ll vero amore non è né fisico né romantico. Il vero amore è l’accettazione di tutto ciò che è, è stato, sarà e non sarà. Le persone più felici non sono necessariamente coloro che hanno il meglio di tutto, ma coloro che traggono il meglio da ciò che hanno. La vita non è una questione di come sopravvivere alla tempesta, ma di come danzare nella pioggia!
Kahlil Gibran
Inizia una settimana speciale per “La presenza di Erato”, la settimana dedicata interamente alla poesia d’amore. Faremo un excursus della poesia che va dai lirici greci ai giorni nostri (per mancanza di tempo, purtroppo, ometteremo molti secoli di poesia. Leggeremo poesie di poeti greci, latini, poeti dell’ottocento, novecento, dei giorni nostri) e terminerà il 14 febbraio con la pubblicazione delle poesie d’amore degli autori di Erato, cinque poesie di autori contemporanei, dieci poesie selezionate per “Canti d’amore”. Buona lettura!
Mi pare simile a un dio
l’uomo che ti siede accanto
e ti ascolta così, mentre parli
con lieve sussurro e ridi amabile:
questo mi stringe il cuore nel petto?
Basta che ti getti uno sguardo
e subito la voce mi manca
la lingua si spezza, subito
un fuoco sottile mi scivola
sotto la pelle,
lo sguardo s’offusca, rombano le orecchie,
un freddo sudore mi cola, tutta
mi scuote un tremito,
e più verde dell’erba divento
e poco manca che muoia.
Ma bisogna che tutto sopporti…
Saffo
Ho una bella fanciulla
simile nell’aspetto ai fiori d’oro,
la mia Cleide diletta.
Io non la darei nè per tutta la Lidia
nè per l’amata…
Alceo di Mitilene
La palla rossa
a me lancia Eros dai capelli d’oro
e con una fanciulla dai sandali a colori
mi spinge a giocare.
Ma essa, ch’è di Lesbo dalle belle case,
sdegna me bianco già sul capo
e avida sospira per un altro.
Anacreonte
O fanciulle che il dolce suono seguite con soave
voce, non più le membra ho docili. Fossi il cerilo
che con le alcioni passa sereno sul fiore dell’onda,
uccello di primavera, colore delle conchiglie!
Alcmane
Giocavo un giorno con Ermione, maestra
d’amore. Sulla cintura a ricami
di fiori, o dea di pafo, c’era scritto
in oro: ” Amami tutta e non soffrire
se anche sarò di un altro”.
Asclepiade
Eros, vi ha fatto così affilate,
unghie di Eliodora! Le vostre ferite
giungono fino al cuore.
Meleagro
Amai. E chi non amò? Mi diedi alle orge.
Chi non fu in mezzo alle orge? Delirai.
Per colpa di chi? Non forse di un dio?
Ma ora! I capelli bianchi già corrono
sui neri: ecco l’età della saggezza.
E se giocai nel tempo di giocare,
anche ora mi consiglio con l’età.
Filodemo
Se ti offendo baciandoti, se questo
ti sembra un’offesa, fammi la stessa
offesa: avanti, baciami anche tu!
Stratone
Ti prego, lascia stare il mio cuore, Eros,
ed il mio fegato. Se vuoi colpire,
mira su un’altra parte del mio corpo.
Macedonio
Cara, gettiamo lontano le vesti,
così, nudo contro nudo, il mio corpo
s’allacci al tuo. Ma togli ogni cosa:
anche la tunica leggera è una muraglia
di Semiramide. Il tuo petto unito
al mio, le labbra alle labbra. E silenzio
sul resto. Odio le lingue troppo sciolte.
Paolo Silenziario
Da ” Lirici greci” trad. di Salvatore Quasimodo
I lirici greci cantano l’amore con una potenza, una delicatezza e una bellezza uniche, inattingibili da parte dei poeti d’oggi. E tali caratteristiche si conservano, quasi da sole, ossia senza aiuto umano, anche in altre traduzioni meno famose di quella di Quasimodo.
Pasquale Balestriere
I lirici greci sono divinamente eterni. Salvatore Quasimodo, che trascorreva notti intere “con Saffo” (come scriveva alla donna amata) per trovare anche una sola parola adatta a tradurre fedelmente una sola parola della “divina dalle trecce viola”, è un poeta che interpreta una poetessa, non un traduttore filologo. Ma è divino anche lui.
Giorgina Busca Gernetti
L’ha ribloggato su "LA MELA ROSSA DIMENTICATA" di Giorgina Busca Gernetti.
Saffo è una delle poetesse, greche, che meglio descrisse l’ amore.In “Ad Afrodite” ella si rivolge alla divinità, dal trono varipinto, pregandola di non legare il suo animo con gli inganni e gli affanni. Perchè è proprio questo che fa l’ amore, ci cinge, ci blocca l’ animo in funi di tormenti. Ma niente è più dolce di questa tortura.
Parlando della poesia greca, però non posso non citare Nosside, meno conosciuta di Saffo, ma sicuramente intensa ed appassionata nei suoi epigrammi, il cui genere rimanda al modello saffico, ovviamente, con il suo amore non simposiale.
Mara Carlesi
Mara, grazie per il tuo commento, e grazie per aver citato Nòsside. Ecco a te:
Non c’è nulla più dolce dell’amore.
Quale dolcezza lo supera? Sputo
anche il miele: Così Nòsside dice.
Solo chi non è amata da Cipride
non sa quali rose siano i suoi fiori.
Grazie a te per aver inserito questo magnifico epigramma, che, a mio avviso, racchiude in sè tutta la natura stessa dell’ amore.
Ringrazio anch’io per la presenza della finissima poetessa Nòsside
Giorgina Busca Gernetti
Credo che le traduzioni di Quasimodo dei lirici greci siano le più belle. Quasimodo conosceva poco il greco, ma si avvaleva di una straordinaria grecista, Caterina Vassalini, per molti anni sua compagna, per fugare dubbi e problemi interpretativi. Ma la bellezza di queste traduzioni sta nella presenza di una radice comune, quella radice mediterranea, siculo-greca, che gli ha fatto leggere profondamente e per una sorta di comprensione atavica quel mondo. Era un poeta – e grande poeta – e questo gli ha fatto trovare dentro di sé la sorgente di una lingua perfettamente adatta a quei suoi lontani antenati.
Grazie di averci evitato traduzioni magari molto reclamizzate ma assai meno degne di questo nome. Purtroppo non è vero che un testo, anche grandissimo, sia in grado di sopportare una pessima traduzione. Non è così.
Vorrei precisare che, quando ho scritto che la potenza, la delicatezza e la bellezza dei lirici greci si conservano quasi da sole, ossia senza aiuto umano, anche in altre traduzioni meno famose di quella di Quasimodo, è stato perché il linguaggio dei lirici greci è tanto vero ( = poesia di cose, non di parole), intenso, scolpito e naturale, anzi primigenio, che basta tradurre con una buona fedeltà lessico-linguistica per conservare quasi intatte le caratteristiche di quella poesia. Naturalmente, a patto che tradurre non sia veramente tradire, come pure spesso accade per mania di mostrarsi originali a tutti i costi.
Capisco perfettamente quello che vuoi dire, ma proprio perché, come tu dici, “il linguaggio dei lirici greci è tanto vero ( = poesia di cose, non di parole), intenso, scolpito e naturale, anzi primigenio” che la traduzione è ancora più ardua. La maggior parte di quei testi sono frammenti, che ci sono giunti galleggiando attraverso i secoli e quindi noi che leggiamo ora possiamo avere solo una pallida idea del testo originale. Li leggiamo da posteri e va persa molta della percezione che poteva averne un contemporaneo. E forse quella qualità, di essere scolpito e intenso gliela attribuiamo noi, perché vediamo il frammento e lo scambiamo per l’intero. Come l’iscrizione sacra su una lapide di cui si sia persa buona parte. Il pericolo è farsi trascinare dalla suggestione.
La poesia temo raramente sia di cose, altrimenti basterebbe uno dei tanti elenchi aridi di cui abbonda la produzione moderna.
Soccorre – anzi è assolutamente necessaria – la conoscenza filologica. Come per qualunque vera traduzione, anche moderna, che non sia di un romanzetto o di poetucoli stranieri (spesso americani) tanto acclamati e tradotti (magari pure male) da traduttorucoli à la page ma inutili. Una ferratissima conoscenza filologica unita a una capacità poetica è l’unica via. Nulla si traduce da sé. Altrimenti basterebbe Google translator.
Il fatto è che la poesia dei classici (e dei lirici greci in particolare) è molto vicina alle cose rappresentate (una tempesta, un naufragio, un sentimento, ecc.), e non intellettualizza né procede per sofismi o arzigogoli, se non raramente. In questo senso è “poesia di cose”. E sono l’intensità e la potenza creativa o evocativa, al di là degli ordigni del mestiere, a stabilire lo scarto tra la realtà pura e semplice (e denotativa), e il livello poetico raggiunto. Va detto anche che i testi ( almeno quelli un po’ più completi, meno lacunosi e, perciò, meno problematici) si collocano comunque in ambiti di buona chiarezza esegetica, non foss’altro perché abbiamo alle spalle, relativamente all’argomento de quo, traduzioni come quelle di Leopardi, Romagnoli, Mazzoni, Perrotta, Lanata, Valgimigli, Mandruzzato, (tanto per citare i primi nomi che mi vengono in mente), le quali quanto meno fanno da apripista ad ogni nuova iniziativa esegetica . Voglio dire che nessun traduttore si muove su un terreno (= i brani da tradurre) assolutamente vergine o ignoto; che anzi è molto battuto e ben delineato -diciamo così- da mappe e carte geografiche. Sicché al traduttore, che ovviamente deve possedere conoscenze filologiche, adeguata sensibilità e capacità poetica, non dovrebbe essere così difficile immettersi (non leggendo da postero, è scontato) nel solco della corretta interpretazione. Perché, lo dico in altro modo, questo solco è ben visibile e profondo. Spero di aver espresso chiaramente il mio pensiero.
Una pessima traduzione fa male a tutti: poeti, prosatori … studenti!
Proprio così! Vedi sopra.