Alfonso Gatto, (poesie 1950 – 1976), di Donato Antonio Barbarito

gattoLe poesie composte dal 1950 al 1976 sono state raccolte in quattro sillogi. Segnano l’evoluzione dei motivi e del linguaggio poetico di Alfonso Gatto. La sua partecipazione attiva alle questioni letterarie ed artistiche, gli apporti culturali di altri paesi, lo spingono alla ricerca di nuovi stimoli e contenuti, di una più libera articolazione del discorso, aspetti che danno del poeta salernitano un certo profilo “europeo”:

1) La Forza degli Occhi dedicata al figlio Leone (1950-1953). . In queste liriche esprime una carica nuova per l’astratto e mitico da una parte, il concreto dell’esperienza biografica ed esistenziale dall’altra. La ricerca sperimentale perviene a soluzioni tipiche tra ermetismo e surrealismo: visioni scardinate e sconnesse, termini di paragone di cose ed oggetti inconsueti e di senso opposto a quello d’uso normale, esemplari i versi delle seguenti liriche:

VENTO

Io so che il vento è un funebre canto,
la sera al suo lastrico tetro
è più asciutta del pianto
è più asciutta del mare.
Chi si vede passare
sempre si volta indietro.
L’arancio e il freddo della bocca
ha mangiato il bambino che imbrocca
gli stessi azzurri sentieri
del vento e del pianto.
Ma questo è allegro umore
a non dir nulla e cantare.
La morte non può morire,
la morte ha i suoi grandi pensieri
d’amore.
Caduto il vento,
un tepore
la notte.
Il mare s’alza
dietro le case.

 

IN UN SOFFIO

Risvegliare dal nulla la parola.
E’ questa la speranza della morte
che vive del suo fumo quando è sola,
del silenzio che ventila le porte.
Il passato non cessa di passare
e l’odore che sparve è l’aria calda
che ferma gli oleandri lungo il mare
in un soffio di mandorla e di cialda.

Spesso nella musicalità di pochi versi si dispiegano, simultaneamente, stati d’animo esistenziali e affettivi, che il poeta colora di immagini e ritmi gradevoli. Significativa la lirica che fa da preambolo, imperniata sulla figura del bimbo che cresce.

Nel corso dell’età che ti circonda,
bambino che salendo lasci solo
al bambino che tenta alle tue spalle,
io so che non è volo
lo sguardo dove corri e che pur breve
la memoria a seguirti lascia un’ombra.
Ombra a me cara d’ogni passo avuto
per dono dalla terra
e vittoria di te vivo nei giorni
e d’ora in ora nei minuti vivo.

2) Osteria Flegrea (1954-1961) dedicata a Graziana e Leone. Si torna a respirare un’atmosfera elegiaca del mondo dell’infanzia, della casa e degli affetti familiari, di luoghi e persone conosciuti nella sua esperienza di instancabile viaggiatore, rivissuti attraverso la memoria e una più profonda sensibilità umana. Si tratteggiano con grazia poetica profili di bimbi, figure leggiadre immerse nel ritmo corale della vita, quella del figlio Leone., della madre ( la raccolta “La madre e la morte” con la lirica “A mia madre”.

“Il verde, il muro, sui gradini l’erba.
Era l’autunno nel piccolo fiordo
d’azzurro nevicato. Quel che serba
l’avvenire è passato. Il tuo ricordo …” (“Mia Madre a Marini)

Gatto cerca di cogliere l’anima dei luoghi e dei paesi, immagini di esistenze consumate dalla fatica, il dramma di una umanità dolente.

SERA DI PUGLIA

Il bimbo d’afa che la mosca nera
imbelletta di ciglia e d’ombra come
una bambola morta
e la donna che muove a tamburello
il setaccio di pula
quella sera d’estate udii il pianto.
Era la madre sola
col bimbo d’afa inzuccherato d’ali
che le moriva in grembo…
ma nessuno si mosse. Erano stanchi
di mentirsi pietà, erano dentro
il pianto che piangeva anche per loro,
come la pioggia sui cavalli in piedi
ad ascoltarla li fa grandi e soli.

Non mancano motivi dell’amore e altri temi cari al Gatto, rivisitati con malinconica sofferenza che viene da una sofferta esperienza di vita.

3) Le Rime di Viaggio per la Terra Dipinta (1968-1969) – Poesie di un anno in cui il poeta ebbe l’occasione di viaggiare “per la terra dipinta, terra d’ogni dove e dei primi sguardi che le lasciai fuggendo”. Le liriche corrispondono e si intrecciano, quasi a commento esplicativo, con il segno pittorico delle cento tempere eseguite prima delle poesie.“ Non vi riscontriamo lo sviluppo di un discorso coerente, ma una serie di quadri costruiti sul filo della memoria (albe e tramonti, mare, monti, paesaggi, nature morte, campagne, coste, paesi) e trasfigurati dall’immaginazione, con un certo equilibrio tra realtà e miraggio, visione del colore e invenzione verbale. Nel linguaggio traspare il gusto analogico, la ricerca tecnica delle parole, del verso e della rima. Nella “pittura” il riscontro di un’anima sensibile . Nel complesso una vitalità espressiva venata di melodia. “Qui, – scrive il poeta – su queste pagine scritte, sulle altre per acqua trasparenti al segno e al colore, ancora di me si tramanda l’immagine che mi precede e mi aspetta…”

PAESE

Qui tutto verde di marcite bionde,
corone di nenufari sul vetro
dell’acqua, il lago aggalla alle sue sponde
di svogliato scirocco è come un tetro
disperato gigliare di ragazzi
che s’aprono alle braccisa, palla a volo
in un’ora deserta: sugli spiazzi
delle calate qualche vecchio solo.

4) Desinenze (1974 – 1976) dedicate a Paola Maria Minucci, che insieme a Ruggero Jacobbi curò la pubblicazione un anno dopo la morte del poeta. Gatto, alla luce del principio di un equilibrio nell’ordine del creato (“costrutto di creato”) e del consumarsi del “tutto” come del “nulla”, rilegge “le stagioni e il senso della propria biografia”, la propria storia personale, e si rivolge ai suoi vivi e suoi defunti per “appurare se la trama che li tiene uniti regga alla consunzione” (Silvio Ramat). Una revisione dell’esistenza che coinvolge la madre, il fratello Gerardo, un nesso tra memoria e oblio che dall’ambito domestico si allarga ad epoche della memoria storica, caratterizzata da stragi e devastazioni. Il lessico è costituito da parole-chiave che si ripetono ma che di volta in volta si arricchiscono di senso; in “Desinenze” appare una nuova lirica intitolata “Isola”, che non è un ricalco dell’universo astratto della lirica giovanile, ma un’isola “di pietra”, “di silenzio”, un punto di arrivo definitivo, un “nome” che “si riconnette al viaggio, all’amore, lo spazio domestico in cui i morti e i vivi convivono e si armonizzano tra memoria e oblio. Da isola a isola, – scrive Ramat – in ariosa simmetria, il viaggio poetico di Alfonso Gatto non potrebbe sigillarsi con una metafora più concreta.” Da una lettura integrale della sua poesia, a quarant’anni di distanza dalla morte, “emerge una continuità, una costanza di fondo, che tuttavia non reprime, né censura, ma al contrario accredita e giustifica, libro dopo libro – da “Isola”, 1932, al postumo “Desinenze”, 1977 – sperimentazioni e sobbalzi di un’avventura espressiva tra le più originali del Novecento italiano.” (Silvio Ramat – Introduzione al testo “Alfonso Gatto -Tutte le poesie” – Mondadori 2017)

Donato Antonio Barbarito

 

ISOLA

Avvicinarsi all’isola, a quel soffio
marino ch’è nel lascito del cielo,
e scoprirla di pietra, di silenzio
nell’agrore dell’erba, nel relitto
del lastrico squamato dai suoi scisti:
questo è rabbrividire sul mio nome
improvviso nel monito del vento.
Più nessuno lo chiama, e l’esser solo
a scala del mio sorgere, riemerso
dal mio sparire all’avvistarmi, è spazio
che l’aperto raggiunge per fermare,
per chiudere alla stretta del suo scoglio.
Il viaggio, l’amore, in quell’arrivo
fermano il conto e il tempo, nello spazio
il nome nel raggiungermi mi chiude.

Alfonso Gatto

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