Francesco De Girolamo. Poesie

foto francesco de girolamoFrancesco De Girolamo è nato a Taranto, ma vive da molti anni a Roma, dove, oltre che di poesia, si è occupato di teatro, avendo curato la regia di diversi spettacoli, tra cui: “Le sette maschere” ispirato a Kahlil Gibran (1992) ed “Il piacere di dirsi addio” da Jules Renard (1996).
Ha pubblicato: “Piccolo libro da guanciale” (Dalia Editrice, 1990), con introduzione di Gabriella Sobrino; “La lingua degli angeli” (Edizioni del Leone, 1997); “Nel nome dell’ombra” (Ibiskos Editrice, 1998), con una nota critica di Gino Scartaghiande; “La radice e l’ala” (Edizioni del Leone, 2000), con prefazione di Elio Pecora; “Fruscio d’assenza” – Haiku della quinta stagione – (Gazebo Libri, 2009); e “Paradigma” (LietoColle, 2010), con introduzione di Giorgio Linguaglossa.
E’ presente nelle antologie: “Poesia dell’esilio” (Arlem Edizioni, 1998), “Poesia degli anni ’90” (Edizioni Scettro del Re, 2000), “Haiku negli anni” (Empiria, 2005), “Calpestare l’oblio” (Cento poeti italiani contro la minaccia incostituzionale, per la resistenza della memoria repubblicana), Argo, 2010) e “Quanti di poesia” – Nelle forme la cifra nascosta di una scrittura straordinaria – a cura di Roberto Maggiani (Edizioni L’Arca Felice, 2011). Articoli letterari e recensioni sono stati pubblicati su: “Tempi Moderni”, “Le reti di Dedalus”, “La Mosca di Milano”, “Polimnia” e su diversi blog e siti specializzati di Poesia e Critica. Nel 1999 è stato scelto tra i rappresentanti della Poesia italiana alla “Fiera del libro” di Gerusalemme. Ha collaborato dal 1994 al 2000 con l’organizzazione di “Invito alla lettura” a Castel Sant’Angelo e nel 2006 con il “RomaPoesia – Festival della Parola”. Nel 2007 è stato Responsabile Territoriale per il Lazio del Sindacato Nazionale Scrittori. Si sono occupate criticamente della sua opera, tra le altre, le riviste: “Poesia”, “Folium”, “Poiesis” e “Atelier”.

da Deserto d’acqua e altre poesie
Deserto d’acqua

(dall’Ilva alle Murge, via Taranto e Salento)
Ed ora chiamami straniero, selva di moli informi
ed anse fiocinate ed alberi lunari senza più brada,
stregata linfa, muraglia di miasmi protetti
di incombusti pozzi di neve nera e calda,
dai sigilli alle arcate nascoste, infecondo frantoio
d’oro eroso e argento arsenicato, ciurma persa
in lungomari sbarrati, bordeggiante e sinuosa
in caffetani intarsiati di sabbia turchese
e bellici scafandri rococò, tessuti da piccole larve
in brulicanti bazar indostani o grotte singalesi.
Ritorta costa d’Itria, pitagorico regno burlesco
della riscossa dei malnati, in forzato soccorso
ai derelitti, dannati d’oltremare, d’altro dialetto e stesso
volto di pietra scura. Ed anche voi, visitatori di passo,
scesi a sciamare da logore carrozze e non da inermi,
naufraghe prigioni, bare a trecento piazze per smunti
traci assetati, voi che ormai forse non fuggite altro
che il vostro antico, pallido tedio, fate attenzione
a togliere ogni spina, ogni residua stilla di veleno,
prima di assaporare il cuore polposo di quel nostro
selvaggio frutto di cactus, ocra-arancio, candito
allo scirocco dei più nascosti orti dell’assolata baia
d’un troppo stanco Ulisse, che mai tolse gli ormeggi,
deposte le sartie lasche, dal malioso pontile a tutto sesto
delle lampare in perpetua risacca.
(2009)

Tre movimenti
MINUSCOLE SPINE
– Basso lontano –
Svanisci, limpidezza, da questo sogno imberbe,
a diradare il fumo con venti caldi
da dove i cieli si levano piano,
senza cadere a capofitto nel vuoto.
Splendore cupo, che seguivo con gli occhi
lungo il mare, quando inerme piangevo
senza sapere il perché, o sapendolo bene;
forse anche più di ora, che non piango
se non di velenose, minuscole spine.
Chiarore informe, infetto, che mi donavi
un’ora spuria di quiete, troppo vicino
al tuo dolcissimo lete, come un osso
gettato ad un cane, perché non latri forte.
Torpore maledetto, nascosto sotto il cuscino,
che mi assalivi nel letto, come un assassino,
e liberavi il buio dalla paura; certo,
ché la paura eri tu, di ogni livido gesto;
e con cura mi riportavi oltre, dove finivo
di assaporare il segreto del tuo silenzio
dorato, come racchiuso in un nido
di tiepide braci, una capanna ovattata
di croci, di un legno tramato e lieve.
Sopra di me vedevo il regno fiero
della tua promessa, il tuo manto dischiuso
sul mio capo; ed ero tutt’uno con te,
come una dama fiera di soggiogarsi al suo re,
come se nel mio sangue scorresse segreta
l’ondosa asprezza della tua saliva,
e le mie lacrime luccicassero del seme tuo
per benedire il nulla spietato che preme
su dalla gola di chi non ha che un ben misero
incanto da custodire tra i suoi gualciti panni.
Oh, quante volte mi sarei perduto
senza il tuo grigio lampo! E svenduto
nella speranza di essere creduto un altro,
che afferrasse le cose ed avesse la forza
di camminare sicuro e guardare sereno,
come i ruvidi eroi dei film da cento lire,
alla sala parrocchiale, frugando nei calzoni
di un compagno di scuola che diceva:
“Dai, continua, non farti pregare!”
Per poi negarsi, nella menzogna più vile.
E quelle cento lire erano il prezzo di un giuda
imbellettato sul sedile, per venire a sputarti sul viso
la sua arte d’inganno più cruda, la fierezza virile
di ogni bestia più uguale a una bestia normale.
E poi, tornato all’aria, rinnegandoti anch’io,
per un letto accogliente di chiare memorie,
soffici, calde come in un sole blando,
prima che si inarcasse il volo, prima
che tutto fosse nemico di tutto.
Odiosa vanità, trascinarti nel fango
fu la mia insperata vittoria,
fu la mia vera gloria, ora che ringhio
di gioia feroce nel saperti finita
nel cerchio delle ombre che non hanno più vita.

OVUNQUE FERITO
– Sospeso leggero –
E’ già un soffio quel ringhio; e già un riflesso
di quel tonfo lucente rifrange sordo, mutato negli anni,
spoglio di inganni, in un dolore tenue come quando
i denti, giù in fondo al palato, sono ancora di latte
e la pelle profuma di fragrante sudore, ed il seme affiora
mai veduto, inatteso, nell’anno del primo dio; non sai
ciò che sembra crescere occulto, ma avverrà
che il “mai più”, forse, possa chiamarlo “ancora”,
dove trova ristoro ogni spasimo, ogni assurdo rimorso,
giacché forse non è questo il perdono, la sorte, il sogno espugnato,
la disdetta, il destino domato, l’insondabile pegno del ricordo
che in un cieco abisso tiene la piccola furia di nuovo assopita.
E allora? E’ tutto qui, proprio davanti a te, ma gli occhi non lo afferrano,
lo nasconde l’aria nuda, arsa come i frutti feriti dal sole di luglio,
che all’orizzonte affonda la sua lama nel maglio dell’onda.
Puoi correre a gridare che non sarà mai più molto, per te,
e gioire come ogni uomo, alla fine della sua attesa.
Oppure credere in silenzio che un altro ti vedrà
e manterrà il segreto che tu non oserai mai rinnegare.
Ovunque ferito. Non ascoltare altra voce. Entra nel vuoto
ad occhi chiusi, come un’ombra lambita dal velo dell’alba,
le mani tese verso l’aria fresca del vento che ghermisce polvere e oro.
Ovunque conduci la tua stella catturata, il tuo nuovo occhio
che vede oltre il sangue e non teme che lo vinca l’oscura
piaga, che lo spenga paura, che lo trafigga, quindi,
in un ritorno del tempo che insegue un altro tempo,
il soffio non placato dell’insondabile notte.
(2008 )

Per Uscire Subito
Festival di poesia

– Mosso con furia –
Per uscire subito da questa gabbia
vorrei affogarmi in una fogna
dove la melma sia più alta;
ed i topi divorino subito
questa inutile carcassa,
chissà da quanto ormai
priva di ogni parvenza d’umano.
Prima che il cancro divori
il suo organo prescelto
e la demenza senile, quel lembo di encefalo,
che ancora, a stento, a volte respira,
seppure senza nemmeno un lontano ricordo
di quella felice pazzia che un tempo vi albergava
e lo scuoteva come un frutto maturo su un ramo spezzato.
Per uscire subito da questo schifo spietato
occorrerebbe magari un infarto,
secco, senza soffrire, andando a fare la spesa,
un giorno che non piova, cadendo di schianto
sull’asfalto, a braccia distese,
come ali malnate dischiuse in un vano,
maldestro tentativo di volo.
Per uscire da tutto ciò ed al più presto.
Ma tu cosa farai? Vorrei essere certo
che non verserai nemmeno una lacrima;
me ne rincrescerebbe, non ne vale la pena.
( Non rovinarti la cena! )
Pensa che sono tornato lì, da dove
forse un giorno arrivai: l’infernale
incoerenza del nulla ancestrale…
Bisogna essere veramente idioti per ascoltare
tutto questo, senza vomitare o fischiare,
o fare qualcosa che fermi il convulso ruotare,
gli uni sugli altri, come formiche
avide di molliche ammuffite.
Per uscire subito è meglio tacere
e lasciare il foglio bianco,
piuttosto che dire qualcosa a questo branco
di flaccidi orchi in attesa di qualche parola
che non sia la solita: merda.

Francesco De Girolamo (da X Quaderno di Poesia da Fare, 2007)

10 commenti
  1. Sempre tenace la tua presa diretta con le cose , con l’Altro , e il tuo metterti in gioco come persona in primis e come poeta . Linguisticamente attento a non esorbitare , a dare al sentimento quello che si merita .
    In gamba –
    leopoldo attolico

  2. Poesia la tua che prende e sorprende sempre, analisi di tutte le sfumature che compongono quel mistero che è l’animo umano, argomenti toccati sempre camminando con delicatezza su un terreno a volte aspro e difficile e facendo ricorso alla comprensione che è tipica della tua nobiltà di pensiero e di penna e, alla fine, la speranza, sempre, di chi ha fiducia nella scintilla divina che è dentro ognuno.

  3. Una poetica ricca di di mille sfumature, quella di F.De Girolamo, uomo di grande spessore e cultura, amante della verità, della bellezza, di tutto ciò che nutre e arricchisce l’animo umano.Si spazia da un argomento all’ altro sempre con profondità e attenzione senza tralasciare il minimo particolare, nemmeno la rabbia, lo sdegno qualora risultino necessari.Un privilegio enorme far parte dei suoi estimatori.

  4. Faccio miei, con il loro permesso, i commenti di Annamaria e Caterina perché sulla poesia di Francesco De Girolamo non si può che parlare in questi termini, accostandosi a lui in punta di piedi e scrivendo con penna lieve, pari alla sua delicatezza.
    Giorgina Busca Gernetti

  5. Ringrazio Giorgio Linguaglossa per avermi ospitato in questo prezioso spazio di conoscenza e confronto culturale, così indipendente, rigoroso e genuino. Oserei dire anche “raro”, ormai, purtroppo. C’era davvero bisogno, credo, in questa pletora di blog letterari, che si muovono spesso tra gretta autoreferenzialità e sussiegoso settarismo, di “un libero e democratico agone delle idee” come “La presenza di Erato”.
    Ringrazio anche, di cuore, Leopoldo Attolico, Annamaria Ianelli, Caterina Putignano e Giorgina Busca Gernetti per i loro bellissimi interventi, che fanno tanto onore al mio lavoro e tanto profondamente mi incoraggiano a proseguire in esso con la dovuta, “onesta” tenacia di cui spero sia frutto.
    Francesco De Girolamo

  6. Poesia provocatoria e raffinatissima, limpidamente meditativa, capace di creare nel lettore il sempre raro mistero del rispecchiamento. Colpisce in ‘Deserto d’acqua’ dove si trasfigura, con ricchezza lessicale e di stile, il dramma degli sbarchi disperati, in una rappresentazione pressoché pittorica che, attingendo da altre epoche storiche, colloca i protagonisti in una scenografia conturbante. Ma direi che tutte le poesie sono accomunate dal turbamento, forse l’aggettivo più adatto, di sintesi. Complimenti Francesco.
    Antonio Fiori

  7. Grazie infinite, Antonio, per il tuo penetrantissimo intervento su questi miei testi poetici, generosamente postato in questo nuovo blog ricco di proposte poetiche spesso “inedite”. Leggi, se hai tempo, l’interessantissimo articolo sul grande Ennio Flaiano, anche sorprendente “poeta”, che personalmente, in questa veste, non conoscevo. Un caro saluto.
    Francesco De Girolamo

  8. complimenti per l'”ondosa asprezza” della tua poesia (che era un po’ che non frequentavo), sempre interessante.
    Francesco Dalessandro

  9. Sono particolarmente onorato del tuo apprezzamento per la mia poesia, Francesco, e spero che tu possa riprendere a frequentarla più assiduamente, come ai tempi in cui ci fece conoscere il nostro comune, grande amico Gino Scartaghiande.
    Un saluto.
    Francesco De Girolamo

  10. Carissimo Francesco
    trovo solo ora queste tue poesie, che leggo con l’emozione di sempre.
    Ho perso il tuo recapito e vorrei tanto rimettermi in contatto. Grazie, sempre vostro Antonio M.

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