Via provinciale è l ‘ultima opera di Giampiero Neri che si muove nel solco de Il professor Fumagalli e altre figure, la raccolta del 2012. Infatti in questo lavoro Neri radicalizza il ricorso linguistico al linguaggio della prosa poetica, che già aveva messo all’opera nel precedente libro e che comunque serpeggia in tutta la produzione neriana. In questo suo ultimo lavoro Neri approfondisce la linea tematica che fin dai lontani esordi ha caratterizzato la sua poesia, ponendolo in posizione originale e autonoma nella varietà della lirica del secondo novecento. Refrattario a schematiche appartenenze in “scuole” o tendenze poetiche, la voce poetica di Neri mantiene un timbro inconfondibile, sapendo amalgamare prosa e poesia in un pastiche ove entrambe si confondono. Prosa poetica o poesia in prosa, sono soltanto indicazioni labili che non piacerebbero allo stesso Neri e delle quali ci si serve a mero supporto di servizio esplicativo. Come tutte le etichette esse vanno relativizzate e non assunte in modo dogmatico e assoluto. In Via provinciale lo sfondo metapoetico è l’esperienza della amata Erba e dintorni, la Brianza,la campagna, la montagna ,i corsi d’acqua, ove il poeta ha trascorso gli anni fondativi dell’infanzia e della adolescenza. Luogo dell’anima e della memoria, delle radici e dei volti, ancoraggio profondo rispetto alla dispersiva vita metropolitana nella quale il poeta si immerse da adulto. Locus amoenus dello spirito, questo serbatoio memoriale è come un pozzo profondo dal quale emergono senza fine e giungono in superficie reperti smarriti e sepolti dal tempo. E’ questa la vocazione archeologica di Neri che non rinuncia allo scavo, al sommovimento del terreno antico con lo stupore della ricerca. La sonda della parola, come una pala, affonda nel vissuto più profondo e ci consegna una realtà viva. I testi di Neri, generalmente brevi , non sono epitaffi di persone per lo più scomparse, ma sembrano ordinati per raccontare una storia o parti di essa. Una storia che anche oggi ci attira per lo stile scabro, spoglio, essenziale che Neri utilizza:
D’estate andavo in bicicletta a prendere il mio amico Manea. Manea abitava nel quartiere del mercato in una casa con un vasto cortile. Al centro del cortile, su una sdraio, trovavo sempre suo fratello, di poco più grande di lui, sorridente, che studiava inglese e tedesco. Ripeteva le parole a voce alta e si interrompeva soltanto per salutarmi. Il mio amico era subito pronto e andavamo alla Gallerana, un piccolo fiume dove si poteva anche nuotare. Strada facendo, Manea mi parlava del suo insegnante di religione, che aveva una passione per l’antichità fenicia. La divinità a cui sacrificavano, forse anche bambini, era Moloch, che lui pronunciava Mloch, con un improvviso cambiamento di voce. (p. 11)
Non cronaca né asettico ricordo sono i lacerti di vita riportati in luce da Neri, sono piuttosto comparse in una storia, che il carattere apparentemente frammentario del libro può sembrare nascondere. La ritrosia neriana talora lascia tali comparse in un velo di indeterminatezza, in un mimetismo di cui Neri è maestro. Le comparse si danno infatti per rapidi contorni, quasi impronte che non celano però l’essenziale. Potremmo parlare di icone che parlano o di maschere nel senso latino di personae:
Del maestro Confalonieri, amico della caccia, della sua persona e dei suoi discorsi non ci poteva dimenticare. Si animava con lui la vita del paese di cui, senza saperlo, era l’attore e il maestro. Tutto questo era finito con la sua scomparsa, che nessuno aveva notata. Nessuno ricordava come fosse andato via, se prima della guerra o proprio in quegli anni, scomparso nel nulla, svanito, e il mondo con lui .(p. 25)
Chi cercasse nelle pagine di Neri delle verità assolute rimarrebbe deluso, né la poesia è deputata a tal reperimento. Essa è invece una sorta di scienza della memoria che proietta sullo specchio del presente le ombre del passato. Persone, cose, paesaggi, linguaggi, si fondono in una rappresentazione tesa, che giustamente Antonio Riccardi ha paragonato a certa pittura fiamminga. Ombre e chiarori, creano una area di crepuscolo che intercetta l’humus del paesaggio, le sue sfumature pieghe profonde:
Si era fermata all’imbocco della lanca, sul fiume, una biscia nera, con il capo eretto fuori dall’acqua. Voleva arrivare in fondo alla lanca, dov’erano i suoi interessi. A mezza strada si frapponeva un pescatore con una lunga canna che a occhio poteva coprire in larghezza quel braccio di fiume. Si doveva o no forzare il blocco? La biscia alla fine si era decisa e aveva iniziato la sua corsa lungo l’argine opposto del canale. Avvicinandosi aveva aumentato la velocità fino ad un massimo sforzo, guizzando davanti al pescatore, che aveva tentato vanamente di colpirla. (59)
Neri sa trasformare il micro della vita quotidiana in aggregati di senso, senza esplicitarne la direzione. Per questo il lettore maturo si ferma davanti a questi testi come a rappresentazioni che richiedono l’osservazione più che la lettura filologica. Entriamo come in una galleria dove i quadri muti ci interrogano e ci inducono a fermarci. Nella raccolta ritorna ampiamente la figura del professor Fumagalli, una persona che deve aver contato molto nella vita del giovane Neri, l’uomo che “si entusiasmava per le idee e i suoi entusiasmi si accendevano ogni volta, come fuochi fatui” (p. 74) e che incantava con le parole. Questo sfondo arcaico, è chiuso da una testo molto interessante (l’ultimo) nel quale il poeta sembra voler sottolineare l’umile servizio della poesia e e demolire la vanitas di tanta retorica acclamatoria che circonda il mondo della poesia. Neri si pone senza infingimenti, quasi non dando peso al consenso del pubblico:
La serata di poesia era ormai alla fine, avevo già guardato l’orologio. Come ogni volta, provavo un senso di inutilità e insieme di inadeguatezza. “Sono uno sconfitto” avevo detto rivolto al pubblico, dopo la lettura, ma non avrei saputo dire perché. Avevo proseguito con una riflessione sulla sconfitta. Adesso era il momento dei saluti e delle strette di mano. Avrei chiesto ad un amico com’era andata la serata, sapendo già la risposta. Si era invece presentato un poeta, mio implacabile detrattore. “Grazie”, mi aveva detto. Io avevo ripetuto le mie perplessità su quegli incontri, ma lui ne lodava invece l’utilità. (p. 81).
Roberto Taioli
L’ha ribloggato su Paolo Ottaviani's Weblog.