El Greco, talentuoso e incompreso: il primo vero artista «europeo», di Maria Grazia Ferraris

Domenikos-Theotokopoulos

Dominikos Theotokopoulos (El Greco), Creta 1541 – Toledo 1614

Creta gli ha dato la vita e i pennelli, e l’anima, indomabile,che gli ha permesso di testimoniare la sua fede, piena di luci e di ombre. L’Italia gli ha insegnato come inseguire i propri sogni. E Toledo gli ha offerto una seconda patria, migliore, dove cominciare ad ottenere, con la morte, l’eternità.

H. F. Paravicino

 

Aveva imparato l’arte della pittura nell’isola che gli aveva dato i natali, a Creta, era arte bizantina, la sua prima lingua d’arte, in cui l’icona era lo strumento privilegiato di espressione, ed era diventato bravo e ricercato…ma ne era stanco. Ripetizione senza innovazione. Nessun sviluppo creativo. La forma bizantina, influenzata da elementi greco romani ed egizi, e l’italianizzazione prodotta dalla presenza della Serenissima, coesisteranno infatti immutati per molti secoli. Intuiva dalle occasionali frequentazioni veneziane, che dominavano l’isola, che il mondo poteva offrirgli altro. Era impaziente e curioso, poco docile e non abituato all’ossequio e all’obbedienza. Era giunto per lui il momento di andarsene, di lasciare anche gli affetti, senza vani sentimentalismi. Correva l’anno 1567. Aveva 26 anni. Venezia gli parve una meta adeguata alla sua ambizione. Gli offriva infatti oltre a un quartiere greco, presso la chiesa ortodossa di S.Giorgio, la frequentazione di importanti artisti, di maestri: Bellini, Veronese…Tintoretto, e Tiziano modificarono il suo stile in modo sostanziale. In particolare lo affascinavano le figure allungate e sinuose del Tintoretto e i colori sapienti di Tiziano e da loro imparò l’organizzazione delle composizioni sulla tela lavorando sulla luce e sulla suggestione degli scenari. Le composizioni di El Greco prendevano però una loro via irregolare e stravagante nella loro originalità, creavano uno spazio onirico che nulla aveva a che fare con quello fisico evocato dalle convenzioni prospettiche del tempo. Il suo occhio esasperava i bagliori teatrali di Tintoretto e lo sfaldamento materico dell’ultimo Tiziano, aprendo così a un espressionismo tutto intellettuale modernissimo e poco compreso. Introduceva a una pittura religiosa quasi astratta, molto intensa e drammatica, non certo in auge a Venezia. Pensava con convinzione, come i maestri veneti, che il colore fosse l’elemento più importante e allo stesso tempo il meno governabile di un dipinto. Stendeva il colore in modo veloce, impetuoso, quasi parossistico. Non c’era più uno spazio libero nelle tele. Maturò la convinzione, cui rimase fedele, poco condivisa fuori dal suo ambiente, che il colore avesse la supremazia rispetto all’immagine e dovesse superare per importanza di gran lunga il disegno. Venezia, la grande capitale, si andava allora spegnendo. La sua potenza navale si era appannata nelle guerre contro i turchi, le epidemie avevano fiaccato le popolazioni, la floridezza economica vacillava per l’apertura delle nuove rotte oceaniche. Il declino era ormai imminente. Forse è più opportuno la conoscenza di una nuova realtà, pensava fra sé, perennemente inquieto, come quella più vivace e stimolante romana..: è l’anno 1570. E di nuovo partì. Roma: difficile la città e difficile trovare un nuovo equilibrio.

A Roma, dietro raccomandazione dell’amico miniaturista Giulio Clovio, fu accolto come ospite a Palazzo Farnese, lo splendido palazzo iniziato nel 1514 da Antonio Sangallo, proseguito da Michelangelo e portato a termine da Giacomo della Porta, che il cardinale Alessandro Farnese, gran mecenate, aveva trasformato nel centro artistico e intellettuale della città. Lì entrò in contatto con l’élite intellettuale romana. Ma le sue scelte vanno controcorrente e il lavoro è scarso. Racconta Clovio che a Roma il Greco era solito meditare seduto nella penombra della sua stanza, quasi irritato dall’intensa luce del giorno che splendeva nelle strade della città: “…entrai nello studio del Greco e vidi le tende delle finestre chiuse tanto ermeticamente, che solo a stento si distinguevano gli oggetti e El Greco stesso, seduto su una poltrona, che non lavorava, né dormiva. Rifiutò di uscire con me perchè la luce del giorno turbava la sua luce interiore…” All’epoca del suo arrivo in città, Michelangelo e Raffaello erano già morti, ma il loro esempio continuava ad essere estremamente importante, praticamente inevitabile per tutti i giovani pittori. Era deciso a lasciare la propria traccia a Roma, difendendo le sue convinzioni artistiche, le sue idee e il suo stile. Apprezzava molto il lavoro del Correggio e del Parmigianino, ma non esitò a criticare duramente il Giudizio universale di Michelangelo realizzato nella Cappella Sistina. A causa delle sue convinzioni artistiche non convenzionali e della sua forte personalità, poco diplomatica, ben presto a Roma si procurò dei nemici. Si viveva la Controriforma cattolica e si discuteva infatti allora moralisticamente sui nudi michelangioleschi e sull’opportunità di ”rivestirli” per ragioni educative morali. Approfittando della diatriba, sempre più convinto che il colore fosse più importante del disegno, fece spregiudicatamente a papa Pio V la proposta di lasciarlo ridipingere interamente l’affresco della Sistina secondo i dettami della nuova e più rigida dottrina cattolica. Uno scandalo incredibile.

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El Greco, La purificazione del Tempio (1600 c.a.)

Eppure l’influenza di Buonarroti c’è stata e anche l’ammirazione…Realizzando i ritratti di Michelangelo, Tiziano, Clovio e, presumibilmente, Raffaello in uno dei suoi dipinti (La purificazione del tempio), El Greco non solo espresse la sua gratitudine nei loro confronti, ma di fatto reclamò di poter essere messo sullo stesso piano di quei grandi maestri. La sua presa di posizione gli costò il favore dei Farnese che l’avevano ospitato e aiutato. Si maturava un nuovo trasferimento. Tramite Clovio e Orsini incontrò Benito Arias Montano, un umanista spagnolo nonché agente per conto di Filippo II, e il figlio di Diego de Castilla, il diacono della Cattedrale di Toledo. Un incontro e un invito. La nuova meta fu la Spagna. Era la Spagna di Filippo II. Nel decennio del 1570 l’immenso monastero-palazzo de El Escorial era ancora in costruzione e Filippo II di Spagna incontrava difficoltà nel trovare validi artisti che realizzassero i molti dipinti di grandi dimensioni che dovevano decorarlo. Tiziano era morto, mentre Tintoretto, Veronese e Antonio Moro avevano tutti rifiutato di andare in Spagna. Un’occasione di lavoro che si apriva per un futuro di successi. Il suo obiettivo era di conquistarsi il favore di Filippo e riuscire a lasciare il segno come artista a corte. Per questo riuscì a fare in modo di assicurarsi due importanti commissioni dal re: l’Allegoria della Lega Santa e il Martirio di San Maurizio. Tuttavia tali opere non piacquero al re, che decise di sistemare la pala di San Maurizio nella sala capitolare invece che all’interno della cappella per cui era stata commissionata.. e quest’opera attirò l’attenzione della potentissima Inquisizione spagnola, la cui autorità in ambito religioso era superiore perfino a quella del sovrano. Il sogno di diventare «pittore del re» e di decorare tutto l’Escorial svanì subito e fu un vero peccato per la storia dell’arte. Filippo seguiva con grande interesse le commissioni artistiche e aveva dei gusti molto definiti. A quell’epoca Toledo era la capitale religiosa della Spagna e una città molto popolosa dall’ illustre passato, prospero presente e incerto futuro. Era posta su una roccia, separata dal mondo dalle acque del fiume Tago, quasi sospesa tra cielo e terra. La sovrastava il palazzo reale, l’Alcazar e la cattedrale dotata di un campanile svettante. Quasi due edifici in competizione. Arrivò a Toledo nel luglio 1577 e firmò un contratto per realizzare un gruppo di dipinti che dovevano decorare il Monastero di San Domenico di Silos a Toledo e la celebre Spoliazione di Cristo. Dipinge il Cristo sereno con una tunica del colore della passione a contrasto con i volti inferociti della folla e coi soldati in vesti moderne che lo sovrastano e che creano intorno al Cristo una specie di morsa soffocante. Queste libertà interpretative gli costarono l’accusa, pericolosa, di deviazione dal contenuto dei testi sacri. Entro settembre del 1579 terminò i nove dipinti per il convento, tra cui La Trinità e L’Assunzione della Vergine. Tali opere fissarono la reputazione di El Greco a Toledo come pittore di alto livello.

In Spagna, dopo un primo momento in cui si deve adattare alle mutate condizioni di vita, riesce a riappacificarsi con l’ambiente che lo circonda, fatto che si ripercuote sul suo modo di lavorare. Sono esempio di questo cambiamento i ritratti e le grandi opere dal soggetto religioso come l’Assunzione (1607-1613), in cui i santi dipinti conservano il sapore mistico delle icone, ma hanno la luce e il dinamismo tipici del manierismo, il San Sebastiano – ispirato a quello analogo del Tintoretto, ma nel quale infonde una lunghezza e una drammaticità che mancano al quadro del veneziano – e La Maddalena penitente (1607), in cui l’insegnamento, stavolta è tizianesco. E’ stata definita la più pentita delle Maddalene per le lacrime che le donano una forte carica emotiva, sottolineata dalla tempesta, specchio del suo turbamento, che sta per sopraggiungere: le linee compositive, lo sguardo rivolto verso il cielo, l’ampolla e il teschio sono caratteristici del lagunare: un’eredità di studio che si ripropone.

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El Greco, Il Martirio di San Maurizio (1580-1582)

Guardandosi bene dall’assecondare i gusti dei committenti, El Greco impose loro un modo di dipingere complesso, sinuoso, quasi allucinato: ne sono prova il mirabile Espolio, per l’Escorial , il Martirio di San Maurizio che realizzò per la sacrestia del Duomo toledano. Uno dei principi fondamentali del suo stile è il primato dell’immaginazione e dell’intuizione sulla rappresentazione soggettiva della creazione: rifiutò i principi classicisti come misura e proporzione. Credeva che la grazia fosse l’obiettivo principale dell’arte. A Toledo campò grazie alle committenze di conventi, parroci e intenditori locali. Per loro realizzò capolavori assoluti, si pensi solo all’Entierro del conde de Orgaz nella chiesina di San Tomé…, un’opera originale in cui è difficile distinguere i confini tra cielo e terra, tra il paradiso e il mondo degli uomini. Si riconoscono immediatamente le altezze smisurate dei suoi personaggi, i volti lunghi, la pennellata che diventa espressionista, la tavolozza allucinata, dominata tonalmente dal blu azzurrino. Un modo sconvolgente di interpretare la crisi del classicismo e battere la pista all’arrivo del barocco, in un’aria drammatica, corrusca ma dominata, nelle opere, da una Fede che pare incrollabile. El Greco si trova pertanto ad operare in un clima che è in grado di accogliere, pur con sconcerto, un nuova frontiera del canone bizantino, le figure altissime con le quali Cristo e i santi vengono rappresentati nei territorio dell’ex impero romano d’Oriente, ma con il colorismo e la riduzione della linea del disegno, tipica della pittura veneta. Passa ad un linguaggio sempre più lontano dalla realtà, visionario e lirico, dal cromatismo freddo, dalle figure allungate, dall’aspetto irreale ma spirituale; soggetti, insomma, somiglianti al Dio in cui crede.. Interessanti i suoi ritratti. Prima di lui, il ritratto era cortigiania, il che implica che è qualcosa di distante e convenzionale. Con l’arrivo di El Greco a Toledo, verrà creata una nuova tipologia nella pittura spagnola. Rappresenterà i Cavalieri di Toledo, gli amici con cui vive, con uno sguardo attento e analitico. Li guarderà direttamente negli occhi per conoscerli, perforerà la maschera dei loro volti per indagare dentro le loro anime. Guardando quell’interno li rappresenterà come individui unici, con la propria personalità. Hortensio Fèlix Paravicino, intimo amico dell’artista, che fu un importante teologo, oratore e poeta, gli dedicherà un ritratto poetico:

Divino Griego, del tuo lavoro non ammira
che nell’immagine essa superi l’arte,
ma da essa il cielo rinvigorendo
il debito della vita al tuo pennello si ritira.
Non il sole i suoi raggi per la sua sfera ruota
come nelle tue tele. È sufficiente impegnarsi
in finte di Dio: entra nella parte della
Natura che conquista.
L’impeto di Prometeo in un ritratto
non influenza il fuoco, il furto vitale lascia
che anche la mia anima sia tanto d’aiuto.

Anche i paesaggi di sfondo non mancano, e la bellissima Veduta di Toledo appare realizzata con metodo quasi espressionista, con fiammeggianti chiaroscuri, colori acidi, contrasti di colori e movimenti. Non per niente suscitò la folgorante ammirazione di Cézanne. Aveva eletto Toledo a sua patria. A Toledo tenne uno stile di vita piuttosto elevato, forse troppo vistoso, e spesso ingaggiava dei musicisti che lo intrattenessero mentre cenava. Viveva con la sua compagna spagnola, Jerónima de Las Cuevas, che probabilmente non sposò mai. La donna fu la madre del suo unico figlio, Jorge Manuel, nato nel 1578, che diventò a sua volta un pittore, aiutando il padre e continuando a imitare il suo stile compositivo per anni dopo averne ereditato la bottega. Alla morte calò l’oblio, El Greco venne dimenticato. Fu amico di personalità sofisticate come il poeta Luis de Góngora Góngora y Argote (1561 –1627), poeta e drammaturgo spagnolo del Secolo d’Oro (Siglo de Oro), massimo esponente della corrente letteraria conosciuta come culteranesimo o gongorismo, che più tardi altri artisti imiteranno, che, sull’epitaffio del pittore, scrisse a sintesi: «Infuse il naturale nell’arte/ e l’arte nella ricerca». L’elegia funebre di Luis Gongola lo consacra alla gloria eterna:

Questa, in una forma elegante, o pellegrino,
di chiave dura di lucido porfido,
cela al mondo il pennello più fluido,
che ha dato lo spirito al legno, la vita al lino.

Il suo nome, di maggior respiro degno
di quel che dia la tromba della Fama,
fregia la fronte a questo marmo greve:
veneralo e poi riprendi il cammino.

Qui giace il Greco, ereditò Natura
L’arte; l’Arte, lo studio; Iri, i colori,
le luci, Febo, non l’ombre Morfeo.

Quest’urna immensa, sebbene sì dura,
lacrime beva, e quanti emana odori
funebre scorza d’albero sabeo

Fu il pittore, che seppe più di ogni altro integrare in sé tradizioni diverse e proporsi come punto di riferimento per il rinnovo dell’arte in Spagna prima e in tutta Europa poi. Ci si accorse della sua grandezza solo a partire dalla metà dell’Ottocento. Fu una riscoperta clamorosa non solo perché si comprese finalmente l’originalità del suo stile, ma ci si rese conto della sua incredibile modernità… A lui guardarono con autentica avidità artisti come Manet, Cézanne, Picasso, Modigliani, Matisse, Duchamp, Soutine, Chagall, Kokoschka, Schiele, Beckmann, Dix, Giacometti, Pollock e Bacon. Perfino diversi aspetti del cubismo, come le distorsioni e l’interpretazione fisica del tempo trovano analogie nelle opere di El Greco, e tra Otto e Novecento la Spagna si «appropriò» di El Greco facendone una sorta di eroe nazionale.

Maria Grazia Ferraris

 

Bibliografia.

A.A.V.V: Storia dell’Arte, De Agostani, vol.VI
Ana Rodríguez Fischer El poeta y el pintor, Ediciones Alfabia,
Gene W. Dubois GONGORA’S SONNET ON EL GRECO’S TOMB: Romance Notes
Roberto Rossi Precerutti Rimarrà El Greco, Crocetti editore,2015
Maurizio Marini, El Greco, Giunti editore
Babis Plaitakis, Il greco e il grande inquisitore, ed. Giunti
Ana Rodríguez Fischer El día que Góngora visitó a El Greco
L. Gongola, El Greco, dalle Egloghe
M. de Unamuno, El Greco (1914), in En torno a las artes. (Del teatro, el cine, las bellas artes, la política y las letras), Colleción Austral, Espasa – Calpe, S. A., Madrid 1976,

 

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