Umberto Bellintani, un poeta dimenticato, a cura di Maria Grazia Ferraris

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Umberto Bellintani, San Benedetto Po, 10 maggio 1914 – San Benedetto Po, 7 ottobre 1999

La personalità di Umberto Bellintani era riservata, schiva, solitaria, lontano dalla mondanità e dalle celebrazioni, perfino riluttante, restio alle pubblicazioni. Come molti della sua generazione, come per Vittorio Sereni, di cui fu amico, subì le vicende storiche del momento. Nel 1940 combattè in Albania e in Grecia; nel 1943 venne internato a Görlitz e rientrò nel paese natale nel 1945, dove risiederà, fino alla morte. Le sue opere più significative sono legate alla poesia. Ma il suo non è un percorso poetico lineare. Pubblicò la sua prima raccolta quando era quasi quarantenne, e saranno Pratolini e Parronchi a convincerlo a mandare alle stampe la prima volta; seguirà il suo ritiro dalla scena poetica e letteraria, dal 1963 al 1998; malgrado i molti riconoscimenti, meritatamente ricevuti. Sarà Maurizio Cucchi a pregarlo di tornare alla luce, dopo ben trentacinque anni di silenzio.

Nel ’63 decide di non pubblicare più, forse pensava di essere troppo “piccolo” per quel mondo di professori, di intellettuali che spaziava con autorità nella letteratura italiana coeva. Lui, si riteneva campagnolo, un semplice impiegato di provincia, si sentiva inadeguato, ripiegato su se stesso, in disparte, nonostante gli incoraggiamenti. In questo arco di tempo, comunque, non cessa mai né di scrivere e intrattenere rapporti epistolari con letterati e poeti, tra i quali quello con Alessandro Parronchi, un Epistolario composto da 381 lettere, scambiate fra i due poeti dal 19 agosto 1947 al 29 settembre 1992.
Proverà a definirsi in una poesia autobiografica:

SONO UN TOPO DI CAMPAGNA

Forse un giorno partirò dai campi miei,
dal gorgheggio delle passere di luce
per la grigia città. Me ne andrò
alle pallide ombre dei vicoli,
nella folla dei monotoni passaggi
delle ore sui viali, alla muraglia
delle case contro il cielo delle lodole.
Non avvenga. Lasciatemi all’aperto
mattino, al cammino sulle orme del passato,
alla luna ch’è la Luna al mio paese,
alla casa ch’è la Casa.
Sono un topo di campagna, sono il grillo
che nel cuore mi ricanta ogni sera
se l’ascolto dal paterno focolare.

Ed esprimerà l’amore per i suoi luoghi, la Bassa mantovana, attraversata dal Po, lenta e piatta, tra pioppeti e golene, con l’identificazione nella perfetta armonia e nella pace che scaturisce dalla loro vista ampia, senza alture e con le montagne lontane, perse nelle nuvole, anche nelle ultime poesie pubblicate dopo la sua morte .

[IO CARA MI ESPANDO NELLA GRANDE PIANURA]

Io cara mi espando nella grande pianura
ed estasiato l’ammiro, e questo vento…
che qui mi batte sopra il petto è tutto il vento
che quelle rupi d’alti monti ha valicato
col suo fragore.
Popoli e popoli di mucche raduno e spingo a un mare
che lungi alto biancheggia, più lontano
dell’aldilà dell’aldilà da dove gira
per il ritorno splendente la cometa.
Oh ma questa vita ha bisogno di spazi ampi come
l’universo,
e di tremende notti, e di burrasche dove
il grandioso mare s’esprima per tornare
indi in bonaccia per dirci come immenso
è il suo respiro…..
È la mia pianura ancor più vasta e sonora d’un gran mare.
E qui ti parlo e non v’è cosa
che io non senta grandiosa e il contemplare
in quest’immenso respirare d’una lucciola
appena o d’una fronda
io confondo immortale il mio respiro.

Forse un viso tra mille è l’ opera poetica che dà più spazio ai ricordi dell’infanzia e della gioventù. Nel carteggio con don Primo Mazzolari dice, nel febbraio del’51 parlando di sé e della sua malinconia e del suo mondo provinciale, esternando i suoi dubbi: – “ Caro Don Primo un po’ del male di vivere mi ha fatto ritardare…La vita sulla terra è, a guardarla senza speranza, infernale – ma ci sono certe giornate di sole!….” e sono i temi esistenziali privilegiati della sua poesia.

DOLCE CHIUDE L’ORA DI SERA

Forse non esiste Dio. Forse
solo il rapporto
fra noi esiste e gli alberi
annosi o appena d’anni
uno e le erbe
e i coccodrilli e il buon tepore
della sera. Non v’è
che poi la morte ed altro ancora
innanzi ad essa da soffrire. Ma poi tutto
per lei si placa; e in noi s’alterna
timore d’essa e quieta attesa
del suo riposo:
così
oggi è da porre questo giorno fra non quelli
di sofferenza e sgomento: dolce chiude
l’ora di sera col risorgere di una
ampia stellata. Dunque
forse soltanto un dolcissimo rapporto
fra noi e il tutto fa ponte e il tempo passa
lento e veloce.

Del suo essere poeta scrive all’inizio del 1959 :
Ho incominciato ad essere poeta forse troppo presto, mi pare tra gli otto o i nove anni. Mi accorsi che avevano voce il silenzio e la solitudine, e l’avevano i campi e le acque; fu allora che sentii parlare di erbe e di fiori, e posai l’orecchio sul petto degli alberi. Fu allora che sentii poeticamente che avevo le mani, e avevo tutto il resto…E modellavo animali e animali con la terra gialla che mi dava la riva di un fosso…Viola. Scrivere parole viola. Trovare delle parole viola, malinconiose. Poi passarono gli anni, e allora forse compresi che vi era la possibilità di esprimere quel senso di dolce e di pensoso e d’arcano che mi prendeva vagabondo per i campi”.

FERMIAMOCI UN MOMENTO, AMICI

Quest’albero era
quando ancora non erano
i nostri padri i nostri avi.
Ed ecco io sento che qualcosa gli devo,
ma non so cosa, amici, ma la mano
mia ecco lo accosta e lo carezza,
e tutta trema la mia mano, amici.

Fu tenace e non sempre facile il legame con Gorgo, il suo paese natale, disperso nella campagna mantovana tra filari di alberi, campi e rogge, “il guscio”, come lo chiama, che talvolta gli appare come una gabbia, dalla quale fuggire con la sua poesia.

SERA DI GORGO

Ancora opache innanzi a questa
sera ed umane.
Ora sono delle anime viola
le figure d’intorno al carretto
di chi grida il bel rosso dell’anguria.
E l’asino è un’ombra che sogna
e mastica biada.
Là il cielo è un verde di giada;
una rondine vi si tuffa,
esce, si perde:
è quasi ora di accendere lucerne.

Sembra aderire e limitarsi, nelle prime composizioni, a un verismo rusticano, dai colori espressionisti, in realtà va molto oltre, cercando nel suo ampio bestiario, fatto di gatti, asini, cetonia, rana, grilli, rondini …un mondo nascosto dietro la fauna e la vegetazione conosciuta e quasi anonima di Gorgo. Lo vediamo nella sua seconda raccolta, Paria, in una splendida poesia come Il gatto che ritto si dorme in cui scopre l’arcano, il mistero irraggiungibile della vita:

Il gatto che ritto si dorme
al sommo del palo in questa quiete
dell’aria al pomeriggio di fuoco,
e la rana che grida terrore
dove il fosso s’incurva,

sono voci dell’arcano, e la cetonia
stremata sul sentiero e l’acqua
infesta di torpore e morte;
voci dell’arcano
che dilagan talvolta allora
che tutto s’addensa nel cuore,
preme e non sai
se di vita diversa un esser vivo
un irrequieto immortale
o d’altri mondi a noi cala la voce.
Altro non sai che tu vivi
di questo senso profondo della vita
che ti snerva e che puoi
affascinato dare il fianco alla morte.

La poesia di Bellintani non è facile, anche se non è mai in cerca di sperimentazioni tecnico-linguistiche. La sua lingua è quella dell’inizio, quella del canto, quella di Luzi, di Parronchi; i suoi poeti sono i classici, da Leopardi a Pascoli. Canta e rievoca l’antico, il primigenio, quell’epoca in cui uomo e animale, e albero, e seme e nuvola erano una cosa sola. Eccone una prova:

LE MIE PAROLE AMATE

Le mie parole sono capra
ed erano capra e pecora
le mie parole sono zappa
e asino vanga e pietra
per affilare la falce erba
medica farfalla e ragno
nella ragnatela al sole
nel granturco e mulo erano
e cavalla scrofa carretto
le mie parole amate.

La poesia di Bellintani sfugge ad una collocazione in scuola o in una corrente precisa; riprende la perdita dell’interezza primigenia, guarda con nostalgia, umiltà al passato, a una voce arcana che animal’uomo, unendo poeticamente concretezza e fragilità, umiltà e grandezza.

Maria Grazia Ferraris

 

Bibliografia essenziale.

Forse un viso tra mille, Vallecchi, Firenze 1953

E tu che m’ascolti (comprende anche Paria), Mondadori, Milano 1963

Nella grande pianura, Mondadori, Milano 1998

Canto autunnale, a cura di Italo Bosetto, Perosini, Zevio (VR) 1998

Se vuoi sapere di me, poesie inedite, a cura di S. Glavaš, Poiesis editrice Alberobello 2006;

Poesie, a cura di Ilvano Caliaro e Pietro Marcazzan, Edizioni Fiorini, Verona 2007.
Antologie con poesie di Bellintani:

Quarta Generazione: la giovane poesia (1945-1954), a cura di P. Chiara e L. Erba, Ed. Magenta, Va,1954.

Poesia italiana del dopoguerra, a cura di Salvatore Quasimodo, Schwarz, Milano 1958.

Poesia italiana contemporanea (1909-1959), a cura di Giacinto Spagnoletti, Guanda, Parma 1964.

Poesia italiana del Novecento, a cura di E. Krumm e T. Rossi, prefazione di M. Luzi, Skira Editore, 1995.

Poeti italiani del secondo Novecento, a cura di Maurizio Cucchi e Stefano Giovanardi, Mondadori, Mi,1996.

Epistolario. Al vento della vita: carteggio Bellintani-Parronchi (1947-1992), curato da Roberto Bruschi e Marino Biondi, Olschki, Firenze 2011.

 

1 commento
  1. Le vicende storiche – le aggressioni mussoliniane alla Grecia e all’Albania, la durissima prigionia in Germania – il carattere schivo, l’amore per la poesia e la natura sono tutti elementi che accomunano la figura di Umberto Bellintani a quella di mio padre che scelse di impegnarsi in politica senza mai dimenticare, attraverso l’insegnamento, poesia e letteratura. E’ meraviglioso per me leggere questi versi:
    “Le mie parole sono capra
    ed erano capra e pecora
    le mie parole sono zappa
    e asino vanga e pietra
    per affilare la falce erba
    medica farfalla e ragno
    nella ragnatela al sole
    nel granturco e mulo erano
    e cavalla scrofa carretto
    le mie parole amate.”
    Grazie!

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