La poesia, a chi la cerca e la insegue e la trattiene, si mostra spoglia, in attesa di quel che le verrà affidato. E accoglie e prende quel che la persona, e la mente e il cuore, di chi le si accosta riesce a darle di emozioni e di umori, tutti composti in parole necessarie ed esatte, perciò durevoli. Perché queste parole arrivino ad essere consegna ed espressione, bisogna che rappresentino una comunanza di affetti, di percezioni, di intese, tali da rinnovare e reiventare quei temi basilari che, come ripete Borges, significano e accompagnano l’esistenza umana. Dunque l’amore, la morte, la guerra, l’assedio, il ritorno. E non si riducono a questi, o si consumano in questi, le nostre giornate? Non siamo assediati dall’ansia, in guerra perpetua con la paura della morte, abitati dal dubbio che avviva e affligge l’amore, dalla nostalgia dei beni perduti, dal desiderio inestinguibile del ritorno? Questi temi e bisogni e sentimenti sono materia e spinta della raccolta poetica di Nicola Romano che, della sua sicilianità, porta la luce piena e le fittissime ombre, la spossante malinconia e l’intensità degli affetti, la ironia affilata e i goduti sarcasmi. Tra il niente, di continuo minacciato dal pensiero cogitante e la menzogna che in quella minaccia s’addensa e si logora, la parola della poesia pone la grazia dell’essere, dello stare. Se l’epigrafe di Calvino avverte su un sogno di assolutezza che ammala l’uomo e lo rende incerto e insicuro di quanto gli tocca e gli preme, Romano conduce chi legge – nei versi brevi e ritmati, nelle strofette rimate, negli scorci del mare e delle campagne, nel flusso dei ricordi, nelle assolte segretezze – a un teatro di verità che vince sul niente e sulla menzogna. Ad apertura del libro le parole si presentano in un “letargo illogico”, pure pretendono di brillare, di essere scelte e pronunciate. Così alla negazione si contrappone l’urgenza del dire e del dirsi, di conoscersi e di riconoscersi. Così le parole escono dai silenzi, sgranano memorie, rinnovano vicinanze, scaldano pensieri. E, se resiste la consapevolezza della brevità e della precarietà, ha la meglio una pazienza ricevuta, una tenerezza che, approssimandosi alla natura animale e vegetale, fa dolce e nutriente la pena: «Sono il setaccio di tutto ciò che ho perso». E il setaccio equivale a “quell’imbuto stretto in cui passa il mondo” come Calvino, in un suo saggio, ebbe a definire la poesia. Non mancano in questo libro le amarezze, finanche la disperazione. Vi sono stanze che il “maneggiare il corso dei pensieri” fa apparire come labirinti senza uscite. Né mancano il nero della noia, il vuoto dell’assurdo e dell’inutile, le stagioni che si mostrano in un “duro incespicare”. Pure la volontà di sapersi vivo valica la tristezza e la smorza: «…ai vuoti più recenti da riempire/ con il terriccio tolto alle paure/ e sostare allo specchio per capire/ nell’anima e nel corpo i mutamenti…» Dunque, se nel fondo del pozzo in cui si è caduti “manca la corda e il secchio”, resta il cielo da guardare e in quello specchiarsi per esistere. Allora, come in un commovente inventario, tornano a respirare le amicizie, gli amori, le città traversate, le ore della luce e quelle della notte lunare. In così tante stratificazioni il teatro della vita si rinnova e reinventa nel gioco arduo e felice della poesia.
dalla prefazione di Elio Pecora
QUEL VAGO
Le porte sbattute dal vento
ribattono un vento di mare:
oscilla nel sonno leggero
la cupa lanterna
tra i muri del cuore
dilaga la polvere e il muschio
continua a patire sui prati
la febbre del tempo peggiore
Chissà tutta intera una vita
se esclude quel tempo migliore
pensato tra ali di canto
e odori rapiti ai verzieri
D’inesauribile attesa
quel vago che trema negli occhi
e non sa che dispiace
MERAVIGLIA
È bello stare qui
non manca nulla
confabulo col sole
che scalda le finestre
le vie sono un teatro
dove tutto è palese
e quel che busco
è più del necessario
per mantenere lune
sempre accese
D’intorno strappo
cespi di parole
che poi sminuzzo
come vuole il cuore
e a compendio
di tanta meraviglia
accanto a me trattengo
corbezzoli ed aloe
e una valigia piena
per fuggire
LE POESIE
Per scrivere poesie
bisogna frequentare il vuoto
la durezza dei muri
il farfugliare assurdo
delle chiromanti
e la danza spettrale delle foglie
quando di sguincio batte il maestrale
Disorientarsi
con la schiena piena di vergogne
necessita
e intimorirsi al tuono dell’inverno
piegarsi come giunchi spampinati
sulla pianura rasa dal seccume
e rovistare l’alba disarmata
che s’apre ai pericoli del tempo
Serviranno quei versi
nauseanti come peli sul lavabo
o finiti per caso
nell’umido sparpàglio dei rifiuti
e ad ogni modo
per scrivere poesie
bisogna genuflettere l’anima
ascoltando un album di Endrigo
e lavarsi i capelli
con la residua cenere del mondo
LUCI DI COSTIERA
Ti ho conosciuta
in un bosco di cicale
eri unita al clangore
rappreso tra i pinastri
(di te l’alta presenza
tagliente e rumorosa
come nenia d’estate)
e diventammo luci di costiera
mentre il sole abbrunato
annientava i colori dell’ibisco
e il vespro
mi spingeva a sorseggiare
nelle mani a conca il tuo respiro
Nicola Romano
Nicola Romano è nato nel 1946 a Palermo, dove vive. Ha pubblicato le raccolte di poesia: I faraglioni della mente (Vittorietti, 1983), Amori con la luna (La bottega di Hefesto, 1985, prefazione di Bent Parodi), Tonfi (Il Vertice, 1986), Visibilità discreta (Edizioni del Leone, 1989, prefazione di Lucio Zinna), Estremo niente (Il Messaggio, 1992, nota di Melo Freni), Fescennino per Palermo (Ila Palma, 1993), Questioni d’anima (Bastogi, 1995, prefazione di Aldo Gerbino), Elogio de los labios (Carlos Vitale, 1995), Malva e Linosa (haiku, La Centona, 1996, prefazione di Dante Maffìa), Bagagli smarriti (Scettro del Re, 2000, prefazione di Fabio Scotto), Tocchi e rintocchi (Quaderni di Arenaria, 2003, prefazione di Sebastiano Saglimbeni), Gobba a levante (Pungitopo, 2011, prefazione di Paolo Ruffilli), Voragini ed appigli (Pungitopo, 2016, prefazione di Giorgio Linguaglossa), Birilli (Edizioni dell’Angelo, 2016, con incisione di Girolamo Russo). È curatore della collana di poesie dell’editrice Spazio Cultura. Suoi testi hanno trovato traduzione in esperanto e su riviste spagnole, irlandesi e romene. Nel 1984 l’Unicef ha adottato un suo testo come poesia ufficiale per una manifestazione sull’infanzia nel mondo.