Nazario Pardini ha al suo attivo molte raccolte di poesia. È un personaggio, noto, da decenni nel campo della scrittura. Sulla sua produzione hanno scritto i più qualificati critici letterari. Alla sua poesia sono state applicate varie chiavi interpretative, dalla motivazione esistenzialistica a quella psicanalitica alla religiosa a quella naturalistica. Ad essa egli perviene in maniera quasi inconscia, o meglio, sulla scorta di un cammino empirico, di sofferenze vissute e ben radicate nel quotidiano. Il suo pensiero non conosce la freddezza dell’astrazione filosofica. È piuttosto un’analisi che scandaglia gli abissi della coscienza, una sorta di speleologia dell’anima che procede per constatazioni. Un narrare per sottrazione, incarnato in una lingua nuda e spinosa, che mira allo svuotamento e alla esasperazione delle forme implicite nella realtà. Un’essenzialità ascetica anima il lessico di Nazario Pardini, quasi retaggio atavico della sua terra di toscana come nella lirica La solitudine del mare: “Sono solo e l’inverno mi percuote / coi suoi venti freddi e burrascosi” o nella lirica E venne sera: “La luce crepitante dell’estate / invadeva la piana, delle reste / il giallo profumato d’erba stanca.” O nella lirica Vis à vis con la sorte: “Sono troppi i ricordi. / D’altro lato / non è che il vento li possa disperdere / come fossero foglie”. Sarebbe fuorviante definire Pardini mistico dell’essenza, perché si verrebbe inevitabilmente ad intaccare quella razionalità di pensiero e quella misura che caratterizzano il suo fare poesia. Eppure non gli sfugge il senso della sproporzione essenziale dell’uomo, la macerazione spirituale che deriva dalla consapevolezza di essere un frammento sospeso nel vuoto del tempo ma nello stesso tempo di rappresentare qualcosa di unico grazie al pensiero. La natura così ritorna e riecheggia spesso sovrana e con lei i vecchi sopravvissuti di un tempo non alienato e non urbanizzato in cui “La luce crepitante dell’estate / invadeva la piana, delle reste / il giallo profumato d’erba stanca. / Sortivano i rumori dalle scaglie / di sterpaglie corrose.” (Venne sera). Ritorna così l’infanzia dei ricordi come nella poesia In una immensità che ti rapina: “Lasciatemi almeno le memorie / di questo sacro fiume; il verde canto / delle acque moriture; il fluire / delle immagini fioche di stagioni / che si affidavano a un guado indagatore / di sponde misteriose”, come il microcosmo di valori che incarna, tenace nel suo perpetuarsi tra padre e figlio, metafora della speranza sempre presente nell’uomo. Si leggano i versi della struggente poesia Disatteso: “Disatteso mi è apparso questa notte / il campo di mio padre. Una vigna. / Sicuramente in sogno. Lui che sfrasca / ed io che apro, di ritorno da scuola, / le braccia al genitore”. Ma sono la speranza e l’amore i cardini della poesia di Nazario Pardini: infatti anche davanti allo spettro della morte il poeta trova sempre l’umano urlo della rivincita. Egli vive in ogni uomo e dell’uomo scruta la trasparenza caducità e per questo il poeta esalta le cose più semplici. Per lui è essenziale fermare il tempo ma anche scrutare nella mobilità mentale dell’uomo per scoprirne i disagi e la parte più creativa della sua odissea umana, per potere poi cogliere quegli aspetti che spesso sfuggono anche all’ osservazione più attenta. “Ti posso solo dire dell’inquieto / mio essere. Del suo bramare invano; / del suo microscopico restare / davanti a un mondo che non ha ragione / di essere tanto immenso e così estraneo / al pensiero di un uomo troppo umano” (Non chiedermi). Il messaggio della poesia deve contenere i valori più intimi della vita e dell’esperienza umana. Per questo il poeta trascende con i propri versi la realtà e nella meditazione e nella densità dei concetti egli vive la propria odissea di uomo, di cronista della propria storia ma anche di quella degli altri, che vede compagni di un viaggio senza ritorno.

Nazario Pardini
Proprio per questo Pardini avverte nella sua libertà una simbologia che costruisce i caratteri esteriori dell’uomo, così soffocato da un dinamismo moderno senza precedenti. Meditazione, recupero, densità dei concetti, abilità evocativa e psicologica del profondo sono le componenti essenziali della sua ispirazione, specchio di un’anima non inquinata, dotata com’è della capacità di comprendere e di cercare nell’uomo ciò che spesso sfugge alla maggior parte di chi affronta una ricerca tesa a rilevare le problematiche esistenziali che in ogni tempo lo hanno condizionato. Ed è forse qui che il poeta rispecchia la sua amarezza: avverte la sottile presenza non della morte fisica ma dell’essenza dell’intelligenza umana che si perde nell’infinito cosmico, in questo ritrova se stesso e l’amarezza di non poter creare, di non potere sentire ed esprimere quella poesia del suo stesso pensiero che lo porta a vibrare all’unisono con la totalità umana. “Ci sono cose molto più feconde/a riempire il fondo della sacca:/il dolore di un figlio che ti lascia,/l’inquietudine che provi nella vita,/la gioia per un mondo ritrovato,/il senso di una noia che ti assedia,/lo smarrimento in cieli senza fine” ( L’incendio dei papaveri I). Se la musicalità del verso e il fluire delle immagini sono le componenti più significative, è necessario aggiungere che sulla via della chiarificazione interiore e della conquista spirituale, il poeta non è mai solo; va oltre la suggestione crepuscolare nonostante alcune liriche appaiono il riflesso amaro della meditazione sull’esistenza, soprattutto sulla morte, contro la quale alza la bandiera della stessa poesia piena di vita e amore. E il tema del ricordo non è mai fine a se stesso ma è strumento per accedere a una sorta di dominio ancestrale della terra, in una componente solare. Il ricordo del padre e della madre diventano così indicazione di un nuovo percorso da raggiungere: “… forse non era luce, / forse non era / quella che io bramavo, / ma pur sempre la luce, quella chiara, / quella di casa mia. / Chi dice che non fosse / quella che io cercavo” (Verso la luce). La vera strada del ritorno, che è poi l’essenza pura del nostro vivere.
Michele Miano
L’ha ribloggato su " Vola alta parola".
Essere presenti sul BLOG di Luciano Nota è motivo di orgoglio e di prestigio. Vadano a lui, grande scrittore, i miei più sentiti ringraziamenti.
Nazario Pardini