Direi che in questo libro poetico di Francesco Lorusso, Maceria, ci sia gran parte del viaggio della parola poetica nel quadro della evoluzione della lirica italiana del dopo l’ermetismo. I versi che questo poeta propone hanno ricevuto alimento e luce in piccola dose dalla esperienza luziana, in grande quantità invece da quella bertolucciana e, soprattutto, dalla poetica del dolore di Caproni, dal malessere esistenziale di Sereni, dalla ricerca stilistica di Giudici, da quella sorta di sperimentalismo «non d’avanguardia» di Zanzotto, mentre si è ridotto a meno di una scheggia la doppia valenza ideologica e politica di Fortini.
(22, pag.36)
Nel suo letto di gigli giungi alla fonte
per comporre la luce dai suoi colori
alla bocca della caverna.
L’urto con la parete
è stordimento di coscienza
cromatura delle ombre che passano
paradisi accesi dalle fiamme
dove il bianco si liquefa stanco
sotto il piede dell’eccesso.
«Chiarezza» è il titolo che io avrei dato a questa raccolta di Francesco Lorusso, chiarezza non come semplicità di costruire versi da parte dell’autore e di leggerli da parte del lettore, ma chiarezza in senso sabiano, poiché proprio nell’opera del poeta triestino «chiarezza» coincide con «profondità».
Ed è questo binomio Chiarezza/Profondità che si impone perché come in Umberto Saba così in Francesco Lorusso la profondità coincide con l’accettazione oserei dire totale della vita in tutte le sue sfaccettature, in tutti i suoi aspetti, con il proponimento da parte di Francesco Lorusso di ascoltare, accogliere e trasformare qualsiasi esperienza del vivere in ricchezza interiore da con-dividere con i lettori attraverso la lingua poetica dell’autocoscienza, dello scandaglio incessante del «fondo» della psiche da rapportare alle misure del tempo e dello spazio del mondo, per salvare l’integrità della persona all’unico scopo di reintegrare l’uomo-poeta con sé stesso, con la comunità, con la natura.
(32, pag.46)
Magre frasi di luna
brillano sulle maree
e lontane nubi di sogno
sollevano sangue di more
sedute a seguire le stelle
con la perfetta attesa
per tempo smentita.
Estraneo al dannunzianismo e ai dannunziani della bellezza-in-nome-della-verità, collocandosi al di fuori dell’attivismo dei vociani, ma estraneo anche alla poetica crepuscolare che si limitò a registrare il reale vissuto senza mai scandagliarlo nella sue profondità, Francesco Lorusso adotta il linguaggio non corrotto dalle mistificazioni dell’estetismo decadente, il linguaggio che ristabilisce il legame fra nome e cosa e come tale ancora in grado di significare le cose come sono, scansando tutto quel filone della poesia novecentesca che a lungo ha privilegiato i significanti sui significati. Così come si ripara dai vezzi diffusi tra tanti autori d’oggi che o si esibiscono nel formalismo («solo lo stile conta»), o nel nichilismo («non c’è senso, non c’è verità, le sole cose da dire in letteratura sono l’assurdo e il nulla») e/o nel solipsismo, («un atteggiamento autoreferenziale, compiaciuto e narcisistico delle sue piccole emozioni, delle sue insignificanti esperienze sessuali, delle sue futili reminiscenze fondate sulla idea che quanto più il mondo appare ripugnante, tanto il Sé e l’Io appaiono affascinanti…»).
(46, pag. 60)
Lama di luna d’alba
il tragitto è nitido
nel fresco capitolo
preso sulla coda dell’occhio
la lacrima tagliente
annicchiatasi lievemente e scialba
si è trovata al centro dell’ora esatta
dell’unica campana a noi corretta.
Francesco Lorusso ha coscienza della «valenza ontologica» del linguaggio e della poesia come «evento». E fa suo il pensiero di Heidegger secondo cui:
«E’ il nominare che istituisce l’essenza e l’essere di tutte le cose […]. Il linguaggio, nominando l’ente, per la prima volta lo fa accedere alla parola e all’apparizione […]».
Con le dovute e doverose differenze sia di contesti storici, geografici, antropo-ideologici, sia di antefatti poetici da rimarcare rispetto ai poeti russi dell’acmeismo , da Gumilev a Gorodekij, da Mandel’stam ad Anna Achmatova, che individuarono in quel fenomeno particolare giunto a noi come adamismo la propria cifra tematico-estetica esemplare, anche per Maceria di Francesco Lorusso parlerei di «poetica dell’adamismo» da intendere proprio come inclinazione, ma anche come aspirazione, al traguardo supremo dei poeti: dare il nome alle cose come se le cose fossero dal poeta nominate per la prima volta, esattamente come fu per Adamo, senza scollature fra intenzioni d’arte e risultato estetico.
(28, pag.42)
Arrivo a te ora con troppa approssimazione
nella indifferenza dello spazio di due parole
abbandono di ogni abito attraverso i giorni.
Il sudore che permane sconosciuto
domanda di un rumore sotterraneo,
di un breve cardine di sole che rompe
appena l’ombra sulla bocca del bicchiere.
(42, pag.56)
La cosa può restare questa stessa
senza neanche uscire dall’imprevisto
o dalle precise porte che la fissano
con legacci minimi a povere parole
aspetta nuove coniugazioni di linea
sulla loro perimetrale
da dove registrano la perdita
in ricchi volumi di gente
spicchi di aromi che si sprigionano
assieme ai loro motori comodi
e al vizio di un rilevatore climatico.
Il battente adesso stagna con lo stipite cavo
cardine ancora di questa calma a sorpresa
che mantiene fra di noi la diagonale perduta.
Gino Rago
Francesco Lorusso, musicista e poeta barese, nato nel 1968. Sue poesie e letture critiche sono apparse sulle riviste “Poesia”, “Atelier”, “Anterem”, “incroci”, “Il Segnale” e, on-line, su siti quali, tra gli altri, “Sulla Letteratura (On Literature)”, “La Recherche”, “Poetarum Silva”, “Cartesensibili”, “Imperfetta Ellisse”. In volume ha pubblicato: Decodifiche (Cierre Grafica, Verona 2007) con prefazione di Flavio Ermini, L’Ufficio del Personale (La Vita Felice, Milano 2014) con prefazione di Daniele Maria Pegorari, Il secchio e Lo Specchio (Manni Editore, Lecce 2018) con nota introduttiva di Guido Oldani.
Sabianamente, Francesco Lorusso intende il poeta non come un letterato di professione ma come “un ricercatore di verità”, di verità interiori e di verità esteriori.
Con questo programma di poetica, e di vita, l’autore di Maceria ricusa la sola bellezza esteriore e pone al centro del suo metodo di lavoro la ricerca della sincerità e dell’onestà e propone una «poesia onesta» senza artificio, e senza finzione, spostando il baricentro estetico della sua poiesis verso la verità interiore. Parlerei di «poesia onesta» in senso sabiano anche per Luciano Nota, come emerge anche da questi suoi versi inediti:
“Intanto cede questo veleno
a cui credevo di affidare il segno.
Un incontro tra sole e luna
sovente sospeso per statue.
Ho indossato una piazza.
Hai indossato una ameba.
Girava la testa tutta intera.
Al tempo stesso una ironica ferita
da braccia di caraffe
focalizzava le attenzioni.
Occhiate alle gambe del tavolo.
Immobili.
Immobili.
Al chiuso e fuori.
Acceso.
Acceso.
Acuivo la striscia del fluido
incarnata a un sintomo di ghiaia.
Io ameba.
Tu piazza.”
I quali versi ci invitano a entrare in una poesia in grado di inglobare in sé, di fronte alla frantumazione del soggetto, ogni realtà, ogni esperienza del vivere, nella cosciente necessità etica della unità poesia/vita, arte/vita, senza illusioni palingenetiche e sempre collocandosi al di fuori della «estetica decadente» di pretendere di fare della propria vita un’opera d’arte.
Altro che ameba, Luciano Nota sa da che parte stare nel mondo, come del resto consapevole appare anche Francesco Lorusso della porzione di mondo che vuole abitare, come uomo e come poeta.
Gino Rago
Affiorano qua e là sottili lamine petrose, nell’ultima pubblicazione Maceria del poeta pugliese
Francesco Lorusso; lacerti esistenziali, come evidenzia nella prefazione Giacomo Leronni…:
…dell’aria filtrata rasoterra…
…le strade aperte sul petto delle camicie…
…Intanto il tempo del giorno si fa aria…
…la riflessione ferma del passo…
…nell’invalore pressante delle voci sicure…
…Il passo che rivolta la strada…
Sui quali, lacerti, crescono e si interrompono e riprendono a salire muriccioli a secco, macerie di sospensione poetica; parole a volte incomprensibili in un linguaggio che morde sé stesso, azzanna il senso, mortifica il lettore, il significato, la prassi consueta dell’intendimento sintattico, divenendo territorio residuale, un tentativo poetico intatto,, come bene sottolinea Gino Rago nella sua esemplare lettura di “poesia onesta”.
Questa silloge anche di polvere, di terra è intrisa. Connotazione geografica dell’autore, contadina, aspra, testarda, di origini lucane, che svela la rappresentazione di un verso, discriminatamene coltivato, dissodato, sudato, ripulito e ancora con forza riproposto. Come lo stesso Lorusso annota all’interno del volume.
Una minuta raccolta, queste sudate carte, che minuziosamente nel pensiero si fingono, in ragionamenti di assoli verticistici, riproponendo il proprio limite, il nostro rispecchiato misero infinito, con una rafforzata verve oracolare, poetica.
Saluto e abbraccio entrambi Gino Rago e Francesco Lorusso di cui mi onoro essere amico.
Un caloroso ringraziamento a Luciano Nota, alla presenza di Erato, per la proposta qui evidenziata.
Grazie Nota, grazie Erato.
Ringrazio Gino Rago per l’accurata nota di lettura che dedica al mio Maceria, profilando con precisione le peculiarità del volume e le modalità di movimento che tento di seguire nel mio procedere “creativo”.
Mi onora non poco anche, nello scritto a commento, il suo accostarmi alla poesia di Luciano Nota; il suo primo distico “Intanto cede questo veleno / a cui credevo di affidare il segno”, infatti, mi somiglia molto, al punto che avrei voluto scriverlo io.
Grazie per l’ospitalità a La Presenza di Èrato, nella cura di Luciano Nota,
e un saluto a tutti i suoi Lettori.
Francesco Lorusso
Un grazie anche all’amico e poeta Mauro Pierno, anch’egli, tra l’altro, appena uscito in volume con COMPOSTAGGI, per le Edizioni Progetto Cultura di Roma.
Rispondendo qui a Rago, mi ha regalato un commento così personale e articolato da configurarsi come una vera e propria ulteriore nota di lettura.
Mi ricorda che Rago, nella sua bontà, ha definito la mia, “poesia onesta”, e evidenzia le mie radici, che si allungano fino alla Lucania.
Francesco Lorusso
L’ha ripubblicato su RIDONDANZEe ha commentato:
Sabianamente, Francesco Lorusso intende il poeta non come un letterato di professione ma come “un ricercatore di verità”, di verità interiori e di verità esteriori.
GINO RAGO