Ieri sera il ragno ha abbandonato il suo trabocchetto, così poco redditizio. Si sarà accorto di noi ed è scomparso, nottetempo, lasciando armi e bagagli. Ma bastano poche ore per costruire una nuova trappola. L’artefice industrioso si porta il materiale nello stomaco. Fabbrica i suoi tranelli cominciando sempre daccapo e sputando angoli sempre eguali e segmenti paralleli.
MIA MADRE
Mia madre aveva un modo strano di carezzarmi la faccia,
mi premeva il palmo contro il muso, quasi mi schiacciava
le labbra, mi tirava indietro di colpo per baciarmi sulla nuca.
Io chiudevo gli occhi credendo di potermi addormentare
in quel deliquio. Ma si pentiva, mi voleva forte,
mi respingeva coi piedi per terra dove giacevano sparsi
i semi neri delle carrube.
I MITI
Chi cerca i miti non li trova. La poesia li ha rifiutati.
LA POESIA
Non chiedete la fede alla Poesia. Non è acqua, non è vino.
Non disseta nè addormenta. Neppure nutre.
LA NON POESIA
La non-poesia è il territorio segreto della Poesia.
La geometria s’ingrandì con la croce di Cartesio positiva e negativa.
L’algebra toccò il cielo con gli immaginari.
Trovò una scrittura per le forze, oltre che per le forme, scoprì la metrica dell’invisibile.
Diede all’occhio la possibilità di guardare oltre il reale,
oltre lo zero, e oltre il nulla.
L’ESATTEZZA
L’esattezza. Eccita lo sguardo, non penetra dentro.
Sta al di fuori e vi resta perchè manca di appigli.
Non si può godere a sorsi, a bocconi. Si può ingoiare,
inghiottire. E’ il passo del serpente, è l’alimento del bruco.
I CRITICI
I critici chiedono alla poesia concetti e sistemi.
Leggo alcune analisi, m’informo di tutte le operazioni chirurgiche,
alcune assai delicate ch’essi conducono con la benda davanti
alla bocca per arrivare al midollo spinale del povero poeta smidollato.
Gli attribuiscono capacità nervose, capacità intellettuali, capacità dialettiche.
Cercano la logica nei poeti. E pensare che la filosofia dei poeti
è una così povera cosa al confronto della loro poesia!
La loro scienza non giova alla poesia quanto giova la loro innocenza.
Il mio sforzo per scrivere versi è stato appunto il disprezzo della mia saggezza.
Sono cresciuto negli anni senza guadagnare nessuna certezza che potesse
servire da struttura alla mia poesia. Credo di non sapere ancora quale sia
precisamente il mestiere del poeta. Non conosco una sola regola
valida in ogni caso. I risultati buoni o cattivi non saranno mai prevedibili.
Non ho mai chiesto alla poesia di aiutarmi a risolvere i problemi.
La poesia, l’ispirazione, non ho avuto la possibilità e la pazienza
di conformare il mio disordine ai loro capricci. Ho aspettato a ore fisse.
Il poeta non predispone ma raccoglie. Le sue predilezioni possono
sembrare sconcertanti, egli fabbrica le gerarchie sul momento.
Non cerca la lepre, ma cerca l’unità. I versi hanno una concatenazione
che non si rivela in superficie. Convergono verso un punto che le
stratificazioni possono nascondere a qualunque scandaglio, un cuore introvabile.
Spesso il critico è quel piccolo animale che strisciando sulla sfera
non saprà mai giungere al centro perchè non ne conosce la formula, la forma.





È utile presentare questa scelta di pensieri di Sinisgalli perché ci danno l’opportunità di indicare alcuni equivoci presenti anche in poeti di oggi i quali si illudono che la poesia sia una attività libera come il volo degli uccelli, «innocente», alogica, creativa, irrazionale etc. Leggo nell’ultimo pezzo di Sinisgalli una serie di affermazioni che mi lasciano sconcertato. Non ne condivido né la forma né il contenuto, né il principio ispiratore:
l’«innocenza della poesia»;
«Spesso il critico è quel piccolo animale che strisciando sulla sfera non saprà mai giungere al centro perché non ne conosce la formula, la forma»;
«I critici chiedono alla poesia concetti e sistemi»;
«filosofia dei poeti è una così povera cosa al confronto della loro poesia».
Potrei continuare, tante e tali sono le affermazioni incaute di Sinisgalli che mi lasciano pensieroso. Innanzitutto c’è il lui una diffidenza, una ostilità verso l’esercizio del pensiero, e del pensiero del critico. Trovo ingenua e prescientifica questa concezione della divisione del lavoro: di qua i critici e di là i poeti. Dimentica Sinisgalli che i più grandi poeti dell’età moderna sono stati grandi critici e anche grandi filosofi (Baudelaire, Valéry, Mandel’stam, Eliot, W. Stevens…)? Sinisgalli si rivela essere completamente a digiuno delle questioni di estetica da Aristotele ai giorni suoi, si avventura in affermazioni che dal punto critico filosofico sono dilettantesche, dettate da un atteggiamento personalistico e volontaristico. È anche questo il limite di Sinisgalli poeta, il suo voler essere poeta «innocente», senza rendersi conto che una categoria teologica come l’«innocenza» non ha nulla a che vedere con il campo dell’arte e dell’estetica. L’arte non è né innocente né colpevole, con questa nomenclatura non si va molto lontano (e anzi non si va da nessuna parte). Sinisgalli non distingue le categorie teologiche con quelle estetiche. E non è il solo, anche ai giorni nostri ci sono autori che fanno poesia parateologica, falsificando così la teologia e la poesia con un colpo solo.
Ritengo utile che i poeti (o meglio chi fa poesia) stiano molto attenti quando si avventurano in proposizioni filosofiche o aventi carattere generale che ricadono sul piano dell’estetico. È una forma di superstizione, di approssimazione e di dilettantismo che inevitabilmente ricade anche sulla poesia che si fa.
lucidissima e desolante quella sui critici della poesia… un esempio efficace di meta-poesia…
Comprendo la ragione del critico Giorgio Linguaglossa, d’altronde, è risaputo, ognuno tira acqua al proprio mulino. E questo ci sta, sta benissimo. Ma che consideri Sinisgalli un dilettante perchè scevro delle concezioni estetiche aristoteliche o kantiane o di qualsivoglia filosofo; che riporti che Sinisgalli è un poeta “innocente” e si limiti a considerarlo solo tale, francamente questo non va. Forse Linguaglossa ha dimenticato (o volutamente ha messo da parte) ciò che Sinisgalli ha rappresentato per la poesia italiana nella prima e seconda metà del novecento, forse non aprirà una raccolta di Sinisgalli da molto tempo, avrà forse obliato sillogi come “Vidi le muse”, “I campi Elisi”, “La vigna vecchia” ecc (sono convinto che Giorgio le abbia lette). Considerare “innocente” un poeta come Sinisgalli è una mera eresia. Forse Linguaglossa ha dimenticato ciò che disse Montale: “Se Leopardi potesse leggere quello che di lui scrivono i critici riderebbe a crepapelle”. E’ inutile approfondire questa frase. Eppure, caro Giorgio, io credo, e credo fermamente, che Sinisgalli non è meno di Montale.
caro Luciano,
non sono io che parlo di «innocenza» ma Sinisgalli nell’ultimo pezzo da te antologizzato quando riferendosi ai filosofi e ai poeti scrive:
«La loro scienza non giova alla poesia quanto giova la loro innocenza».
Il problema non è tanto se Sinisgalli vale più o meno di Montale ma che in veste di teorico scrive cose che lo espongono a pessime figure. Oltre a palesare le solite astiosità enei riguardi di chi fa critica, il che da parte di un poeta è come per una lampadina elettrica fare cortocircuito.
“Chi cerca i miti non li trova. La poesia li ha rifiutati”, “La non-poesia è il territorio segreto della poesia”: questi versi sembrano dirci che la poesia non può essere qualcosa di fossilizzato o definito, anzi addirittura trae nutrimento da ciò che apparentemente con essa non ha nulla a che vedere e a mio parere è questa la grande forza della’arte poetica.
“Credo di non sapere ancora quale sia precisamente il mestiere del poeta.”
Non ho mai saputo che potesse esistere il “mestiere” di poeta.
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“Non ho mai chiesto alla poesia di aiutarmi a risolvere i problemi.”
Non è il suo compito.
GBG
Di certo non mi trovo d’accordo con:
“Chi cerca i miti non li trova. La poesia li ha rifiutati.”
La poesia è artificio. Mito è infatti l’immagine del poeta innocente (il fanciullino!), che la poesia di Sinisgalli accoglie. Che Sinisgalli ce l’avesse con i critici è comprensibilissimo visto che non ha ricevuto la fortuna che meritava. E comunque di una cosa sono anche convinto, non sempre e necessariamente il grande poeta va insieme al critico. Il primo esempio che mi viene in mente è Dylan Thomas, che poco sapeva di filosofia o altro.
“Il mio sforzo per scrivere versi è stato appunto il disprezzo della mia saggezza. ” e “Non conosco una sola regola valida in ogni caso. I risultati buoni o cattivi non saranno mai prevedibili. ” : caro Giorgio Linguaglossa, pensa a quando hai scritto e riscritto il tuo “Blumenbilder”, soprattutto ai “luoghi” in cui hai parlato di “lei”. Non ci potrebbe essere qualcosa di profondamente riconoscibile come logico e sperimentabile , nelle parole di Sinisgalli che ho trascritto qui sopra?( Senza che dicendo questo io voglia dividere il critico dal poeta, perché non sarebbe possibile).
Chiedo scusa per l’intromissione, ma vorrei sottolineare che si tratta di prose poetiche: sette prose poetiche, appunto, e Sinisgalli è stato poeta, critico, e uomo profondo. Per inciso: ‘Chi cerca i miti non li trova. La poesia li ha rifiutati.’… chi o che cosa? I miti o coloro che li cercano sono stati rifiutati dalla poesia? Non credo che Sinisgalli ‘ce l’avesse’ – o non tanto – coi critici per riconoscimenti mancati o attese andate deluse… piuttosto penso che li vedesse come gli astanti che conoscendo le carte in mano ai giocatori pretendono di sapere e insegnare quali debbano essere le loro mosse. Vero, inoltre, che molti critici sono stati anche ottimi poeti, quasi ‘persone informate dei fatti’.