“L’ora Presente” di Yves Bonnefoy, letto da Narda Fattori

bonnefoysYves Bonnefoy, un grande poeta, una delle voci in assoluto maggiori della poesia del Novecento e contemporanea, giunto al traguardo dei novant’anni, prosegue la sua straordinaria avventura intellettuale con un nuovo libro che apre alla meditazione, che coinvolge una serie impressionante di immagini, brandelli di figure e simboli, che lavora con rigore sulla scala cangiante della forma, sull’essenzialità di una parola sempre più asciutta e potente, in un tono allo stesso tempo solenne e discreto, controllatissimo. Bonnefoy in “L’ora presente” (Lo Specchio, Mondadori, 2011).compone un testo articolato in una serie di composizioni in versi e di prose poetiche nelle quali sembra veder riaffiorare- o voler recuperare- quelle impressioni o quei bagliori misteriosi, onirici che la mente reprime e allontana nel normale tempo di veglia.

L’ORA PRESENTE

Quel piroscafo, i suoi ponti illuminati,
Che di notte puntava dritto sulla barca,
Poteva rallentare la sua corsa, trattenere
L’onda che fa sbandare ciò che è,

E far tacere le sue musiche, in alto nel cielo,
E rifiutare il segno dei suoi fumi?
No, passa, s’allontana. La barca resta
Titubante nell’ incavo della scia.

La barca? No, cancello questa immagine
Che serve solo al sogno. Non esistono
Figure scolpite alla prua del mondo.

E che avrebbe fatto di nessuna allegoria
Quando rientrava, di sera? Già la morte
Afferrava la sua mano, gli diceva di seguirla.

 

IL BAMBINO DEL SECONDO GIORNO

II dio che qui errava, di buon mattino,
Che avrebbe sperato dalla parola?
Non fece altro che raccattare pietre,
Sono quei mucchi visibili, ai crocevia.

Ma venne un secondo giorno. E apparve quel bambino
Che raccoglie, incerto, un ramoscello
Per donarlo, infinito nella sua mano tesa,
Ad altri che, sorpresi nel loro gioco, tacciono.

Lo guardano avanzare, volgono il capo altrove,
Il cielo con gran tuonare attraversa gli alberi,
Il suo lampo s’ abbatte, dove udivo quelle risa.

All’imbrunire del secondo giorno il mondo cessa,
Quel che avrebbe potuto essere non sarà,
L’intera notte piove fino alla radice dell’erba.

 

NESSUN DIO

Nessun dio l’ avrà voluto, e neanche saputo,
Nessuno l’ha accompagnato nella sua fatica,
Un sogno, questo bambino sul viale
che cammina accanto a lui, cinto di luce.

Nessuno è morto all’ ora in cui è morto,
Ha preso la sua mano nel letto sfatto,
Nessuno avrà mai lavorato accanto a lui
Nell’officina che sostituì la vita.

Risale, nelle parole che dicono il mondo
Il suo silenzio, che le nega, che mi chiede
D’immaginarne altre, ma non posso.

Nessuno ha posato lo sguardo su di lui.
Quel che avrebbe potuto essere non sarà.
La parola non salva, talvolta sogna.

 

DARE DEI NOMI

Lei si china su di lui, mormora:
Vuoi che diamo ancora dei nomi,
Perché sai se mai ci rivedremo?
Si, lui dice, io ti chiamo, esitazione
Che ha avuto quel rondone spiccando il volo,
Cosa ha visto che lo tenne come sospeso
Un istante nel grido di tutti quegli altri?
Voglio darti un nome per ricordarmi.
Poi gira pagina. Ciò che vede
E’ quella stessa giovane donna, sorridente,
Pare che rientri da un lungo viaggio.
Come mi chiami? lei chiede,
Preoccupata, con tristezza. E cala la notte,
Quei rondoni, un’ ala immensa nel cielo.

 

EPPURE IO POSSO DIRE

Eppure, io posso dire
Le parole civetta o arenaria o cielo
O la parola speranza,
Ed ecco che, alzando gli occhi, io vedo questi alberi
Che sulla strada un sole serale infiamma.
E un fuoco di grande dolcezza, le sue chiare braci
Hanno tramutato il fogliame in luce,
E qui c’e il prato, laggiù delle cime,
E le loro mani si congiungono, i loro corpi si cercano
Con questa evidenza, silenziosa,
Che si deve proprio chiamare bellezza.
Io guardo questi alberi per un’ora intera,
E’ qualcosa di visibile, appena, poiché
La visibilità diviene oro puro
Quando invece attorno cala la notte.
Io ascolto una parola, cerco di vedere ciò che indica,
E mi sembra, incontenibilmente,
Che questa cosa si ricolori, che degli occhi
Si riaprano, stupiti.

 

NEL SOGNO DI PIETRA DELLO SPIRITO

Nel sogno di pietra dello spirito.
Le parole sono portatrici di qualcosa di più di noi,
Ne sanno più di noi, esse cercano
Sul bordo di un’acqua del fondo del nostro sonno,
Nera quanto rapida, respinta,
II guado d’una luce? E questa luce
Ha senso, su una via del tutto diversa,
Certamente, dalla speranza solo di ieri?
Io ascolto una parola, l’avvicino a un’altra,
Quel dormiente e quella dormiente si risvegliano
In un po’ di sole, le loro mani si toccano,
Non c’è lì che desiderio,
Lo stesso sogno che cambia volto?
Il lampo che squarcia invano il cielo di qui?

Ma veritiera è la pittura di paesaggio,
Veritiero il fiore
Della ginestra, nel deserto,
Veritiera la voce che l’ha nominato
Nelle nostre parole sterminatrici, su tristi chine.
E guarda, sul sentiero,
Quei due che s’allontanano.
D’un tratto si fermano,
Si voltano l’uno verso l’altra. S’affrontano,
S’insultano, si dilanieranno, per angoscia
D’essere l’illusione che sanno di essere?
Ma no, sembrano guardare il cielo della sera,
Dove un sole bambino appare, la sua testa immensa
Già alta sul vecchio orizzonte.

Ed è vero che gli alberi che ho visto
Farsi incandescenza continuano,
Poco lontani da loro, a essere questa raggio.

5 commenti
  1. Versi sublimi nel loro formarsi e venire alla luce: ma dopo come pieni e perfetti, come avidi e prepotenti nel cantare la totalità delle lacerazioni così dolorose anticipano il trafiggere di quel silenzio invisibile che rischia di essere sottratto dall’oblio.

  2. Il Trattato sul Pianista dovremmo portarcelo tutti in tasca ogni giorno, ringrazio Narda Fattori, attraverso la proposta e la lettura di queste poesie di avermelo ricordato.

  3. Grazie , amici. La grande poesia stimola il nostro versificare, si pone alta , suggestiva e invitante. Chiama alla profondità e alla bellezza della visione dove anche la miseria e la solitudine stabiliscono uno statuto di “bellezza” e di umanità-
    NARDA

  4. Accostarsi ai versi di Bonnefoy può far diventare incandescente il pensiero, è portarsi nel cavo di un silenzio imperscrutabile che chiede nomi per colmarsi di senso. è lo “statuto di bellezza” di cui parla Narda Fattori, l’esigenza indicibile di assoluto di cui si ha rispetto come del sacro.
    grazie per ricordarlo anche qui, Narda.

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