Fernando Pessoa, “Sono un sogno di Dio”, Edizioni Qiqajon – 2015, di Roberto Taioli

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Fernando Pessoa, Lisbona, 13 giugno 1888 – ivi, 30 novembre 1935

Siamo davanti ad una veramente preziosa antologia di scritti del grande poeta portoghese, che ci offre uno spaccato del suo lavoro poetico, scandito attraverso la produzione ortonima e la più conosciuta eteronima.  Fernando Pessoa si è nascosto per tutta la vita a se stesso, indossando varie maschere tragiche, o incarnandosi in altri si è meglio conosciuto, indagato e alla fine davvero rappresentato? Il prendere distanze da se stesso, come se non esistesse, per affidarsi al volto e alla parole di altri ha qualcosa di tragico e di surreale, come se si trattasse di una dissociazione interiore, frantumando la sua persona in tanti “io”, fenomeno peraltro già noto nella letteratura del Novecento, partendo dalla lettera del veggente del 1871 di Rimbaud, ove scrive “je suis un autre”, a Pirandello di Uno, nessuno, centomila. Su questa linea di ricerca anche Pessoa diventerà uno dei veggenti della modernità e della sua crisi profonda che mai si è risolta. Questa crisi che ancora ci attraversa e che Pessoa ha avvertito come un rabdomante, è essenzialmente un polverizzazione dell’io, un suo annichilimento di fronte alla impotenza di esprimersi come unità. Un versante che in Pessoa è vissuto in forma spirituale ed anche in senso lato religiosa. Nella sua Biblioteca si sono trovati interi scaffali con testi dell’Antico e Nuovo Testamento, manuali di liturgia e di pietà, titoli riguardanti il cosiddetto “Gesù storico”, raccolte di salmi, e libri anche di altre religioni. Pessoa era in ricerca, come un viator, di segni e impronte che lo portassero verso una interrogazione profonda rifuggendo semplicistici approdi. La poesia e la scrittura poetica sono il luogo ove questa spiritualità si fonde con la durezza del reale e sfuma, si fa nebbia e vertigine, complicandosi e poi esteriorizzandosi, emergendo e poi scomparendo, come il suo autore. Pessoa si nasconde non per paura, ma volendo allontanare da sé l’ingannevole volto di una realtà che vuol dirsi esaustiva e che invece è malata, intossicata. Cosi leggiamo, come un programma spirituale, nella prima pagina del Libro dell’Inquietudine: “ Sono nato in un tempo in cui la maggioranza dei giovani aveva perso il credo in Dio, per la stessa ragione per cui i loro padri l’avevano avuta- senza sapere perché. E allora, poiché lo spirito umano tende naturalmente a criticare perché sente e non perché pensa, la maggior parte di quei giovani ha scelto l’Umanità come succedaneo a Dio. Appartengo, però, a quella specie di uomini che si collocano sempre al margine di ciò a cui appartengono, e che non vedono soltanto la moltitudine di cui fanno parte, ma anche i grandi spazi che le esistono accanto. Per questo non ho abbandonato Dio in modo così ampio come loro, né ho mai accettato l’Umanità”. Senza voler fare del poeta un profeta, Pessoa sceglie questo margine periglioso per il suo cammino.

Roberto Taioli

 

DALLA PRODUZIONE ORTONIMA

I

A volte sono il Dio che porto in me
E allora io sono il Dio, il credente e la preghiera
E l’immagine d’avorio
In cui quel Dio si dimentica.
A volte non sono altro che un ateo
Di quel mio dio che io sono quando mi esalto.
Osservo in me tutto un cielo
Un mero vacuo di cielo alto.

 

II

A volte canto senza la voce
Così come penso senza parlare.
La cecità che Dio mi ha dato
E’ un modo di darmi la luce.
Se procedo per un cammino
Sono due i miei cammini:
Uno quello, in cui mi incammino
L’altro la verità in cui sono.
In me esiste, al fondi di un pozzo,
un pertugio di luce verso Dio.
Là, molto in fondo alla fine,
Un occhio fabbricato nei cieli.

 

III

E’ passato, fuori dal Quando,
Dal Perché, e dallo star passando…,
Turbine di Non – Conosciuto.
Senza aver turbinato…,
Vasto al di fuori del Vasto
Senza essere, che se stesso oscura…
L’universo è la sua traccia…
Dio, la sua ombra…

 

IV

Dalla mia idea di mondo
Sono caduto…
Vacuo oltre-profondo,
Senza che abbia Io né Lì…
Vacuo senza ste stesso, caos
Di un essere pensato come essere…
Scala assoluta senza gradini…
Visione che non si può vedere…
Oltre-Dio! Oltre-Dio! Nera calma…
Chiarore dello Sconosciuto…
Tutto ha un altro senso, anima mia,
Anche l’avere-un- senso

 

DALLA PRODUZIOBE ETERONIMA

Alberto Caeiro
I

Pensare a Dio è disobbedire a Dio,
Perché Dio volle che nolo lo conoscessimo,
Per questo non si è mostrato…
Siamo semplici e calmi,
Come i ruscelli e gli alberi,
E Dio ci amerà facendoci belli
Come gli alberi e i ruscelli,
E ci darà il verde della loro Primavera
E un fiume in cui entrare quando saremo finiti!…

 

II

Sono un guardiano di greggi.
Il gregge è i miei pensieri.
E i miei pensieri sono tutte sensazioni.
Penso con gli occhi e con le orecchie
E con le mani e i piedi
E con il naso e la bocca.
Pensare un fiore è vederlo e annusarlo
E mangiare un frutto è saperne il senso.
Per questo quando in un giorno di calura
Mi sento triste di goderne tanto,
E mi distendo intero sull’erba,
E chiudo gli occhi caldi,
Sento tutto il mio corpo steso nella realtà
So la verità e sono felice

 

Ricardo Reis

Passa cos’ rapido tutto ciò che passa!
Muore così giovane dinnanzi agli dei
Ciò che muore! Tutto è così poco!
Nulla si sa, tutto si immagina. Circondati di rose, ama. Bevi
E taci. Il resto è niente.

 

Alvaro de Campos

Ah, che bello sarebbe scendere in picchiata
Fino alla fossa, da una botola fragorosa!
Per me la vita ha il sapore di tabacco biondo.
Non ho mai fatto altro che fumare la vita.
E in fondi quel che voglio è fede, è calma,
Senza queste sensazioni confuse.
Che Dio vi metta fine! Apra le chiuse
E cessino le commedie della mia anima!

Traduzione di Manuele Masini

2 commenti
  1. Leggere i commenti di Roberto Taioli è sempre una festa dello spirito. Grazie di cuore. Peccato solo, come troppo spesso accade, che accanto alle traduzioni in italiano delle poesie non vengano proposti anche i testi in lingua originale

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