DELITTO ALL’IDROSCALO
(a Pier Paolo Pasolini)
Ti hanno sfigurato
in un’Italia
che più non riconosci.
E massacrato nell’ambigua
certezza che il tuo corpo
per gli altri non avrà
altro giudice
che la furia dei tuoi
fratelli infelici.
Ora anche il tuo
rimpianto
è stato ucciso.
E nessuno di noi
può credere che l’amore
ha calpestato la tua faccia,
distrutto i tuoi occhi.
Nessuno di noi può credere
che la dolcezza della tua voce
ha insanguinato la tua testa,
come un melograno che rotola
nei solchi dì novembre.
Chi ti ha ucciso
è stato pagato.
Chi ti ha sfregiato
non era stato scelto
e pagato.
Eppure gli hanno detto:
Questa volta non facciamo saltare
un treno, ma un uomo che come un treno
pieno di uva matura corre verso la pigiatura.
Dobbiamo fermare quella vendemmia,
distruggere gli acini, i mosti
di un paese che è cresciuto.
E quel corpo irriconoscibile
annegano
nel suo stesso rimpianto.
Michele Parrella
Siamo abituati alle stringate e precise analisi di Giovanni Caserta, eppure ogni volta ci meravigliamo dinanzi alla dovizia della sua cultura, dinanzi alla sua scrittura sempre limpida, precisa e mai monocorde. In questo profilo dedicato a Michele Parrella non solo troviamo le qualità di sempre, ma anche una passione che aggiunge alle parole e ai giudizi un guizzo poetico, e troviamo le capacità di un Caserta che tesse con disinvoltura il panorama politico e sociale entro cui i protagonisti di cui tratta trovano legittimazione. Non è casuale che egli sia lo storico della Letteratura Lucana, uscita nel 1993 e ancora “insuperata”, come avverte il quarto di copertina del volume. Michele Parrella è un “caso” letterario molto particolare, una sorta di vagabondo innamorato della poesia e che attraverso la poesia ha tentato di imporre se stesso, di farsi amare e sostenere. Io l’ho conosciuto da vicino a Roma nello studio del pittore Enotrio che non gli lesinava mai né opere né danaro. Lui accettava sempre con la dignità di chi merita ciò che gli si dà. Sempre elegante, anche con gli abiti lisi, sempre con l’aria del damerino che però si sta piegando su se stesso e che al giovane poeta racconta le sue avventure di donne, soprattutto quelle con Maria Michi, Faye Dunaway, Irene Papas. Lo ricorda molto bene Giovanni Caserta che non trascura nessun particolare di una biografia che ha risvolti affascinanti. Le poesie civili di Parrella però sono altra cosa dal personaggio, anche se non sempre credibili e accese da autentica passione. Da lui la presenza di Rocco Scotellaro e di Leonardo Sinisgalli, registrata con amorevole precisione critica da Caserta, fu sempre negata. Era il primo in ogni azione, ma non fu mai arrogante, il primo vero comunista, il primo vero uomo da amare da parte delle belle ed eleganti donne della Roma bene, il primo vero poeta lucano. Sì, Sinisgalli padre e Scotellaro fratello, ma lui il primo. Il suo atteggiamento era quasi infantile, in questi casi, e ricordo che Enotrio sorrideva e lo assecondava con una pacca sulla spalla. Giovanni Caserta ricorda, tra i mille particolari, il vezzo di Parrella di dedicare le sue poesie a persone diverse su quei foglietti che avevano un sapore d’altri tempi. Molte di quelle dedicate a Trombadori le dedicava prima o poi a Enotrio e anche in questi casi il pittore sorrideva. Gli voleva bene. Pochi giorni prima che Enotrio morisse (da Roma era andato nella sua casa di Pizzo, sul mare) Michele Parrella lo raggiunse in tassì. Io ero andato a fargli visita e quando Parrella arrivò pensammo che fosse venuto per dare l’ultimo saluto all’amico. Era arrivato, invece, per chiedere un prestito, che ottenne. Enotrio dovette pagare anche il tassì. Insomma, non si contano le bizzarrie e le estrosità. C’è una poesia, Soana, dedicata a me. Non ho avuto modo di riscontrare se è stata offerta anche ad altri. Tuttavia conservo i suoi foglietti con affetto. Era comunque un dono. Giovanni Caserta ovviamente non si ferma a tratteggiare le stramberie e le eccentricità di Parrella, punta la sua attenzione soprattutto sulla sua poesia calandola nel contesto sociale e politico degli anni in cui viene scritta e pubblicata. L’affresco è puntigliosamente rigoroso e le sorprese sono molte. Il ritratto del poeta è perfetto, in tutte le sfumature, in ogni particolare. Non c’è bisogno che Caserta esprima giudizi di valore, raffronta e discute i versi di Parrella inquadrandoli negli avvenimenti dell’epoca e così se ne comprende la valenza soprattutto umana. Leggiamo questo passo: “Ed è, il suo, un osservatorio privilegiato. Roma era pur sempre la capitale d’Italia, se non del mondo. Partecipare agli eventi politici romani, giudicandoli, significava giudicare il mondo. Venuto dalla lontana provincia, Parrella era convinto che, da quella specola, il suo pensiero si spandesse per orizzonti lontani e fosse ascoltato. Perciò, in versi infelici, si lasciava andare a commenti sulle elezioni del 1963 o, in versi felici, sulla morte e sui funerali di Togliatti”. E’ il ritratto di Michele Parrella in sintesi, meglio non avrebbero saputo fare né Guttuso, né Enotrio, né Guerricchio. Grazie, Giovanni, di averci dato il Michele autentico che abbiamo conosciuto e amato. Soltanto la tua onestà critica e intellettuale poteva essere così misurata e calibrata, così straordinariamente convincente e serena. Ciao, Michele! Il tuo dono più grande è che non avevi una briciola di astio o di rancore contro nessuno, neppure contro chi ti aveva fatto dei torti, e che rivivevi le tue perdite come ricordi mitici.
Dante Maffia