Sei poesie di Giuseppe Ungaretti

220px-Giuseppe_UngarettiGiuseppe Ungaretti nasce ad Alessandria d’Egitto nel 1888. Ricollegandosi alle esperienze dei simbolisti francesi, Ungaretti si sforza di ritrovare l’intima essenzialità di ogni espressione: il nuovo corso lirico da lui inaugurato si è prestato alla definizione di ermetismo. La sua poesia esprime inizialmente la pena derivante da una solitudine senza rimedio, in versi di scabra e rarefatta liricità ( Il porto sepolto, 1916; Allegria di naufragi, 1919). Attraverso lo studio di Petrarca e Leopardi e le traduzioni da poeti stranieri, il linguaggio di Ungaretti si fa quindi più disteso e meditativo ( Sentimento del tempo, 1933) per ripiegarsi ulteriormente su motivi autobiografici ( Il dolore, 1947; La terra promessa, 1950; Un grido e paesaggi, 1952; Il taccuino del vecchio, 1960; Dialogo d’amore 1958. Prose di viaggio: Il povero nella città (1949), Il deserto e dopo (1961). Muore a Milano nella notte tra il 1° e il 2 giugno del 1970. E’ sepolto nel cimitero del Verano insieme alla moglie Jeanne.

 

IL SILENZIO

Conosco una città
che ogni giorno s’empie di sole
e tutto è rapito in quel momento

Me ne sono andato una sera

Nel cuore durava il limio
delle cicale

Dal bastimento
verniciato di bianco
ho visto
la mia città sparire
lasciando
un poco
un abbraccio di lumi nell’aria torbida
sospesi.

 

SONO UNA CREATURA

Come questa pietra
del S. Michele
così fredda
così dura
così prosciugata
così refrattaria
così totalmente
disanimata
Come questa pietra
è il mio pianto
che non si vede

La morte
si sconta
vivendo.

 

SENTIMENTO DEL TEMPO

E per la luce giusta,
Cadendo solo un’ombra viola
Sopra il giogo meno alto,
La lontananza aperta alla misura,
Ogni mio palpito, come usa il cuore,
Ma ora l’ascolto,
T’affretta, tempo, a pormi sulle labbra
Le tue labbra ultime.

 

ETERNO

Tra un  fiore colto e l’altro donato
l’inesprimibile nulla.

 

AGONIA

Morire come le allodole assetate
sul miraggio
O come la quaglia
passato il mare
nei primi cespugli
perché di volare
non ha più voglia
Ma non vivere di lamento
come un cardellino accecato.

 

È ORA FAMELICA

È ora famelica, l’ora tua, matto.

Strappati il cuore.

Sa il suo sangue di sale
E sa d’agro, è dolciastro essendo sangue.

Lo fanno, tanti pianti,
Sempre più saporito, il tuo cuore.

Frutto di tanti pianti, quel tuo cuore,
Strappatelo, mangiatelo, saziati.

Giuseppe Ungaretti

5 commenti
  1. L’ immersione in una condizione intersoggettiva dove gli aspetti della biografia privata da una parte si sublimano, dall’altra escono da una situazione storica per riscoprire un’ innocenza primordiale e della natura con accenni di metamorfosi e trasfigurazione sempre però assediate da un memento mortis. Da qui si evince la convivenza nella produzione ungarettiana di un percorso diaristico da un lato, dall’altro la continua autonomia delle singole liriche. Dunque la moltitudine delle esperienze trascorse in prima persona sono scandite come molecole in un contesto duraturo e continuo.

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