Vladimir Semënovič Vysockij, in russo: Владимир Семёнович Высоцкий, traslitterato pure come Vysotsky o Vysotskij (Mosca, 25 gennaio 1938 – 25 luglio 1980), noto anche con il diminutivo Volodja, è stato un attore, chitarrista e poeta sovietico. Figlio di un colonnello dell’Armata Rossa ebreo d’origine e di una interprete russa, in seguito al divorzio dei genitori nel 1946 segue il padre che viene trasferito in Germania e che ha una nuova compagna armena. Nel 1949 la famiglia torna a Mosca dove Vysockij frequenta un gruppo di teatranti. (da 19 canzoni, Stampa Alternativa, 1992 Trad. Silvana Aversa)
SULLE DATE E SUI NUMERI FATALI
miei amici poeti
Chi è morto tragicamente, è un vero poeta,
E se al momento giusto, lo è del tutto.
Al numero 26 uno di loro andò dritto verso una pallottola,
Un altro infilò la testa nel cappio all’“Angleterre”. (1)
A 33 anni Cristo… (era un poeta, diceva:
“Su, non uccidere! Se ucciderai, io ti troverò dappertutto”).
Ma gli misero i chiodi alle mani, perché non combinasse qualcosa,
Perché non scrivesse e perché pensasse meno.
A me, a 37 anni, − ora come ora mi sta passando la sbornia.
Ed ecco rabbrividisco:
A questo numero, Puškin arrivò giusto in tempo per il suo duello
E Majakovskij incollò la tempia alla bocca della pistola. (2)
Fermiamoci al numero 37! Dio è perfido,
Pose la questione come aut-aut.
Byron e Rimbaud sono caduti a questa soglia,
Ma i nostri contemporanei l’hanno oltrepassata.
Il duello non ha avuto luogo o forse è stato rinviato,
A 33 anni c’è stata crocefissione ma non grave.
E a 33 anni non c’è stato sangue, ma che sangue?! E i capelli bianchi
Non hanno macchiato troppo le tempie.
E tirarsi un colpo? Da un pezzo il cuore è saltato in gola.
Pazienza, psicopatici e isterici!
I poeti camminano sul filo del rasoio
E si tagliano a sangue le loro anime scalze.
Il poeta ha un collo troppo lungo.
Accorciare il poeta! La conclusione è chiara, −
Ha un coltello conficcato! Ma lui è felice di pendere sgozzato
Dalla lama, per essere stato pericoloso!
Vi compatisco fanatici delle date e dei numeri fatali!
Languite come concubine nell’harem!
La durata della vita è aumentata, e forse anche la fine
Dei poeti si è spostata di un po’!
1971
(l) Il riferimento è al poeta Lermontov, morto nel 1841 in seguito ad un duello, all’età di 26 anni.
Esenin si impiccò nell’hotel “Angleterre” nella notte tra il 26 e il 27 dicembre 1925.
(2) Puškin fu ferito a morte in un duello nel 1837.
Majakovskij si suicidò con un colpo di pistola nel 1930 all’età di 37 anni.
Zero-sette
[1969]
A Ljudmila Orlova
Questa notte per me è fuorilegge.
di notte che nascono le mie canzoni.
Impugno il disco del telefono
E compongo l’eterno zero sette.
«Signorina, salve! Il vostro nome?» – «Tamara.»
«La settantaduesima! Aspetto trattenendo il respiro!
No, è impossibile! Riprovate! Sono sicuro, lei è a casa!
Ecco, rispondono! – Salve, sono io!»
Questa notte per me è fuorilegge.
Io non dormo, vi prego fate presto!
Perché mi offrono le persone amate
A credito o a rate?
«Signorina, mi ascolti!
Lei, la settantaduesima!
Non posso aspettare, – l’impazienza cresce.
Al diavolo tutte le linee! Domani prendo il volo!
Ecco, rispondono! – Salve, sono io!»
Il telefono per me è come un’icona,
L’elenco telefonico – un trittico,
La centralinista è diventata la Madonna
Che riduce all’istante la distanza.
«Signorina, sia gentile!
Ancora un attimo, la prego!
In questo momento siete un angelo, non scendete dall’altare!
La cosa più importante non è ancora arrivata, capitemi!
Ecco, rispondono! – Salve, sono io!»
Cosa? Di nuovo un guasto sulla linea?
Cosa? Il ripetitore e la centrale fanno i capricci?
Non importa, aspetterò, sono pronto
A ricominciare ogni notte da zero.
«Zero sette! Salve!
Sono ancora io.» – «Desiderate?»
«No! Non è più necessario. Mi dia Magadan.
È solo per un amico, voglio sapere come sta quel poveretto così lontano.»
Questa notte per me è fuorilegge.
Tutte le mie notti non son fatte per il sonno.
Io mi addormento, sognando la Madonna
Che assomiglia a qualcuno che conosco.
«Signorina, sia buona!
Sono ancora io, Tamara!
Non posso più attendere, il mio orologio si è fermato.
Sì, è per me, di sicuro! – Sì sono certamente a casa!»
«È arrivata la linea. Rispondete!» – «Salve, sono io!»
Dopo le superiori vorrebbe seguire una formazione artistica ma su richiesta dei genitori si iscrive al corso di ingegneria, che pure abbandona quasi subito. Entra allora in un istituto di teatro dove segue corsi di canto.
Nel 1960 si sposa con una compagna di corso dalla quale divorzia l’anno dopo. Nello stesso anno, dopo un incontro con il poeta e cantante Aleksandr Galič, inizia a dedicarsi alla chitarra e a cantare canzoni su diseredati (galeotti e malavitosi). Comincia pure la sua esperienza come attore. Nel 1961 scrive la sua prima canzone. In questo periodo cominciano a circolare sue registrazioni artigianali su cassetta, benché rimanga sconosciuto al pubblico.
Nel 1963 si sposa per la seconda volta, con l’attrice Ljudmila Abramova, e dedica molte energie allo scrivere canzoni e comporre musiche. Nel 1964 viene assunto al teatro Taganka non tanto per le sue doti di attore quanto per la sua fama di cantante. L’anno seguente diviene un importante attore del Taganka e viene pubblicato il suo primo disco con le musiche della colonna sonora del film Verticale. Nel 1967 conosce sul set di un film l’attrice francese di origine russa Marina Vlady (Marina De Poliakoff-Baidaroff), che sposerà il 1º dicembre 1969.
Eventi politici nell’Unione Sovietica portano a misure che ostacolano l’attività di artisti non sufficientemente ligi alle direttive governative. Vysockij viene boicottato e non viene ammesso all’Unione degli scrittori. Nel 1970 viene pubblicata la nota canzone “La caccia ai lupi” (Ochota na volkov). Nel 1975 ottiene (grazie al fatto di essere sposato con una straniera, Marina Vlady, iscritta al Partito comunista francese) il passaporto e può viaggiare all’estero, ma non approfitta mai di tale libertà per scappare oltre la cortina di ferro.
Nel 1979 rischia di morire per crisi cardiaca, dovuta pure ad eccessi alcoolici ai quali si aggiunge la dipendenza dalla morfina.
Il 25 luglio 1980 muore per arresto cardiaco e ai suoi funerali svoltisi a Mosca partecipano centinaia di migliaia di persone, malgrado la notizia fosse stata taciuta dalla stampa.
Nel 1993, il Premio Tenco ha promosso una raccolta di canzoni, pubblicata dalla Ala Bianca, intesa come omaggio a Vladimir Vysockij, ad opera di numerosi cantautori italiani, tra cui Roberto Vecchioni che interpreta Vladimir ed Eugenio Finardi magistralmente Он не вернулся из боя (‘Dal fronte non è più tornato’). Nel disco compare anche la canzone Ochota na volkov, cantata da Vysockij.
L’album dal vivo “Live in Volvo” di Vinicio Capossela, pubblicato nel 1998, contiene una traccia intitolata “Il pugile sentimentale”, brano in cui il cantautore italiano riprende e adatta alla lingua italiana l’omonima canzone incisa da Vysockij nel 1966. (Giorgio Linguaglossa)
BOL’ŠOJ KARETNYJ
Dove sono i tuoi diciassette anni?
– Sul Bol’šoj Karetnyj.
Dove sono le tue diciassette sventure?
– Sul Bol’šoj Karetnyj.
Dov’è la tua pistola nera?
– Sul Bol’šoj Karetnyj.
Dov’è che non sei più oggi?
– Sul Bol’šoj Karetnyj.
Ti ricordi di questa casa, Compagno?
No, di certo non te la sei scordata.
Chi non è mai stato sul Bol’šoj Karetnyj
S’è perso metà della sua vita.
Lo credo bene!
Dove sono i tuoi diciassette anni?
– Sul Bol’šoj Karetnyj.
Dove sono le tue diciassette sventure?
– Sul Bol’šoj Karetnyj.
Dov’è la tua pistola nera?
– Sul Bol’šoj Karetnyj.
Dov’è che non sei più oggi?
– Sul Bol’šoj Karetnyj.
Oggi hanno cambiato il suo nome
E tutto ha un volto nuovo, che tu ci creda o no.
Eppure, ovunque tu sia, ovunque tu vada
Passerai per il Bol’šoj Karetnyj.
Lo credo bene!
Dove sono i tuoi diciassette anni?
– Sul Bol’šoj Karetnyj.
Dove sono le tue diciassette sventure?
– Sul Bol’šoj Karetnyj.
Dov’è la tua pistola nera?
– Sul Bol’šoj Karetnyj.
Dov’è che non sei più oggi?
– Sul Bol’šoj Karetnyj.
CANZONE DEL PUGILE
SENTIMENTALE
Un colpo, un colpo… un altro colpo…
Ancora un colpo…ed ecco che
Boris Butkeev, detto Krasnodar
Piazza un suo uppercut.
Mi spinge nell’angolo,
Quasi gli sfuggo…
Ma un suo uppercut mi stende a terra,
E non mi sento affatto bene!
E Butkeev pensava, mentre mi spaccava la mascella:
“Vivere è bello, la vita è bella!”
Si conta fino a sette e io sto ancora steso,
Piangono a dirotto le mie compaesane.
Mi rialzo, mi slancio, lo schivo
E segno dei punti.
Non è vero che riservo
Le mie forze per la fine,
Dall’infanzia non mi riesce
Colpire un uomo in faccia.
E Butkeev pensava, mentre mi spaccava le costole:
“Vivere è bello, la vita è bella!”
Sulle tribune, fischi ed urla:
“Attaccalo! E’ un vigliacco!”
Butkeev cerca il corpo a corpo
E io mi stringo alle corde.
Ma mi si butta addosso, è un siberiano
Cocciuto come un mulo,
E gli dico: “Sei un balordo!
Sei stanco, eh? Riposati un po’! “
Ma lui non sentiva e pensava, ansimando,
Che vivere è bello, la vita è bella!
E continua a picchiare, forte come un demonio,
La vedo proprio buia.
La boxe non è solo rissa, è uno sport
Per uomini coraggiosi eccetera.
Ma ecco che colpisce: una, due, tre volte,
Fino a perdere le forze.
L’arbitro mi alza il braccio
Con il quale non ho combattuto.
Lui stava a terra e pensava che la vita è bella.
Bella per qualcuno; per altri, una rottura di palle!
Il tatuaggio
Non ti abbiamo spartito e neanche viziato.
E che ti amammo è ormai acqua passata.
Io porto in petto la tua bella immagine, Valja,
Alioscia invece sul petto se l’è tatuata.
E quel giorno che ci salutammo alla stazione,
di ricordarti sino alla tomba io promisi.
“Non scorderò mai Valja in vita mia!” dissi.
“Né tanto meno io!” mi rispose Alioscia allora.
E adesso decidi per chi di noi è peggio,
e per chi è più triste, raccapezzati un po’!
Lui si porta il suo profilo tatuato di fuori
e io invece ho l’anima trafitta di dentro.
E quando sto così male da buttarmi a mare –
ma che queste parole mie non ti offendano! –
prego Alioscia di sbottonarsi la camicia
e guardo te, guardo te per ore intere.
Sì, lo so che diffamare gli amici non sta bene,
eppure è un fatto che tu mi sei più cara e vicina,
perché il tatuaggio mio, o diciamo meglio il tuo,
è assai più bello e migliore che non il suo.
Ehi, autista, portami alla masseria Butyrka
“Ehi, autista, portami alla masseria Butyrka,
dove sta la prigione, e corri un po’ forte!” –
“Sei in ritardo, compagno, di due anni ti sbagli,
hanno buttato giù la prigione per farne mattoni!”
“Peccato, perché stamattina di buon’ora
avevo deciso di visitare i luoghi ben noti,
e va bene! Se così è, autista,
portami invece sino alla Taganka.
Ci sono già stato e le darò un’occhiata.!”
“E’ demolita la vecchia Taganka,
da cima a fondo. E’ saltata per aria!” –
“ Allora svolta, autista, gira il tuo volante,
ce ne torneremo a casa a mani vuote.
Ma no, aspetta, prima fumiamo
o piuttosto beviamo subito un goccetto.
Beviamo perché in Russia non ci siano più galere,
perché in Russia non ci siano più campi di lavoro.”
Perché aborigeni mangiarono Cook
Non afferrate i segreti altrui,
Sfuggiti dalle bocche delle vostre amiche.
Rammentate come verso le coste dell’Australia
Si dirigeva oggi defunto Cook.
Come, seduti in un cerchio sotto l’azalea,
Dall’alba al tramonto
Mangiarono in questa soleggiata Australia
L’un l’altro i selvaggi cattivi.
Ma perché gli aborigeni mangiarono Cook?
Per che cosa? Non è chiaro, la scienza tace.
Mi pare sia la cosa molto semplice –
Avevano fame e dunque mangiarono Cook!
C’è un’altra variante che il loro capo Grande
Malvagio,
Gridava che ci fosse il cuoco delizioso alla
nave di Cook.
Ci fu un errore, ecco di che cosa la scienza
tace!
Volevano cuoco, ma mangiarono Cook!
E non ci fu un trucco o espediente:
Entrarono senza bussare
quasi senza rumore,
Avevano adoperato un bastone di bambù,
Zac contro la testa, e non c’è più Cook!
Ma vi è, tuttavia, ancora una supposizione
Che Cook fu mangiato per il grande rispetto.
Che fu lo stregone, furbo e malvagio, a
provocare tutti:
“Dai, ragazzi, prendete Cook
Chi lo mangerà senza sale e senza cipolle,
Colui sarà forte, coraggioso, buono, al pari di
Cook!”
Qualcuno vide sotto la mano una pietruzza,
L’ha lanciò, bastardo, e non c’è più Cook!
Ed i selvaggi sono ora disperati,
Rompono le lance ed archi,
Hanno bruciato e gettato via bastoni di bambù.
Si rammaricano per aver mangiato Cook!
LA VELA
o Canto dell’Inquietudine
L’elica ha squarciato il ventre al delfino,
Nessuno s’attende d’esser preso alla schiena.
I cannoni sono a corto di munizioni,
Bisogna sbrigarsi a virare.
La vela! Hanno strappato la vela!
Mi pento! Mi pento, sì, mi pento!
Perfino di pattuglia puoi non incontrare il nemico.
Una gamba che fa male non è dolore.
I cardini delle porte, per alcuni cigolano e per altri cantano.
Chi siete? Voi non siete attesi qui!
La vela! Hanno strappato la vela!
Mi pento! Mi pento, sì, mi pento!
Lunga vita a coloro che cantano nel sogno,
Il mondo intero può giacere sul fondo.
Tutti i continenti possono bruciare nel fuoco,
Ma tutto questo non è di mio gusto.
La vela! Hanno strappato la vela!
Mi pento! Mi pento, sì, mi pento!
1966
LA CACCIA AI LUPI
Sono stremato, ho i tendini a pezzi,
Ma oggi, ancora come ieri
Sono braccato. Braccato!
I tiratori, allegri, corrono ad appostarsi.
Dietro gli abeti un tramestio di fucili a canne doppie,
I cacciatori sono acquattati nell’ombra,
I lupi si rotolano sulla neve
Trasformandosi in bersagli viventi.
La caccia ai lupi! La caccia!
Ai predoni grigi, vecchi, e ai cuccioli.
I bracconieri urlano e i cani latrano fino alla nausea,
Sangue sulla neve e macchie rosse delle bandierine.
I cacciatori non giocano alla pari
Con i lupi, e le loro mani non tremano!
Hanno accerchiato la nostra libertà con le bandierine,
Ci colpiscono con certezza, sicuri di centrare il bersaglio.
Il lupo non può rompere le tradizioni.
Noi lupacchiotti, da piccoli, cuccioli ciechi
Abbiamo succhiato la lupa,
E con il suo latte, il divieto di oltrepassare le bandierine.
La caccia ai lupi! La caccia!
Ai predoni grigi, vecchi, e ai cuccioli.
I bracconieri urlano e i cani latrano fino alla nausea,
Sangue sulla neve e macchie rosse delle bandierine.
Le nostre zampe e le nostre mascelle sono veloci.
E rispondi, tu che sei il capo branco,
Perché ci avventiamo, braccati, contro i loro fucili
E non cerchiamo di trasgredire il divieto?
Il lupo non può, non deve agire diversamente.
Ecco, è arrivata la mia ora.
Colui al quale sono destinato
Sorride e solleva il fucile.
La caccia ai lupi! La caccia!
Ai predoni grigi, vecchi, e ai cuccioli.
I bracconieri urlano e i cani latrano fino alla nausea,
Sangue sulla neve e macchie rosse delle bandierine.
Ho rifiutato di obbedire,
Ho oltrepassato le bandierine – la sete di vita è più forte!
Ho solo sentito dietro di me, con gioia
Le grida di stupore degli uomini.
Sono stremato, ho i tendini a pezzi,
Ma oggi, non sono come ieri!
Sono braccato. Braccato!
E i cacciatori sono rimasti a mani vuote.
La caccia ai lupi! La caccia!
Ai predoni grigi, vecchi, e ai cuccioli.
I bracconieri urlano e i cani latrano fino alla nausea,
Sangue sulla neve e macchie rosse delle bandierine.
1968
CANZONE DELLA TERRA
Chi ha detto: “Tutto è completamente secco,
Non tornerà più il tempo della semina?”
Chi ha detto che la Terra è morta?
No, s’è nascosta per un po’…
Non possiamo impadronirci della fertilità,
Non possiamo, come non si può svuotare il mare.
Chi ha creduto che la Terra bruciasse?
No, s’è annerita dal dolore…
Come crepe giacevano le trincee
E le buche s’aprivano come ferite.
I nervi della Terra messi a nudo
Conoscono la pena più profonda.
Sopporterà tutto, attenderà.
Tra gli sciancati non mettere la Terra!
Chi ha detto che la Terra non canta?
Che ha perduto per sempre la parola?
No! Echeggia di gemiti soffocati,
Da tutte le sue ferite, da ogni fessura,
La Terra è dunque l’anima?
Non calpestarla con gli stivali!
Chi ha creduto che la Terra bruciasse?
No, s’è nascosta per un po’….
1969
IL VOLO INTERROTTO
Qualcuno scorse un frutto maturo,
Scossero il tronco e il frutto cadde.
Ed ecco a voi la canzone di chi non cantò,
Di chi non sapeva avere una voce.
Forse non era in sintonia col destino
E con il caso -brutti affari-
E la corda tesa per gli accordi
Si tendeva con un difetto impercettibile.
Lui iniziò timidamente con un “do”
Ma non finì di cantarlo…
Il suo accordo non risuonò
E non ispirò nessuno.
Un cane abbaiava e un gatto
Acchiappava i topi.
È buffo, vero? È buffo!
E lui scherzava, ma non finì di scherzare,
Non assaggiò il vino fino in fondo,
E non lo portò neppure alle labbra.
Stava per attaccar briga,
Ma incerto e senza alcuna fretta,
Come goccioline di sudore dai porti
L’anima trasudava sotto la pelle.
Aveva appena iniziato il duello sul tappeto
Ebbe giusto il tempo di iniziare,
Di orientarsi solo un po’ nel gioco,
Ma l’arbitro non dava il via.
Lui voleva conoscere tutto dall’A alla Z
Ma non raggiunse…
Né il mistero, né il fondo,
Non scavò fino alle viscere,
E lei, che fun l’unica,
Non la amò fino in fondo!
È buffo, vero? È buffo!
Lui si affrettò, ma non abbastanza,
Lasciò irrisolto
Tutto quel che non aveva risolto.
Non mento neppure di una virgola,
Lui era schiavo di uno stile puro,
Lui scriveva dei versi sulla neve,
Ma, ahimè! Le nevi si sciolgono.
A quel tempo la neve continuava a cadere
E si era liberi di scrivere sulla neve.
Lui afferrava con le sue labbra, correndo,
I grandi fiocchi di neve e la grandine.
Andando verso di lei in un landò d’argento,
Non la raggiunse…
Il fuggiasco, l’evaso non corse,
Non volò, non saltò abbastanza,
E il suo segno zodiacale -il Toro-
Bevve la fredda Via Lattea.
È buffo, vero? È buffo!
Per una manciata di secondi,
Per un anello mancante,
Un volo interrotto!
È buffo, vero? È buffo!
È buffo per voi e persino per me.
Un cavallo al galoppo e il volo di un uccello, –
Ma di chi è la colpa?
1973
Vysotsky ha avuto il merito di fare di sé un mito. E la sua poesia è diventata un mito, in ciò aiutata dalla potente fascinazione della sua chitarra e della sua inimitabile voce.
Una volta Eco rispondendo a una domanda che gli era stata rivolta ha detto che se un’opera voleva durare nel tempo avrebbe dovuto trasformarsi in un Mito. Il Mito resiste al tempo.
Torniamo alla poesia di Vysotsky o a quella di Luigi Manzi da cui ha tratto questa discussione: la loro poesia è diventata Mito (quella di Vysotsky perché è morto, quella di Manzi perché è scomparso nella propria invisibilità). Sono forme di poesia che si rifiutano di adottare il principio logico dell’inutile o dell’utile ma che adottano il concetto della propria unicità. Tende a diventare mitico ciò che è unico, che non somiglia a niente di ciò che ci circonda, ciò che è irriconoscibile. Il Mito, di cui Erato è fedele ancella, rigetta il pensiero logico come peste bubbonica.
Il pensiero, come attività o fare umano, richiede una causa e uno
scopo, oltre agli strumenti con cui si pensa. Oltre che dai meccanismi psicologici, il pensiero è stato occultato dalla logica. La logica è una forma del pensare tra le tante, che alla fine ha conquistato una sorta di dominio incontrastato, imponendo quasi una sinonimia tra pensiero e pensiero logico, cioè quello articolato secondo i cosiddetti principi di identità, non contraddizione e terzo escluso. Dove questi principi non sono presenti, non sono rispettati, si parla di un pensare non autentico, non vero.
L’identificazione tra il pensiero e la logica, col conseguente disprezzo per tutto ciò che non vi si adegua, sembrava giustificata dalla capacità della logica di pervenire a verità rigorose, e dunque di orientare la vita con certezza e affidabilità. Invece, nel corso dell’Ottocento, quando si è cercato di costruire la logica in modo veramente formale e completamente logico, si è visto che il tentativo risultava impossibile, per la presenza ineliminabile al suo interno di elementi illogici: un pensiero logico e formale fino all’estremo, senza neanche un’ombra di illogicità, non esiste. Viene meno l’orgogliosa
superiorità che la logica aveva rivendicato rispetto alle altre forme del pensiero.
Bene, gentilissima Giorgina Busca Gernetti, constato che su una cosa siamo d’accordo, cioè sul fatto che ognuno rimane della propria idea; e anche sul fatto che il virgolettato è mio (l’ho usato per citare me stesso, ma da un altro testo). Tale espressione non vuole alludere ad alcun masochismo , ma rappresenta una condizione tipica di tanti spiriti sensibili che vedono nella vita una prigione e la vivono come tale, specialmente se vi imperversa dittatura, oppressione e violenza. Una prigione da cui evadere, per slanciarsi al di là di ogni bandierina rossa. Da qui, secondo me, quel sottile (attenzione all’aggettivo!) desiderio di annullamento e di naufragio.
La stimo
Pasquale Balestriere
Gentilissimo Pasquale Balestriere,
la ringrazio molto della stima che è reciproca.
E’ davvero importante l’aggettivo “sottile” che attenua il desiderio di annullamento e di naufragio in questo poliedrico poeta.
L’annullamento e il naufragio portano inevitabilmente il mio pensiero a un verso che amo moltissimo:
“e ‘l naufragar m’è dolce in questo mare”.
Giorgina Gernetti