Rispolverare i classici: tre sonetti di Ugo Foscolo

Ugo_FoscoloUgo Foscolo nacque a Zante il 6 febbraio del 1778. Di padre veneziano e di madre greca, da Zante si trasferì nel 1792 a Venezia, dove iniziò il proprio tirocinio letterario e dove, aderendo alle idee libertarie e repubblicane d’Oltralpe, si adoperò per l’indipendenza della sua città dall’Austria. Dopo il trattato di Campoformio (1797) dovette lasciare Venezia e trasferirsi a Milano. Chiamato alla cattedra di eloquenza nel 1819 nello Studio di Pavia, potè appena tenervi una celebre prolusione perché la cattedra fu presto soppressa. Caduto il Regno Italico, preferì l’esilio alle offerte allettanti fattegli dagli austriaci. Rifugiatosi in Svizzera e poi in Inghilterra, si dedicò prevalentemente alla critica letteraria. Morì il 10 settembre del 1827 a Turnham Green (Londra). Le sue ossa riposano, dal 1871, nel tempio di S. Croce a Firenze. Temperamento per eccellenza romantico, nella vita e nelle opere lottò tenacemente per placare il suo tumulto interiore e assoggettarlo a una misura di armonia classica. La sua arte, dopo lo sfogo autobiografico dell’Ortis (1802-1816-1817) e dei sonetti ( A Zacinto, Alla Musa, In morte del fratello Giovanni, Alla sera) e l’aspirazione neoclassica delle odi ( A Luigia Pallavicini caduta da cavallo, All’amica risanata, pubblicate come i sonetti nel 1803), assurge alla lirica meditazione nei Sepolcri (1807) e nelle Grazie (post. , 1848). Grande è anche l’importanza del Foscolo critico per il suo gusto dell’individualità creatrice e il senso vivo della storia.

 

ALLA SERA

 

Forse perché della fatal quïete
tu sei l’immago a me sì cara vieni
o Sera! E quando ti corteggian liete
le nubi estive e i zeffiri sereni,

e quando dal nevoso aere inquïete
tenebre e lunghe all’universo meni
sempre scendi invocata, e le secrete
vie del mio cor soavemente tieni.

Vagar mi fai co’ miei pensier su l’orme
che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
questo reo tempo, e van con lui le torme

delle cure onde meco egli si strugge;
e mentre io guardo la tua pace, dorme
quello spirito guerrier ch’entro mi rugge.

 

A ZACINTO

 

Né più mai toccherò le sacre sponde
ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell’onde
del greco mar da cui vergine nacque

Venere, e fea quelle isole feconde
col suo primo sorriso, onde non tacque
le tue limpide nubi e le tue fronde
l’inclito verso di colui che l’acque

cantò fatali, ed il diverso esiglio
per cui bello di fama e di sventura
baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.

Tu non altro che il canto avrai del figlio,
o materna mia terra; a noi prescrisse
il fato illacrimata sepoltura.

 

IN MORTE DEL FRATELLO GIOVANNI

 

Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo
di gente in gente, me vedrai seduto
su la tua pietra, o fratel mio, gemendo
il fior de’ tuoi gentili anni caduto.

La Madre or sol suo dì tardo traendo
parla di me col tuo cenere muto,
ma io deluse a voi le palme tendo
e sol da lunge i miei tetti saluto.

Sento gli avversi numi, e le secrete
cure che al viver tuo furon tempesta,
e prego anch’io nel tuo porto quïete.

Questo di tanta speme oggi mi resta!
Straniere genti, almen le ossa rendete
allora al petto della madre mesta.

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