Poesie di Sandro Penna, nota di Cesare Garboli

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Sandro Penna, Perugia, 12 giugno 1906 – Roma, 21 gennaio 1977

La poesia di Sandro Penna nasce dal grande serbatoio pascoliano ( “ascolto i miei pensieri/ piegarsi sotto il vento occidentale” ) e dannunziano, fra “estati guaste” e un oscuro nesso vita-sogno, fra perdite di memoria e pronti rimedi di stile panico ( ” Nel cuore è quasi un urlo/ di gioia. E tutto è calmo” ). Ma penna non fa mai ricordare i modelli. Penna trascrive direttamente dal vissuto, riducendo a pochi suoni inimitabili una tastiera letteraria che ritorna precipitosamente “reale” grazie a combinazioni miracolose di grazia visiva, pennello impressionista, traduzione “greca”, stile narrativo, canzonetta sentimentale. Poeta “fuori dalla realtà, Penna è un poeta immerso nella storia. E’ un poeta italiano, che ci racconta e ci dice come è fatto il nostro paese. Nessun poeta italiano del Novecento ci parla mai di noi e dell’Italia: Penna sì, Penna ha percorso tutta l’Italia – l’Italia sconosciuta, l’Italia anonima – con la febbre, si direbbe; e in pochi versi ce la descrive tutta da Milano a Ancona, da Roma a Perugia. Penna è un grande classico della malattia; ma la sua vera perversione consiste nel fatto di avere vissuto la malattia con uno splendido abbandono da sano, respirando a pieni polmoni, percorrendola come un sentiero di montagna; e da questo paradosso, da questo imbroglio giù tutti gli altri. La grandezza di Penna sta infine in una scelta radicale e estrema. Penna è il solo poeta del novecento il quale non sia mai sceso a patti, per nessuna ragione, con la realtà ideologica, morale, politica, sociale, intellettuale del mondo in cui viviamo. Mai che Penna abbia frequentato, anche solo per un istante, questa realtà. Non la contestava, non la protestava. Delle idee del secolo, Penna aveva anzi rispetto; ma era il rispetto di uno scienziato, il quale osservi, incuriosito, un gioco di fanciulli. Penna aveva rifiutato il mondo degli adulti; lo aveva rifiutato come un mondo insignificante, un po’ volgare, un po’ miserabile; un mondo fatto di loschi affari e di vanità risapute, di angosce meschine e di ridicoli imbrogli. Penna aveva rifiutato di “appartenere alla realtà”, la sua parola tematica è “vita”.

Cesare Garboli

 

Sole senz’ombra su virili corpi
abbandonati. Tace ogni virtù.

Lenta l’anima affonda – con il mare –
entro un lucente sonno. D’improvviso
balzano – giovani isolotti – i sensi.

Ma il peccato non esiste più.

*

E’ forse detto che l’amore umano
vano non debba rimanere mai…
Se la vallata è così chiara, il sole
– ormai sul monte – con leggero amore
vi scherza. Nè si duole più la terra.

*

Piove sulla città. Piove sul campo
ove incontrai, nel sole, il lieto amico.

Ei, nell’età gentile, ha il cuore vago.
E a me certo non pensa. Ma innocenti
peccati in me la pioggia riaccende.

*

Nel fresco orinatoio alla stazione
sono disceso dalla collina ardente.
Sulla mia pelle polvere e sudore
m’inebbriano. Negli occhi ancora canta
il sole. Anima e corpo ora abbandono
fra la lucida bianca porcellana.

*

Leggera piomba sul bene e sul male
la loro dolce fretta di godere.

*

Dopo averti spiegato e rispiegato
fuggito con la noia il tuo mistero,
il tuo passo leggero e assennato
“chi sarà?” mi gridava. Ed io chi ero?

*

Un sogno di bellezza un dì mi prese.
Ero fra calda gente in un caldo paese.

*

Forse la lenta tua malinconia si perde
se nella notte ad un veloce
treno l’affidi.

*

Notte bella, riduci la mia pena.
Tormentami se vuoi, ma fammi forte.

*

Ecco, fanciullo, io ti ho portato a questo
luogo selvaggio, a notte, per che fare?
Non so.Non posso soffocare io questo
amore della vita. E sotto è il mare.
Lo varcherò. Conoscerò le genti
più disparate. Vedrò quanto è bella
la vita negli occhi di chi ha
quindici anni fanciullo, come te.

*

Andiamo, andiamo disperatamente
ancora insieme ne la notte fonda
e lieve e vellutata dell’estate.

*

Mio padre è morto.
Non era vecchio ma già
s’incamminava.
Era il mio vecchio
amico sì, da quando
io giovinetto,
scoprivo in lui un compagno
la sera, il lavoro finito.

Adesso, all’ombra bassa
fra gli alberi, sotto le stelle
sento la vita farsi
più lenta e malinconica.
Eppure è qui la stessa
delle mie sere accese.
E’ la stessa che corre
e torna in bei fanciulli.

Sandro Penna

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