Poesia,critica,utopia, di Leopoldo Attolico

attolicoOggi, con la concorrenza che c’è in giro, ogni critico – ogni poeta – difende forsennatamente il suo prodotto, e questo è normale. Il guaio è che molti ( starei per dire quasi tutti ) ritengono la propria “creatura”- la propria temperie – l’unica praticabile, l’unica proponibile in forza di ragioni imprescindibili, le stesse che poi più o meno esplicitamente tendono a definire in termini riduttivi le esperienze di chi vi si discosta, ( quando non ne dicono peste e vituperi ).
Mai o quasi mai ci si pone “dialetticamente”/ criticamente di fronte al proprio lavoro tentando di individuarne i limiti e quindi gli spessori. Le sacrosante dispute tra letterati degli anni ’50 e ’60 al Caffè Greco, al Canova e alle Giubbe Rosse sembrano ormai appartenere all’aneddotica di una recente preistoria. Oggi i poeti e i critici che “si prendono le misure”non esistono più, e a questo esercizio di immobilismo mentale si contrappone il puntuale fervore nel lanciare sentenze senza appello o siluri velenosi agli alter ego della concorrenza, cosa che appare quantomeno fuori luogo e maldestra nella situazione odierna, quando ci si rapporta a specifici assimilabili al calderone delle streghe, al mare magnum del possibile più arioso, del futuribile ad oltranza; corpus metamorfico e magmatico con il quale confrontarsi in termini di certezze sentenziose e di crucifige appare a dir poco intempestivo, spiazzati come siamo dalle frenetiche sinergie di un divenire che pone tutto e il contrario di tutto continuamente in discussione. Oggi, in pieno deserto del Possibile, l’unica chance di azzardare postulati potrebbe essere affidata alla sempre più rara virtù gnoseologica di andare oltre se stessi, oltre le apparenze, verso esiti di oggettività illuminata e vitaminica ma comunque improponibile in termini assoluti; e invece si continua a scannarsi in un gioco cocciuto di rimandi spocchiosi che ha dell’infantile, demonizzando ismi, tendenze e progettualità altrui in nome di una propria “verità” che ha il solo diritto di cittadinanza in forza di una sua buonafede ( quando c’è ), ma certo non può pretendere davvero di mettersi la corona in testa. Vien fatto di pensare che poeti e critici, invece di radicalizzare cavalcando matite rosse e blu contro chi contesta la loro misura, il loro respiro, il loro metodo, farebbero una operazione intelligente rimettendosi in discussione ( viva la modestia ! ), prendendosi la briga ( masochisticamente, perché no ? ) di allarmare così le sicurezze degli stessi Critici e Supercritici dai quali hanno intascato imprimatur e canonizzazioni. Gli interlocutori con cui confrontarsi non mancherebbero; basterebbe guardare al loro lavoro con fare meno circospetto, senza riserve mentali fuorvianti, con più voglia di capire se stessi e gli altri e puntare ad una ipotesi di “verità”che chiami la critica e la poesia con il suo nome e non per cognome o pseudonimo; ponendosi di fronte alle problematiche, ai linguaggi, alle ragioni, ai contributi teorici espressi al di fuori della personale esperienza intellettuale e del proprio fisiologico rapportarsi alle cose del mondo.
Oggi vediamo il confronto tra critici e poeti di opposte tendenze esaurirsi in diatribe asfittiche asettiche acriliche, dove si fa tutto meno che gli interessi della critica e della poesia, che perplesse sicuramente si domandano a quando un futuro di addetti ai lavori finalmente non condizionati dai ganci inibitori e dai falsi pudori letterari del proprio orticello, meno velenosamente politicizzati dalle parrocchie di appartenenza, meno fregati ab ovo dal proprio ego dissoluto ed egemone.

8 commenti
  1. internet ha fatto male alla poesia, provate a stroncare su un sito qualunque il testo di un qualche sedicente poeta con nick name, se non vi cacciano ricevete come minimo minacce di morte: il mezzo viene utlizzato male, avrebbe potuto sottrarre la poesia dal ghetto culturale dov’è stata confinata da decenni. Ovviamente come in tuttte le parrocchiette e sottoparrocchiette anche tra poeti c’è chi nome e chi non ne ha. Se scrivo che l’ultimo libro di Cucchi, pluri premiato e pluri osannato è di una noia mortale, sarò scomunicato. Se scrivo che Rondoni più che un poeta, anche lui con non troppo talento, è un uomo di potere, sarò scomunicato e da Bologna al mare sarò reietto. Oltretutto ci si ritrova tra autori, sempre più frustrati, letti solo da addetti ai lavori, come se i panettieri facessero pane solo per i panettieri. Fantastico

    • Non so se internet abbia fatto male alla poesia. So che il web mi ha offerto la possibilità di leggere molte cose, alcune mi piacciono altre no. Per tante ragioni sono una che commenta poco, volutamente mi astengo quando qualcosa non mi convince, per non ingrossare la schiera degli stroncatori professionisti (non ne avrei la tempra intellettuale né lo stomaco), mentre volentieri esprimo il mio plauso nei confronti di voci che riescono a raggiungere le mie corde.Sicuramente non sono un critico, non so se sono un poeta, avverto però il desiderio di un confronto: ho partecipato ad alcuni concorsi letterari pensando in tal modo di “testare” il mio lavoro, ma mi sono ben presto resa conto che, fatte le debite eccezioni, molti di essi sono messi su da conventicole autoreferenziali che poco o nulla hanno a che fare con la poesia. Ultimamente frequento qualche blog, alcuni (come questo) mi insegnano qualcosa ogni giorno, ogni giorno mi offrono spunti di riflessione. E in qualche modo (non stupitevene!) invidio un po’ quel ritrovarsi tra autori, ancorché letti solo da addetti ai lavori, perché a me, da qui, sembra già tanto… Ma frustrati no, ecco, non credo… il post di Attolico descrive benissimo un circolo vizioso che sembra impossibile interrompere ma io continuo a credere che scrivere sia una gioia di per sé, un’esperienza quotidiana intima come quella di guardarsi allo specchio e che continuiamo a farlo, anche quando non c’è più nessuno che ci guarda. grazie
      pat

  2. D’accordo con Almerighi sulle scomuniche , ma non credo sia giusto generalizzare . Seguo da anni i blog di Sebastiano Aglieco . Ennio Abate e Stefano Guglielmin – i primi che mi vengono in mente – ambiti che non hanno mai giubilato nessuno , e tra l’altro hanno valorizzato meritoriamente molti giovani in gamba che chissà quando mai avrebbero trovato visibilità e giusta considerazione . L’apertura e la pulizia intellettuale nel confrontarsi con la creatività e la meritocrazia a livello di gestione di un blog rimane comunque una barzelletta consolidata tutta italiana , ma , ripeto , con dei distinguo .
    Quanto alla frustrazione io ne parlerei come di inflorescenza naturale , nel senso che attecchisce dove trova il terreno adatto : c’è il fertile orticello dei non pochi devoti ai premi letterari ( quasi sempre a pagamento , con giurie presiedute spesso anche da grossi papaveri a fungere da specchietto per le allodole ) , devoti – dicevo – che si riempiono casa di coppe coppette patacche attestati ecc. , trovando in questa effimera modalità gratificazione e relativo “risarcimento” . Ci sono poi i tetragoni alla questua per la recensione e ai suddetti commendevoli cimenti letterari , i quali hanno ampiamente e proficuamente metabolizzato il do ut des e i meccanismi mafiosi della nostra italietta letteraria e li guardano – per tutta la vita . come si guarda dalla finestra un funerale , subito distogliendosene per tornare a suonare soli in una stanza , ampiamente risarciti da uno dei pochi strumenti per cui vale la pena vivere e durare senza nulla chiedere ..
    leopoldo attolico –

  3. Non posso che condividere in pieno, caro Leopoldo, il senso delle tue osservazioni. Peraltro tu sai come il sottoscritto si sia ‘felicemente’ autoestromesso (sono ormai 14 anni) dall’habitat poetico romano a causa proprio di quel modus operandi, dicendi et maledicendi che da troppo tempo ormai infesta il suddetto ambito, in virtù (si fa per dire) di un’intransigenza dogmatica e assiomatica che lascia esterrefatti. Chi ne fa le spese è la poesia, quella vera, che dovrebbe nutrirsi, oltre che di umiltà, della capacità non solo di ‘dire’, ma, soprattutto, di ascoltare. Altro non so dire. Torno ai miei romanzi, ma sono convintissimo che prima o poi un qualche big bang poetico ci sarà pure. Un abbraccio.

  4. Il caro amico Flavio ha sicuramente ragione quando dice che è troppo facile incontrare e sulla rete e nei vari Concorsi Letterari tanti autori di poesia di scarsi meriti, per non dire di più. Internet ha reso facile e gratuito ottenere tutta la visibilità che si vuole indipendentemente dalle personali capacità. In questo modo frequentando i vari siti che offrono la possibilità di pubblicare si potrà leggere di tutto, tantissimo materiale di nessun valore, cose indecenti ma come in tutti i cumuli di qualsiasi materiale, scavando, si possono portare alla luce anche cose di valore. Faticoso ma proficuo alla fine. In fondo più la base è larga, più è facile che possano emergere talenti veri.
    Venendo poi ai concorsi letterari, verissimo che è facile imbattersi in macchine escogitate per realizzare profitti ma a saper discernere si possono scoprire concorsi di grande valore. Partecipare vuol dire confrontarsi con altri autori e ottenere una verifica delle proprie attitudini.
    Partecipare serve a ridimensionare spesso la personale ambizione e a delimitare i propri spazi di espressione. Leopoldo dice molto bene che spesso gli autori sono dominati dalla presunzione che impedisce loro di confrontarsi con modalità espressive diverse della propria personale. Per questa ragione sostengo il valore dei Concorsi Buoni e Onesti. Non so bene che strade possano aprire ma servono a verificare qualcosa della propria scrittura. L’ambizione personale, prepotente specie negli incapaci, porta facilmente alla pubblicazione a proprie spese e questa è la valvola che consente la sopravvivenza di tanti piccoli editori che pubblicano qualunque cosa, anche la più indegna, purchè si paghi.
    Molti Concorsi hanno come Premio la Pubblicazione dell’opera vincitrice e questa modalità garantisce ai possibili lettori un minimo di controllo della qualità poetica. Minimo e discutibile naturalmente ma è pur sempre un filtro. Non ho mai pubblicato a pagamento e tutte le mie numerose raccolte poetiche derivano dall’affermazione in qualche concorso con premio la pubblicazione, per questa ragione incoraggio sempre gli amici a frequentare questo genere di Concorsi.

    • I Concorsi letterari servono per confrontarsi, è vero, però è anche vero che le giurie “selezionano” testi in linea con un proprio modo di sentire, scartando invece quelli lontani da loro che però potrebbero essere molto interessanti per altri o per il pubblico, il margine soggettivo è quindi molto ampio….

      • Verissimo. Per questa ragione e’ bene verificare che le giurie siano piuttosto affollate perché possano confrontarsi orientamenti differenti. Anche il nome del Presidente di giuria dice molto sui possibili indirizzi critici e frequentando i concorsi si accumula l’esperienza necessaria per scegliere concorsi e giurie che diano qualche sicurezza. Evito di partecipare a concorsi in cui la giuria non sia dichiarata o venga dichiarata solo durante la premiazione. Il margine di obiettività’ continua ad essere discutibile ma facciamo quel che possiamo…..

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