L’imperfezione di cui si parla nel nuovo libro è una condizione “tra”, sempre in bilico tra due opposti. Tra la giovinezza e il tempo della fine, tra l’amore e la rinuncia, tra il ruggito dell’animale feroce e il trofeo appeso sopra il camino, tra la luce e il buio, tra il noto e l’ignoto, tra il futuro e il passato. Anche la ricerca di una salvezza dall’incombere del tempo e dal non senso che da lì si sprigiona passa per poli opposti: protezione chiesta da un lato agli avi e ai reperti archeologici, dall’altro alla continuità dei discendenti e alla vitalità dei bambini.
Dalla quarta di copertina
Tu giovinezza punti al miracolo,
al prodigioso, al sovrumano.
Eppure abbiamo percorsi ciechi,
ciechissimi l’esistenza:
la città, i conoscenti, i lavori,
la natura, gli amori,
non visti.
*
Ora so
perché ti sei così tanto dedicato alle difficoltà,
a quel che appariva irrisolvibile.
Perché il valore della vita
è incomprensibile.
Perché è oscuro il valore di tutto.
*
La più grande disperazione
o piccola se appena nella stanza accanto
giustamente ridevano per la guarigione,
siamo nati destinati
a essere divisi,
derisi nel dolore.
*
Manca una parola
alla mia vita.
*
La vita ti fa una ferita
e tu con le dita
vuoi rimediare cucendo,
attento che i margini
combacino.
*
Il noto si rovesciò
in un profumo ignoto.
E non c’è molto altro
da chiedere.
E’ tutto in questi minimi
passaggi.
*
Quanta luce ci volle
perché si formasse quel buio,
quante espressioni
perché l’indicibile
rispondesse all’indicibile.
Il muto che percorre
ogni giorno le vie di periferia
va a sparire sempre nella campagna.
*
Come la precisione ineccepibile
non si libera del mistero,
come la rinuncia e l’amore
sono necessari l’una all’altro,
come la venerazione è finita
e l’ammirazione si è dissolta
in tante piccole soddisfazioni,
chi potrà mai
far risorgere…
Cesare Viviani
Carissimo Luciano,
Bellissima la poesia di Cesare Viviani. Acuta la tua osservazione che dice della “condizione ‘tra’: come la vita, che è sempre a mezzo tra bene e male, tra sogno e veglia. Posso avere l’onore di avere da te un poco di giudizio anche su una mia poesia che ti accludo, dal titolo “La critica”? Potresti pubblicarla? Grazie.
Eccola:
La critica
Era discesa dalle scale al mondo
che vorticava, ed alcuni dal fango
la videro, sbrendola, ancheggiar flessuosa,
e, sborrando nel riso, le dissero: “Specchiati
in qualche vetrina, così ancheggiante!”.
Il che lei fece e li vide specchiati oltre lei
perduti in un lercio sghignazzo
guardandola goffa avanzare da grande
regina del lusso! Vergogna la spinse
a tornare alle scale, versandovi lacrime
fino alla stanza dei sogni, ove tutti li spense
tra fiumi di lacrime spenta lei stessa,
fin oltre il mattino lontano.
Ne la trasse, il domani, sul tardi, la mamma
ansiosa, pensandola morta. E lei
sul petto materno ne pianse il motivo
del pianto e i consigli materni da sempre
sprezzati… Li accolse alla fine
vestendosi come la madre amorosa
diceva, di prendere questo e non quello,
cambiare un colore, le scarpe, dipingere un labbro,
un modo di spingere il piede, così che da solo
sembrasse avanzare…
Così discese le scale. Varcando la soglia,
sembrò non vedere né strade né volti
a sghignazzo osservarla in ancheggio, ma tutta
rivolta ad un buio di cose e di luce
ove immergere spirito e corpo, avanzava
dimentica d’esser qual era.
Ma ecco che udì come un vento
sonoro, un soffio che lento, vicino
al silenzio diceva al suo animo: “Oh bella,
che il bello tuo dolce non vedi né sai…
o anima tanto più bella per quanto t’ignori…”
Così nella vita s’immerse, ascoltando amorosi
i pareri di padre e di madre, amici e fratelli,
la propria bellezza animando a loro piacere.
*Domenico Alvino*