone, paesaggi sono animati dallo sguardo di colei che scrive e che, nello scrivere, sa fondere in un’unica voce, che canta della storia, che canta nella storia, dimensione quotidiana e universo letterario.
Ognuno
a Erich Kaufmann
Ognuno, una volta, deve
Cantare la sua patria,
Sputare nel piatto in cui mangia.
Anche io.
La terra natia, questo piccolo pezzo d’Europa,
Dove le ragazze non amano più i soldati,
Dove i soldati non si amano più.
Quanto è sconcertante.
Che cosa mi viene in mente quando dico Germania?
La strada che faccio per andare al lavoro
Passando per il parco di Weimar.
Il cuore verde.
Lillà a Belvedere.
Tiefurt. Danza scalpitante.
Lo studente del Bauhaus.
Balletto triadico.
Che cosa ancora mi viene in mente?
Il bassopiano d’estate.
E, affioranti dietro le vaste
colline, torri.
La Vistola con l’acqua alta.
Tetti che si spostano rapidamente.
Alberi sradicati.
Anche il basso Reno.
Xanten, il cadavere trascinato a riva.
Il cielo grande.
La mia terra natia soprattutto.
Alberi di noce. Tigli sotto il cielo da bufera.
Botti da vino messe a inzolfare davanti alle case.
Aquila bicipite nello stemma
Oleandri.
Che cosa ancora?
Bandiere con le croci uncinate,
Passi di stivali, rimbombanti,
Orrore sussurrato.
Treni lungo il fiume Lahn, pieni
Di soldati che non cantano.
Treni di ebrei.
Detonazioni. Alberi di Natale, cosiddetti.
Cenere alla cenere.
Poi tutto nuovo, ancora una volta,
Tirato su dal suolo.
Palazzi alti a più piani, altiforni, più d’una Hochstadt, ‘città alta’, autostrade
Vacanze all’estero. Vecchi compagni di scuola.
Atmosfera di inaugurazione al circolo amici di Bach.
Eppure, passato il mio secolo,
Nessuno più guadagnerà denaro
Con recinti di filo spinato.
Al di qua e al di là dei confini
Parole significano la stessa cosa
Patrie e i vecchi
Sensi di colpa si sono giocati l’ultima carta.
Jeder
für Erich Kaufmann
Jeder muss einmal
Sein Vaterland besingen,
Sein Nest beschmutzen.
Auch ich.
Die Heimat, dieses kleine Stück Europa,
Wo Mädchen Soldaten nicht mehr lieben,
Wo Soldaten sich selbst nicht mehr lieben.
Wie befremdlich.
Was fällt mir ein, wenn ich Deutschland sage?
Mein Weg zur Arbeit
Durch den Park von Weimar.
Das grüne Herz.
Flieder im Belvedere.
Tiefurt. Stampfender Tanz.
Der Bauhausschüler.
Triadisches Ballett.
Was noch fällt mir ein?
Die Tiefebene sommerlich.
Und hinter den breiten Hügeln
Auftauchend Türme.
Die Weichsel bei Hochwasser.
Rasch hintreibende Dächer.
Bäume entwurzelte.
Auch der Niederrhein.
Xanten, der angetriebene Leichnam.
Der große Himmel.
Meine Heimat vor allem.
Nussbäume, Linden unterm Gewitterhimmel.
Weinfässer zum Schwefeln vor die Häuser gestellt.
Doppeladler im Wappen
Oleander.
Was außerdem?
Hakenkreuzfahnen,
Dröhnende Stiefelschritte,
Geflüstertes Grauen.
Züge entlang dem Lahnfluss voll
Nicht singender Soldaten.
Judenzüge.
Detonationen. Christbäume sogenannte.
Asche zu Asche.
Dann alles wieder neu
Aus dem Boden gezogen.
Hochhäuser, Hochöfen, Hochstädte, Autobahnen.
Ferien im Ausland. Alte Kameraden.
Weihestimmung im Bachverein.
Und doch, mein Jahrhundert vorüber,
Wird mit Stacheldrahtzäunen
Niemand mehr Geld verdienen.
Diesseits und jenseits der Grenzen
Bedeuten Worte dasselbe
Vaterländer und die alten
Schuldgefühle haben ausgespielt.
Leggo nella poesia Zuweilen (Talvolta) la poetica di Marie Luise Kaschnitz. Non priva di suggestioni è l’immagine “Sterntalergras” (letteralmente “erba di scudi piovuti dalle stelle”), un richiamo diretto alla celebre fiaba dei fratelli Grimm Sterntaler (tradotta come La pioggia di stelle).
Talvolta
Talvolta dorme pure il poeta
Il vecchio guastatore delle feste
Fino all’ultimo scudo ha pagato se stesso
Sprofondato nell’erba della pioggia di stelle
Sogno che cresce rapido gli avvolge come tela di ragno
Gli occhi che scrutano
Sulla sua mano che scrive
Si accoppiano farfalle
I suoi volatili da assalto blaterano come passeri
Il leggiadro Sempre-già-qui.
Come per le altre, anche di questa poesia riporto la versione originale:
Zuweilen
Zuweilen schläft auch der Dichter
Der alte Verderber der Feste
Ausgezählt hat er sich selber
Gesunken ins Sterntalergras.
Schnellwachsender Traum überspinnt ihm
Die spähenden Augen
Auf seiner Schreibhand
Begatten sich Schmetterlinge
Seine Sturmvögel plappern wie Spatzen
Das liebliche Immer-schon-da.
Nel 1970 Marie Luise Kaschnitz pubblicò un volume di 74 prose brevi, o meglio, poemi in prosa, romanzi e tragedie riportati alla misura di epigrammi, sogni inquietanti, incubi, lucide visioni dell’orrore del 20° secolo, con il titolo Steht noch dahin. Neue Prosa. La copertina di quel volume riporta il testo che dà il titolo alla raccolta, che riporto qui nella mia traduzione e nell’originale
È ancora incerto
Se ce la caveremo senza essere torturati, se moriremo di una morte
naturale, se non ritorneremo a soffrire la fame, a rovistare i bidoni
della spazzatura alla ricerca di bucce di patate, se saremo trascinati in branchi, questo
lo abbiamo visto. Se, in più, non ci toccherà imparare il linguaggio di chi bussa da cella a cella,
spiare il prossimo, essere spiati dal prossimo, e dover piangere alla parola
libertà. Se ce ne andremo di soppiatto in tempo su un letto bianco o
periremo per l’attacco nucleare centuplicato, se ce la faremo a
morire con una speranza, è ancora incerto, è ancora incerto.
Steht noch dahin
Ob wir davonkommen ohne gefoltert zu werden, ob wir eines natürlichen
Todes sterben, ob wir nicht wieder hungern, Abfalleimer nach
Kartoffelschalen durchsuchen, ob wir getrieben werden in Rudeln, wir
haben’s gesehen. Ob wir nicht noch die Zellenklopfsprache lernen, den
Nächsten belauern, vom Nächsten belauert werden, und bei dem Wort Freiheit
weinen müssen. Ob wir uns fortstehlen rechtzeitig auf ein weißes Bett oder
zugrunde gehen am hundertfachen Atomblitz, ob wir es fertigbringen mit
einer Hoffnung zu sterben, steht noch dahin, steht alles noch dahin.
Tutte le traduzioni, qui proposte, da testi di Marie Luise Kaschnitz sono di Anna Maria Curci
Anna Maria Curci, 31 gennaio 2016
Anna Maria carissima,
grazie per quest’ articolo, per le riflessioni e per le traduzioni, grazie perché Kaschnitz merita di essere strappata all’ oblio, grazie anche per esserti richiamata al valore non solo estetico, ma, per dir così, pedagogico per gli stranieri che si avvicinano alla lingua tedesca che hanno i testi in versi e in prosa: sappiamo bene che dietro un vocabolo c’ è la storia di un popolo e anche la sua tragedia.
Carissimo Antonio, ti sono riconoscente, molto. Sono lettori come te che danno un senso al lavoro, che non può essere che paziente e tenace, di sottrazione dall’oblio.
L’ha ribloggato su La lepre e il cerchio.
L’ha ribloggato su "LA MELA ROSSA DIMENTICATA" di Giorgina Busca Gernetti.
un lavoro di grande valore, che ci ridà indietro parola e peso di una poeta importante, traduzioni come le conosciamo da te, in pulizia e pregnanza… grazie Anna Maria Curci
Bravissima