“Due sigarette”, poesia di Cesare Pavese

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Ogni notte è la liberazione. Si guarda i riflessi
dell’asfalto sui corsi che si aprono lucidi al vento.
Ogni rado passante ha una faccia e una storia.
Ma a quest’ora non c’è più stanchezza: i lampioni a migliaia
sono tutti per chi si sofferma a sfregare un cerino.

La fiammella si spegne sul volto alla donna
che mi ha chiesto un cerino. si spegne nel vento
e la donna delusa ne chiede un secondo
che si spegne: la donna ora ride sommessa.
Qui possiamo parlare a voce alta e gridare,
chè nessuno ci sente. Leviamo gli sguardi
alle tante finestre – occhi spenti che dormono –
e attendiamo. La donna si stringe le spalle
e si lagna che ha perso la sciarpa a colori
che la notte faceva da stufa. Ma basti appoggiarci
contro l’angolo e il vento non è più che un soffio.
Sull’asfalto consunto c’è già un mozzicone.
Questa sciarpa veniva da Rio, ma dice la donna
che è contenta d’averla perduta, perchè mi ha incontrato.
Se la sciarpa veniva da Rio, è passata di notte
sull’oceano inondato di luce dal gran transatlantico.
Certo, notti di vento. E’ il regalo di un suo marinaio.
Non c’è più il marinaio. La donna bisbiglia
che, se salgo con lei, me ne mostra il ritratto
ricciolino e abbronzato. Viaggiava su sporchi vapori
e puliva le macchine: io sono più bello.

Sull’asfalto c’è due mozziconi. Guardiamo nel cielo:
la finestra là in alto – mi addita la donna – è la nostra.
Ma lassù non c’è stufa. La notte, i vapori sperduti
hanno pochi fanali o soltanto le stelle.
Traversiamo l’asfalto a braccetto, giocando a scaldarci.

8 commenti
  1. Le parole di Cesare Pavese sanno descrivere senza tradire, sanno plasmare senza plagiare.
    Quando si ama questo uomo è per sempre, perchè ogni sua parola sa rivivere dentro di noi, come “un grido taciuto”.

  2. Molti, troppi, dovrebbero rileggere Pavese per ridare l’esatta rotta alla poesia. Molti, troppi, dovrebbero riaccendere non il cerino, ma la miccia, e far brillare la fiamma, far tuonare il prato, far riemergere il meglio della mosca e del diadema.

  3. C’è l’incanto della natura umana in quell’essere così di compagnia l’uno per l’altro senza conoscersi: una vita raccontata in una sigaretta insieme, trasfigurata dal vento, dalle ore della notte più fonda. Ci sono il mondo desolato, gli occhi spenti delle case. Pavese è grandioso.

  4. Partendo da un non ben definito contesto suggestivo Pavese modula un dialogo tra sé e sé sviluppato in un ritmo aperto e corale, sempre il medesimo, dove con parole differenti e legami altrettanto diversi interroga le strofe e le tormenta per estrarre dal loro nucleo i temi ora della dura campagna, poi l’alienante vita cittadina, e soprattutto sperimenta di rompere le solitudine e comunicare con gli altri. Un isolamento dell’uomo contemporaneo, respinto dalla società e dalla storia che si vede carcerato in un cerchio dentro il quale con lentezza intristisce. Nella poesia Pavese coglie il frutto del fallimento della capacità della ragione a creare un mondo in cui scappare e trovare rifugio: la fuga verso i miti e le forze arcaiche della coscienza inseguita attraverso quelle contrade misteriose che durante l’infanzia mettono in condizione di comunicare con la vita universale. L’uomo solo, cioè il poeta confinato, vede svolgersi una vita che non gli appartiene, non può stabilire rapporti reciproci con la gente che abita un mondo dove nulla può accadere a Brancaleone Calabro così come a Torino nella sezione del Partito Comunista Italiano.
    Da ciò il senso amaro e sconfortante di una condanna all’inutilità e all’inerzia. Ogni gesto, anche quello dell’accendere una sigaretta resta una fiammella diafana in una cornice grigia e spenta.

  5. “Tutto il problema della vita è dunque questo: come rompere la propria solitudine, come comunicare con altri.”
    “Inutile piangere. Si nasce e si muore da soli.”
    “Non manca mai a nessuno una buona ragione per uccidersi”

    Casare Pavese

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