Cinque poesie di Roberto Roversi, nota di Gilberto Finzi

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Roberto Roversi, Bologna, 28 gennaio 1923 – Bologna, 14 settembre 2012

La formazione ideologica e poetica di Roberto Roversi avviene nel dopoguerra, influenzata quindi dalle grandi aspettative resistenziali e democratiche presto deluse. All’interno di una realtà in evoluzione, dove però il rimpianto prevale sulla speranza, alle ricerche di linguaggio dell’ermetismo si sostituisce una nuova volontà di dialogo e la programmatica prosasticità del “realismo”. Ma il discorso, nel caso di Roversi, non è così semplice; va per esempio ricordato anche il sodalizio con Pasolini e Leonetti intorno alla rivista Officina negli anni 1955-58, e il lavoro ideologico e di rinnovamento svolto in comune. I testi che Roversi raccoglie in Dopo Campoformio (1962 e 1965) riprendono le forme del poemetto sulla linea postpascoliana già iniziata da Pasolini. Quelle lasse narrativo-epiche (o elegiaco-epiche) mettono in luce un interesse rinnovato verso il reale: la campagna e la città, il deterioramento progressivo della vita, la sempre più evidente disattenzione all’uomo. L’ottica di Roversi, marxista, è accentuata dalla capacità di osservazione, che consente i passaggi più insoliti: dalla narrazione alla elencazione al giudizio storico-critico, tutto sembra rientrare nella poesia perché tutto rientra nel reale. C’è qui come un magma in lento movimento, che la pietà e la solidarietà umana del poeta innestano in un attonito cerchio dove si consumano o si fondono il prorompere del grido, il patetico, la sentenza, il moralismo acceso. Il poeta tende a rimescolare le carte ambigue della casualità esistenziale e sociale per dare non soltanto l’elegia o l’epica del reale nella sua espressionistica brutalità, ma il segno poetico del presente. Ed è la stessa potente coerenza che Roversi ha portato in tutta la sua attività, nella poesia come nei bellissimi e difficili romanzi, nel teatro e negli scritti critici.

Gilberto Finzi

 

LAMENTO PER IL PERDUTO AMICO

Io ti conobbi, amico, in una sera
fresca di uccelli e campane,
quando nel cielo di rugiada
nascevano le Pleiadi: la strada
risuonava di canti verso i monti,
di soavi frescure di giardini
e di risa lontane nelle fonti.
Ora più non vedrai i pleniluni sereni,
né i bianchi giovenchi
saltare nei campi di fiori;
io ti conobbi in una chiara sera
fresca di uccelli, amico,
ma il vento non poserà sulle tue spalle.

 

ELEGOS PER L’AMICO LONTANO

Amico mio dolce e lontano
amico partito e perduto
il vento non dondola il grano
nel nostro paese di collina.
Venuto è settembre, la dolce stagione:
e io ti cerco, amico, nella sera
quando una fresca campana
alza bianchi colombi dai prati.

 

ELEGIA IN UNA DOMENICA DI NOVEMBRE

La stagione è uguale alla mia vita:
il cielo si abbandona al pallido
riposo delle foglie, e il vento
posa sui prati e su le umane voglie:
io sono solo nella vecchia casa
e il colle è stanco e nulla m’appartiene.
La notte gela il pianto alle fontane:
suono di passi dalla strada viene,
umani passi raggelati – il lago
dondola le stanche anitre nere
e morti pesci.
Nulla è più triste del tempo che s’eguaglia
alla vita e alla morte.

 

LA VITA IN QUESTA TERRA

La vita in questa terra asciutta ed arsa
trascorre senza canti,
solo lungo i pini vanno i pianti
di fanciulli lontani.
La vita è vana: un suono di campana
non s’ode nel mattino degli ulivi,
il vento lieve all’ombra dei declivi
si apre in viso alle spigolatrici.
Muore il vecchio di sera nella casa
e la sua morte è senza amaritudine,
dondola nella sospesa solitudine
il pianto della moglie:
ed ogni giorno è uguale all’altro giorno
ed ogni sera alla sera passata.
Trascorre il tempo e va senza ritorno
e lascia l’uomo nella dura giornata:
se l’uomo muore, muore la sua vita
se l’uomo vive, muore la sua anima.

 

SIGNORE, PERCHÉ L’UOMO DEVE MORIRE?

Signore, perché l’uomo deve morire?
La donna è timida come un ramo di pesco
e i soavi fanciulli dal docile canto
sul petto del padre riposavano lieti:
ma nel pianto dolcissimo del grano
l’uomo muore e l’anima è turbata.
Ansia ci prende della nostra vita,
vana come l’acqua dei canneti.
Per i prati, sui fieni, lungo i margini
freschi dei fiumi, mesto vento:
e su noi, come il volo degli uccelli
la tristissima morte.

Roberto Roversi

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