Due carmi di Catullo liberamente tradotti da Roberto Taioli

Catullo

XXXI

Paene insularum, Sirmio, insularumque
ocelle, quascumque in liquentibus stagnis chiasmo
marique vasto fert uterque Neptunus,
quam te libenter quamque laetus inviso,
vix mi ipse credens Thuniam atque Bithunos
liquisse campos et videre te in tuto.
o quid solutis est beatius curis,
cum mens onus reponit, ac peregrino
labore fessi venimus larem ad nostrum,
desideratoque acquiescimus lecto?
hoc est quod unum est pro laboribus tantis.
salve, o venusta Sirmio, atque ero gaude
gaudente, vosque, o Lydiae lacus undae,
ridete quidquid est domi cachinnorum.

 

Brillore delle isole, Sirmione, e di penisole
quante nelle vitree acque
e nell’immenso oceano cura il duplice Nettuno,
con quale ansia di cuore e gioia mi riappari!
e quasi manca a me la fede di aver viaggiato via
da prati Tinii e Bitini e nella salvezza ora rivederti.
O chi è più felice di chi libero,
abbandonato il bagaglio di tante strade.
stanco, giunta alla meta nativa, gusta
il torpore del letto.
e la compensa è questa di tanti travagli.
Sirmione bella, salve! E abbi gioia del tuo signore:
e voi gioite in risa, Lidie acque del lago:
gioite di quanto d’allegria v’è nella dimora.

 

LXXXV

Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior.

 

Al dubbio della tua domanda
perché amore e odio volga
ad un tempo a te
risponde la mutezza del mio io
inconsapevole
nel doloroso mio dilemma.

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