Per i suoi ottant’anni Claudio Magris ( fine saggista, critico letterario, letterato a tutto campo) si concede l’ultima importante fatica letteraria, cinque racconti, uniti dal titolo del racconto eponimo Tempo curvo a Krems, regalandoci le sue affabulazioni su un tema unico, quello della vecchiaia, contemporaneamente ricordandoci che il racconto- genere letterario sempre un po’ trascurato- è uno splendido genere letterario che cavalca e sa unire insieme poesia e narrazione.
Del resto il suo itinerario narrativo è nato con Illazioni su una sciabola, un racconto breve pubblicato nel 1984 per la rivista Milanese di Economia della Cariplo, poi da Garzanti nel 1985: è l’anticipo del tema che lo caratterizza, quello del viaggio, in questo caso quello di tutto un popolo, dei cosacchi che cercano invano una patria perduta, un luogo dove impiantare la propria patria, la Kosakenland, in Carnia…, passando poi a Il Conde, un racconto lungo, molto bello, la prima vera prova narrativa di C. Magris; è apparso per la prima volta sul «Corriere della Sera» il 23 dicembre 1990 col titolo Io, pescatore di anime morte, e narra in un originale monologo la storia di un «anonimo barcaiolo», che ha perso la propria vita in un mestiere misericordioso, nell’atto di servire: “un cacciatore di corpi annegati sul fiume Douro, il fiume che sembra ricordare l’Acheronte, in una mesta luce di un rito funebre; che ha amato una donna e l’ha perduta”…
Poi arriveranno i grandi romanzi: Danubio, che segna l’invenzione di un genere letterario che non è né saggio né romanzo né autobiografia, ma tutto questo insieme, sofisticato e nel contempo semplice… Segue Un altro mare, in cui Enrico Mreule, il protagonista, che fu un intimo amico di Carlo Michelstaedter, e nonostante le sue notevoli vicende personali avventurose in Patagonia, cui seguì il rientro a Gorizia, visse le vicende della seconda guerra mondiale da quella posizione malinconica ed appartata della vecchiaia che non riesce a congiungere i due mari della sua vita, fino allo sbocco definitivo del terzo ultimo mare, senza più speranze e senza ritorno; poi Microcosmi , dove il destino personale con i suoi piccoli o grandi significati viene illuminato per frammenti sullo sfondo di paesaggi più ampi, a interrogare, cercare un senso all’uno e agli altri.
Intrigante mi sembra ancora Lei dunque capirà , che è una originale rivisitazione del tema di Orfeo.
Non luogo a procedere, l’ultimo importante romanzo di C. Magris, è la storia di un grottesco Museo della Guerra per l’avvento della pace, da costruire a Trieste. Un romanzo molto impegnativo, con storie che si inglobano, intersecano l’una con l’altra, un romanzo violento, tenero e appassionato, in cui Claudio Magris si confronta con l’ossessione della guerra di ogni tempo e paese, quasi indistinguibile dalla vita stessa, un romanzo assolutamente da leggere.
Ed arriviamo così ai cinque racconti de Il tempo curvo.
I cinque protagonisti di questi racconti si ritrovano tutti a fare i conti con la loro vecchiaia, con un tempo che sembra non avere inizio né fine, la corrente di un fiume che conduce alla foce e alla sorgente. Ognuno di loro la affronta secondo la propria personalità e la proprio storia personale: il tempo, argomento difficile e spesso indecifrabile. Magris lo affronta dal punto di vista fisico, letterario, naturale e filosofico con una sensibilità che conduce il lettore a voler rileggere le singole intense, difficili frasi che ne scandiscono il problematico significato per comprenderle al meglio. Una lettura non riposante.
Il primo- Il custode– presenta l’ironica paradossale ritirata dalla vita del ricco industriale che ne scopre tutta l’opacità e l’ambiguità del significato, «invecchiare diviene il simbolo del sopravvivere, grazie… ad una tecnica di ritrosia e di ritirata in minimi spazi di libertà vigilata…tutta la vecchiaia, del resto, era un avanzare per indietreggiare: ci si inoltrava in un territorio sconosciuto per sottrarsi alla realtà che premeva da tutte le parti, spigolosa e invadente».
Il protagonista de «Il custode» viene umilmente dal popolo, ha sofferto, lavorato, faticato con successo, fatto fortuna, ha amato, avuto figli …ora, solo, vive la solitudine, sceglie di occuparsi di piccole insignificanti cose di portineria, mentre i condomini gli passano davanti indifferenti. Riempie terribilmente l’ultimo suo tempo con un futuro che sembra in modo del tutto nuovo, spiazzante, il ritorno al passato: “Adesso il mondo era un cane che non poteva più morderlo ma si metteva a correre e giocare con lui”.
Il secondo– Lezioni di musica– vede l’ultimo incontro del vecchio maestro di musica con il suo antico scolaro, ormai diventato un autorevole violinista, che vuole proporgli la lettura della sua ultima composizione. Ma i tempi dei due protagonisti che pur si incontrano, sono irrimediabilmente lontani: non fa in tempo il vecchio maestro a velare il suo sguardo che esprime una verità forse involontariamente crudele – avvisaglia di vecchiaia- l’indifferenza, e le parole di risarcimento e promessa non cambiano la verità nascosta, l’assoluta estraneità di quel presente che non riesce a risuscitare il passato da esule polacco ebreo, l’infanzia triestina da giovane balilla integrato, del vecchio maestro… quasi un passato che deve ancora succedere …Avrebbe letto la composizione sì, e forse gli avrebbe fatto anche piacere, forse più a lui che all’altro: “No, la vecchiaia non era la felicità, anche se non c’era più niente di particolarmente serio..”
Ma è il terzo racconto, quello eponimo, Tempo curvo a Krems, che offre la chiave interpretativa della narrazione e che ci riconduce anche ad alcune pagine di Microcosmi, alla gioventù triestina dell’autore, e dove il caso con i suoi piccoli o grandi o indecifrabili e inquietanti significati, apparentemente insignificanti, viene illuminato per frammenti della memoria, pur incerta, messa in discussione, che gli fa scoprire il non tempo della vita e dell’amore, in cui tutto è presente e simultaneo. “Amare, sinonimo di essere, verbo difettivo che conosce solo l’infinito presente”
Una conoscenza che pretende la forza di una ipotetica frequentazione avvenuta nel passato, un ricordo evocato, ma falso, un’intimità mai realizzata…: si sarebbero davvero conosciuti, si sono davvero conosciuti, i due protagonisti del racconto?
“ Ero dunque il vecchione di Svevo, che raggiunge solo tanti anni dopo una ragazza intravista una sera, saldando soltanto nel ricordo il conto lasciato aperto…mezzo secolo prima?” I personaggi possono non distinguere la realtà dal ricordo e dall’immaginazione, a tal punto che non solo i ricordi dei fatti si trasformano, ma anche le emozioni che ne conseguono.
L’autore proverà a rispondere con l’aiuto della fisica e della filosofia…: “ Il tempo è signore della causalità : una causa produce un effetto e dunque lo precede, viene prima di esso…sì, il tempo è un ordine causale, ma se la causa si propaga nello spazio-tempo…Oggi, adesso… ma che vuol dire? …oggi e ieri, adesso e domani, prima e dopo esistono solo nel cervello, volubile e prepotente che mette il prima qua e il dopo là.” Il tempo come una linea curva anziché una retta.. forse perfino una curva chiusa ossia un cerchio. Il tempo ovvero la morte…: la teoria di Penrose.
Ognuno va alla ricerca della propria nozione di tempo, quello perduto e quello ritrovato. Il tempo della vita, dell’amore, delle relazioni e dell’esperienza …. Più la memoria è remota, più il trascorrere del tempo modifica la nostra percezione del presente. In questo senso il tempo è “curvo”: si flette su stesso e ritorna a condizionare le nostre azioni. “eterno dileguare, eterno essere; il fiore muore nel frutto, dunque è il frutto…”
Il racconto si sottrae a ogni definizione narrativa, sfugge alle formule letterarie e percorre una sua strada assolutamente originale nei fascinosi territori del fantastico.
Il premio, è il racconto in cui la diaspora razziale e l’attenzione colta e affettuosa di Magris nei confronti del mondo ebraico si esprime al massimo.
Il vecchio scrittore ospite d’onore di un premio misura la propria estraneità al mondo e ai riti della letteratura: “ Da qualche tempo gli sembrava di non poter fermare il suo sguardo su un singolo oggetto, ma di oltrepassare le cose come se fossero trasparenti e di perdersi, con la sua vista miope, in un’incolore lontananza”. Non capiva più quello che lo attraeva o gratificava e quello che gli era indifferente. Ricordava il suo passato in Moldavia, la madre, il padre… quello che era avvenuto dopo –le persecuzioni antisemite, la rovina economica della sua famiglia- era una corsa confusa di immagini.. Anche la letteratura gli era divenuta indifferente: “ Sì, sì, devono essere le nuove tendenze letterarie…be’, passeranno anche queste, disse tra sé, salendo lentamente le scale”.
L’ultimo racconto- Esterno giorno-val Rosandra– è il racconto della resa cinematografica del ricordo d’un vecchio professore.
Qui il passato rivive contemporaneamente nella memoria del protagonista mentre si fa recita davanti ai suoi occhi nelle scene del film che si sta girando in Val Rosandra e che vorrebbe ricostruire la gioventù piena di sogni del protagonista, di pace e fraternità. La rivede con distacco, confusa e lontana, come uno spesso velo tra lui e le cose, chiedendosi se sia proprio la sua e dei suoi amici… : la Trieste asburgica, la guerra e le trincee sul Carso, il fascismo del dopoguerra… e Auschwitz….Svuotato, un sacco che non sta in piedi, il futuro calato come una ghigliottina… Nessun rimpianto, nessuna nostalgia o assoluzione sentimentale o commozione…. “eventi accatastati l’uno vicino all’altro, magazzino della Storia.. verità del disagio e del tramonto..” ; anche le pagine invecchiano: “ come le cose vive; fanno orecchie d’asino, si sgualciscono, avvizziscono. Come la mia pelle, pensa, osservando il dorso rugoso della sua mano”.
Vedrà volentieri quel film, a cose fatte… Il cinema gli ha insegnato la bellezza della dissolvenza, e non solo nel film, ma anche nella vita. Chiusura magistrale.
Maria Grazia Ferraris