
Jorge Luis Borges, Buenos Aires, 24 agosto 1889 – Ginevra, 14 giugno 1986
Anche J. L. Borges, il famoso scrittore argentino, fa parte del novero di quegli scrittori che avendo conseguito fama e successo con le sue opere in prosa viene trascurato nella rivisitazione della sua opera poetica. La poesia dà inizio e conclude la sua opera di scrittore. Nel mezzo ci sono i suoi saggi ed i suoi magnifici racconti, che col tempo si confonderanno in uno stesso genere. Negli anni Trenta Borges scrive la biografia “inventata” di Evaristo Carriego, i racconti “falsificati” di Storia universale dell’infamia (1933), e i saggi, a carattere divagante: Discussione (1932), Storie dell’eternità (1935). Le cose migliori sono probabilmente i racconti di Finzioni (1944), e L’Aleph (1949): le opere che lo hanno reso immortale. Borges qui trova il suo stile e il suo contenuto, consistente nell’arte di inventare una trama su rari e complessi riferimenti libreschi e eruditi. Usa le cifre di una mitologia letteraria in cui sono presenti quali simboli alcuni elementi: la biblioteca, il labirinto, gli scacchi, lo specchio. Rientrano in questo universo il senso imprecisato dello spazio e del tempo, e l’uso di “generi” letterari definiti all’epoca “minori” come il poliziesco e soprattutto con le novelle ( Finzioni, Aleph, Il manoscritto di Brodie…): è stato di certo un po’ dimenticato come poeta. Eppure ha al suo attivo parecchie raccolte notevoli come: Fervore di Buenos Aires, L’altro, lo stesso , L’elogio dell’ombra, L’oro delle tigri, La rosa profonda…
Le prime opere di Borges sono poesie di argomento soprattutto argentino. Tra queste prime opere è possibile segnalare un gruppo che rivela una tendenza alla riflessione e al lavorìo intellettuale sulla e della memoria, che sarà poi una caretteristica del Borges successivo: poesie interessanti, che si nutrono di alta tradizione, di libri, di letteratura ( da Omero a Dante, da Cervantes all’inglese ammirato Browning..), in una catena di riferimenti culturali, meditazioni e riflessioni proprie di un lettore eccezionale, da non trascurare. Ho riletto in proposito con emozione la “Poesia congetturale” di J.Luis Borges ritrovandola del tutto casualmente in esergo nell’ultimo romanzo di L. Pariani: Caddi, e rimase la mia carne sola, ed. Effigie, che racconta la morte di Che Guevara ( romanzo affascinante, di cui parlerò forse a suo tempo). La poesia borgesiana fa parte della raccolta L’altro, lo stesso, la sua raccolta preferita. Composto per progressivi incrementi intorno a un nucleo originario di sei testi –all’inizio degli anni Quaranta –, L’altro, lo stesso vede la luce nel 1964 : una raccolta che ci consente di seguire la poesia di Borges e la sua evoluzione , lungo l’arco di oltre un trentennio.
Nel Prologo Borges sintetizza con queste parole la traiettoria della sua poesia che è anche un’ipotesi di biografia letteraria: «È curiosa la sorte dello scrittore. Agli inizi è barocco, vanitosamente barocco, ma dopo molti anni può raggiungere, con il favore degli astri, non la semplicità, che non è niente, ma la modesta e segreta complessità». Sottolinea così l’evoluzione della sua scrittura poetica, dall’abbandono delle «innocenti novità rumorose» ( quelle dell’ultraismo avanguardistico delle origini) importata dai suoi soggiorni europei, alla conquista di una compostezza e misura formale, che si nutre di un’alta tradizione e che gli permette di tradurre in un linguaggio nitido, essenziale, diretto ma anche denso, una intensa riflessione sul destino umano e la enigmaticità del reale e di frequentare le sue ossessioni metaforiche. Di tale classicissimo ideale fa parte Poesia congetturale, che trova la sua più compiuta espressione, nella ricerca della sua identità, della sua storia biografica, che perdura insieme ai temi personali che Borges chiama le «mie abitudini»: «Buenos Aires, il culto degli antenati, la germanistica, la contraddizione fra il tempo che passa e l’identità che permane, lo stupore che il tempo, nostra sostanza». La ‘poetica congetturale’ di Borges prende avvio da visioni, ricordanze, collezioni private di ritratti, presagi che hanno il fascino delle cose presunte, delle situazioni immaginarie, dei miraggi che sconcertano. È convinto che per un vero poeta, ogni momento della vita, ogni fatto, dovrebbe essere poetico, visto che nel profondo è magico . Borges evoca effigi remote fino all’assurdo, ‘logorate dal tempo’, rivisitate come in un sogno, guerreschi fragori e fulgori di epopee coloniali, ma anche domestiche mitologie americane, il tema morale del coraggio, e si immerge in patetici scorci suburbani di una Buenos Aires emblematica, con ricchi riferimenti culturali ricchi di nostalgia. L’Ottocento racchiude per Borges il tesoro di una pienezza impossibile: la tradizione inglese del padre, con la sua biblioteca e i suoi idoli letterari, ma anche l’epica dei suoi antenati criollos, per i quali essere argentini «fu una missione»; il fragore dell’azione, del «contatto degli acciai», il coraggio; la gloria degli avi guerrieri; il colonnello Isidoro Suárez, Francisco de Laprida, Isidoro Acevedo… Questa è la patria che Borges sceglie di non aver avuto: la patria che non finisce mai di perdere, instancabilmente, nel corso di tutta la sua opera.
Il personaggio- guerriero o letterato che sia- in un estremo tra armi e lettere, spade e libri, di cui ci narra, e che in genere è personaggio famoso ( Carlo XII re di Svezia, Tamerlano, i filosofi come Eraclito, Spinosa …), costituisce quasi un’epica contemporanea; vengono colti nel sogno essenziale in un momento privilegiato, che spesso coincide con la morte, come per l’antenato cui dedica la poesia. Ma chi ha la capacità di tener testa al proprio destino – letterato o uomo di spada- è comunque un uomo d’armi: “Ho degli antenati militari da entrambi lati della mia famiglia e questo può spiegare la mia smania per quel destino epico che, senza dubbio molto saggiamente, gli dèi mi hanno negato.” (Abbozzo di autobiografia) Ed ancora: “…Ti offro i miei antenati, i miei morti, i fantasmi a cui i viventi hanno reso onore col marmo: il padre di mio padre ucciso sulla frontiera di Buenos Aires, due pallottole attraverso i suoi polmoni, barbuto e morto, avvolto dai soldati nella pelle di una mucca; il nonno di mia madre – appena ventiquattrenne – a capo di un cambio di trecento uomini in Perù, ora fantasmi su cavalli svaniti….” La sua “poesia congetturale” infatti è dedicata alla morte di Francisco Narciso Laprida, il suo antenato, uomo di legge e presidente del congresso di Tucuman, che proclamò l’indipendenza dell’Argentina dalla Spagna, assassinato in piena guerra civile nel 1829 dai gauchos, gli uomini della pampa, i guerriglieri di Aldao che militavano nelle bande militari dei federalisti. Quella morte, senza che il cadavere venisse ritrovato, portò alla mente di Borges la poesia dantesca, che andava ormai leggendo in italiano, ed in particolare il V° canto del Purgatorio ( il personaggio di Bonconte da Montefeltro, la sua fuga e la sua morte solitaria) come si evince dai pensieri del protagonista che infine trova il senso del suo “destino sudamericano”.
Maria Grazia Ferraris
Poesia congetturale
Fischian le palle nella sera ultima.
Vento e ci sono ceneri nel vento,
si disperdono il giorno e la battaglia
deforme, e la vittoria è dei nemici.
Sono i barbari, i gauchos che vincono.
Io, che studiai i canoni e le leggi,
io, Francisco Narciso de Laprida,
la cui voce gridò l´indipendenza
di queste terre crudeli, sconfitto,
di sangue e di sudore brutto il volto,
senza speranza né timore, perso,
per i sobborghi estremi fuggo al Sud.
Come quel capitano in Purgatorio
fuggendo a piedi e insanguinando il piano
fu accecato e abbattuto dalla morte
dove un oscuro fiume perde il nome,
cosí dovrò cadere. Oggi è la fine.
La notte laterale dei pantani
m´insidia e m´imprigiona. Odo gli zoccoli
della mia calda morte che mi cerca
con cavalieri, con musi e con lance.
Io che sognai d´essere un altro, un uomo
di sentenze, di libri, di verdetti,
a ciel sereno giacerò tra il fango;
ma mi delizia il cuore, inesplicabile,
un giubilo segreto. Infine trovo
il mio destino sudamericano.
A questa atroce sera m´ha condotto
il labirinto plurimo dei passi
che i miei giorni tramarono da un giorno
dell´infanzia. Ho scoperto finalmente
la recondita chiave dei miei anni,
la sorte di Francisco de Laprida,
la lettera mancante, la perfetta
forma che seppe Dio fin dal principio.
Nello specchio di questa notte tocco
il mio ignorato volto eterno. Il cerchio
sta per chiudersi. Attendo che ciò avvenga.
Preme il mio piede l´ombra delle lance
protese. Già il ludibrio della morte,
i cavalieri, i criniti cavalli
mi sovrastano… Sento il primo colpo,
il duro ferro che mi squarcia il petto,
il coltello profondo nella gola.
Jorge Luis Borges