Maria Rosaria Madonna – Poesie scelte – Stige. Tutte le poesie (1990-2002), Progetto Cultura, Roma 2018, lettura di Donatella Costantina Giancaspero e nota di Giorgio Linguaglossa

Maria Rosaria Madonna Cover Ombra

Tra le poetesse del novecento Maria Rosaria Madonna (Palermo, 1942 – Parigi, 2002) è probabilmente la più grande. Adesso, questo libro in edizione critica curato da Giorgio Linguaglossa, ci consegna uno dei percorsi più originali della poesia italiana del secolo scorso. Scrive l’autrice nel Postscriptum al volume di Tutte le poesie:

La poesia è il linguaggio dell’insolenza e della fraude. Non credete ai falsi untori del perbenismo. Forse la poesia è più assimilabile al cannibalismo dello Spirito che ad altre attività del corpo mentale, ad un ricordo sublimato e civilizzato di quell’ancestrale rito cannibalico. In ultima istanza, la poesia non può essere raccontata se non dal punto di vista puramente storico; nella sua essenza è attività di fagocitazione di mondo, internalizzazione degli oggetti del mondo tramite il sistema segnico-simbolico qual è il linguaggio. Forse, alla fonte della Musa v’è una fissazione della libido allo stadio della cloaca, ciò che nell’età adulta si converte in sublimazione, conglomerato degli oggetti internalizzati in spirito linguistico; in fame di mondo, seppure di un mondo ridotto a lacerti fonematici che rammenta il mondo reale come lo specchio da toeletta rammenta lo specchio ustorio.

Dunque, è chiaro, la poesia può sorgere soltanto come risvolto negativo della prassi. La poesia è il risvolto negativo della prassi e specchio ustorio all’unisono.

L’ostinazione onanistica al volo poetico (un privilegio o una dannazione?), con il senso di colpa che l’accompagna, rivela l’intima natura requisitoria e incolpatoria dell’attività artistica per quel legame intermesso e rimosso delle pulsioni subliminali che le ricollega al pene simbolico. Di qui la strafottente diffusione laicale di questa pratica ai giorni nostri, una vera e propria pratica di massa, un onanismo di massa. Di qui l’accusa, di matrice zdanoviano-pretesca all’attività poetica quale mansione insulsa e parassitaria ai fini della compagine del «Nuovo Mondo».

Forse, il «Nuovo Mondo» che abbiamo costruito si regge proprio sulla grande menzogna di una estetica di matrice zdanoviano-pretesca.

Dalle parole che precedono si capisce quanto Maria Rosaria Madonna lavori nell’immondezzaio della materia oscura dell’inconscio. Ci va per intensificazioni stilistiche. Lavora però anche sul rallentamento, sull’alternanza tra le intensificazioni e i rallentamenti, gli slarghi, gli stacchi, i picchi; infatti, questi ultimi servono per mettere in risalto le impennate, le iperboli, le intensificazioni. Un eccesso di alti picchi, oltre ad essere difficili da eseguire, alla fine rende vacua e pleonastica la stessa intensificazione; infatti, allo scopo di introdurre dei rallentamenti metrici Madonna adotta spesso i virgolettati per il parlato anche per dirimere il parlato dalla descrizione; i dialoghi in poesia risultano utilissimi per mettere movimento lo scacchiere dei singoli «pezzi» musicali; per esempio, nei pezzi per pianoforte di Morton Feldman il musicista statunitense parla di «asimmetrie» e di «crippled simmetry» e della «memoria» «crippled»; e che cosa sono queste cose se non quello che noi della nuova ontologia estetica chiamiamo «frammenti»? La grande musica del Novecento ha saputo fare tesoro di questi inciampi, di questi azzoppamenti della simmetria, della dismetria, la poesia italiana del secondo novecento invece è rimasta prigioniera di una visione pacificatrice e unilineare del verso, il verso lineare di matrice «zdanoviano-pretesca» secondo la pittoresca espressione di Maria Rosaria Madonna.

Feldman diceva che quando si fa una musica della memoria bisogna introdurre una «disorientation of memory», è curioso che anche la poesia di Madonna adotti il procedimento del «disorientamento della memoria», una vera e propria dismetria e distassia della memoria. Giorgio Linguaglossa scrive: «è nella squisita fattura ellenistica della sua lessicalità il segreto di questa poesia», giudizio da condividere in toto, un ellenismo interiorizzato e riplasmato. Quanto al lessico, esso è costituito da scampoli presi a prestito dall’immaginario visivo e innalzati alla dignità di significanti, presi in saldo da una «neolingua» e da un linguaggio intriso di elementi ellenistici rivisitati e stilizzati in modo da consentire all’inconscio di rivelarsi, in tal modo Madonna crea le condizioni di accessibilità affinché si verifichi l’ingresso nel linguaggio poetico. Adesso possiamo dirlo: la poesia di Madonna allestisce un palcoscenico dove gli interpreti sono voci di un linguaggio incantatorio dove la sovradeterminazione regna sovrana.

Il discorso poetico in Madonna ha questo elemento valoriale, sta dalla parte della «internalizzazione degli oggetti» come afferma la poetessa, delle «cose» diremmo noi oggi, e le «cose» per essere dette abbisognano di un linguaggio «internalizzato».

Donatella Costantina Giancaspero

 

A fine 1991 Maria Rosaria Madonna mi spedì il dattiloscritto contenente le poesie che sarebbero apparse l’anno seguente, il 1992, con il titolo Stige con la sigla editoriale Scettro del Re. Con Madonna intrattenni dei rapporti epistolari per via della sua collaborazione, se pur saltuaria, al quadrimestrale di letteratura Poiesis che avevo nel frattempo messo in piedi. Fu così che presentai Stige ad Amelia Rosselli che ne firmò la prefazione. Era una donna di straordinaria cultura, sapeva di teologia e di marxismo. Solitaria, non mi accennò mai nulla della sua vita privata, non aveva figli e non era mai stata sposata. Sempre scontenta delle proprie poesie, Madonna sottoporrà quelle a suo avviso non riuscite ad una meticolosa riscrittura e cancellazione in vista di una pubblicazione che comprendesse anche la non vasta sezione degli inediti. La prematura scomparsa della poetessa nel 2002 determinò un rinvio della pubblicazione in attesa di una idonea collocazione editoriale. È quindi con dodici anni di ritardo rispetto ai tempi preventivati che trovano adesso la luce alcune poesie di uno dei poeti di maggior talento del tardo Novecento.

Giorgio Linguaglossa

 

Non adularmi per la mia misura,
se sono evanescente; tu dici «che non capisco
la lingua dei famuli…», ma «è che provengo
da un terribile digiuno…».
Tu dici che «non comprendo perché sono pagana?
Che non comprendo la lingua degli iloti?
E tu?, tu, invece, la capisci?».
«Io lo so: tu, convertito al dio dei cristiani,
intendi bene la lingua degli iloti
i tuoi simili, i devoti all’altare di Mitra
e del vostro dio dei cristiani…».
Un sonno leggero sulle mie palpebre.
Adesso sono una gemma (una stella?, una supernova?)
una stella senza profeta, sacerdote senza segreta.
«Sono la tua baldracca?, dimmi;
la tua lussuria osserva la danza araba
del mio ventre, l’ombelico che ondeggia
al suono dei sistri.
Non adularmi per la mia arrendevolezza,
è che sono evanescente e non capisco
la lingua dei servi».

*

Veniat sua jurisdictione terribilis
Supra mea culpa tollita, veniat
Sua maledictione supra mea carne bollita,
veniat Arcangelo superno supra mea
jocundissima ferita, veniat mea glabra
infernalia supra infermità condita,
veniat mea liquidissima suspicione
supra intentione amarissima, veniat
asprissima dipartita post meo iocundo
delitto.

*

Egredientes latrinitatibus meo pectore
armet oratio, regredientibus de platea
mea mens armet fortitudo atque
ad omnem incessum manus pingat crucem.

*

Cave, ne aures perfores, ne cerussa
et purpurisso consacrata Cristo ora depingas,
né collane d’auro et perle ornino
meo volto, nec capillum irrufes.
Habeat alias margaritas.

*

Oratio sine intermissione, ut sempre
me diabolus inveniat occupatam.

*

Così coltivo l’anima, quae futura est
templum Domini; non est obiurgare
si tardior procedo. Nihil aliud convenit audire,
nihil loqui. Turpia verba non intelligo.

*

Horam tertiam, sextam, nonam,
diluculum quoque et vesperam.
Nec cibus nisi oratione praemissa
nec luxuria nisi intercessione gratia.
Noctibus legere, orare, psallere.

*

Si cum tuo licore nel mio core
versato, si cum tuo livore sul mio
onore posato, si cum tuo stiletto in mio
diletto infernato, si cum tua malia
in mia regalia instanato, si cum mea
trebile ardua Canossa supra tue
ossa annerato, sic transeat mea amaritudo.
Interceda tunc lux sancta et benefica
affinché lo mattino more ustorio
vampa infuocata discacci l’ombra
e mora lo demonio dello inferno!
Ego sempiterno dolore amo et rinsavisco,
marcisco e porto lo crocefisso sulle spalle
leggero come l’albero di betulla

*

In fusca tunica incedo, dalla inopia cellula
del mio convento nel trono della tua alcova.
Vibratile lingua et focum fero.

Frigus, languor et nuditas.

Intra caecos reddit mea cupiditas
atque avarizia hominum.

*

Onusta incedo in capillos auro splendente.

Intra serpentes et scorpiones
secura ingredior.
Nuditas intra serpentes et scorpiones.

Maria Rosaria Madonna

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