
Friedrich Hölderlin, Lauffen sul Neckar, Württemberg, 1770 – Tubinga 1843
La fiaba La Bella e la Bestia è la redenzione da bruttezze e razzismi attraverso l’amore. Bestia, malgrado la mostruosità, tocca il cuore a Belinda, l’incantesimo si rompe e muta l’orrido carnificato in un principe belloccio e facoltoso. Se Bestia, a artifizio, la si degrada remissività scodinzolante, smette i panni della perversione da temere e perseguire. Gli etologi, e non Walt Disney o Hollywood, restituiscono all’umana simpatia gli animali calunniati. Le riduzioni cinematografiche però suffragano da lontano la circostanza scientifica: Bestia seduce Belinda in punto di morte, così la tigre di Mowgli trasforma Shere Khan in peluche allorquando il felino sta per estinguersi in Asia. La demonizzazione della fauna interessa la giungla ma più spesso i quattro zampe. Il pitbull e altri molossi son finiti nella lista nera di Sirchia e molti paesi europei li sopprimono o mettono al bando. Il dogo Iceberg, in Danimarca, al centro di una petizione su internet, ne è stato esempio lampante. La fabbrica del pregiudizio li vuole sosia di Jack lo Squartatore ma dimentica che donano amore e sono ottimi compagni per bimbi autistici, Down o anziani soli, colmano cioè i “buchi” relazionali in campo assistenziale. Invece di fustigare i proprietari per omessa custodia si preferisce scagliarsi contro l’indifendibile. Canili lager e combattimenti clandestini in testa, nel ring fra Kim Jong-un e una volontaria Unicef, chi perde è sempre la Nord Corea perché il missile proverbiale fa più notizia di una Cunizza da Romano sebbene la corruzione nel No profit uccida poi quanto l’atomica. Nietzsche afferma che gli animali vedono nell’uomo una creatura uguale a loro che però ha perso in modo troppo pericoloso il sano intelletto della specie e, così, nelle varie umanità, i pelosi indovinano un loro simile in delirio, l’altro che ride o piange, assiduo l’infelice. È improbabile dar torto al filosofo se citarlo risveglia nell’indole il desiderio di freschezza e istintiva spontaneità anche su prati brillanti di rugiada o sulla risorgiva campestre che umanizza l’agile corso degli occhi a un cielo aderito al Neckar, dio rinascente di onde luminose. Ciò accade nella lirica Al mattino quando si invita il sole ad apparire ora che il pianeta e Friedrich Hölderlin vogliono dargli asilo. Il panorama dell’eden non durerà eterno e la seduzione carnale si spegnerà inevitabile nell’attimo del trapasso, dopo lo scaramantico “più tardi possibile!”. Allora la rincorsa del sole si laurea inno alle origini per tentare vicinanze intoccabili e età feconde di trasporto senza ingerenze. La regata di Hölderlin si referenzia sartoria d’élite: la boscosità si permea di adolescenza e tiene a bada un’escludente giovinezza proprio quando la canizie decurta i respiri sopra le ansie. Tra poco, la pace dei raggi che silurano dalle coltri fino ai confini aerei per incollarvisi lingue lucifere imiterà il riflusso dei marosi verso riva. Verticali, i calori, son lasciati andar muti e lieti sugli sguardi saliti in barca coi loro fascini. La vivacità resa persona dall’arrivo della buona stella suscita simpatia e rinfranca. Il sole è colto nel suo spicchio precoce e monello dentro al sorriso di un teenager anche se poi lo si teme scrutinio maestoso e indomito di un’ustione che mortifica. A volte, nell’incollare la propria vita su una palla di fuoco, pare che l’elemento naturale riscatti la solitudine dello sconforto e si dilati in sorriso, quasi fosse il musetto ovale e ilare di un bull terrier messo alla gogna. Sovviene di colpo che Hölderlin senile, cioè diversamente giovane, in cuor suo, sbricioli il pregiudizio per alludere ai moralisti che la Bestia è Bella.
Michele Rossitti
DES MORGENS
Vom Taue glänzt der Rasen; beweglicher
Eilt schon die wache Quelle; die Buche neigt
Ihr schwankes Haupt und im Geblätter
Rauscht es und schimmert; und um die grauen
Gewölke streifen rötliche Flammen dort,
Verkündende, sie wallen geräuschlos auf;
Wie Fluten am Gestade, wogen
Höher und höher die Wandelbaren.
Komm nun, o komm, und eile mir nicht zu schnell,
Du goldner Tag, zum Gipfel des Himmels fort!
Denn offner fliegt, vertrauter dir mein
Auge, du Freudiger! zu, solang du
In deiner Schöne jugendlich blickst und noch
Zu herrlich nicht, zu stolz mir geworden bist;
Du möchtest immer eilen, könnt ich,
Göttlicher Wandrer, mit dir! – doch lächelst
Des frohen Übermütigen du, daß er
Dir gleichen möchte; segne mir lieber dann
Mein sterblich Tun und heitre wieder
Gütiger! heute den stillen Pfad mir.
AL MATTINO
Brilla di rugiada il prato; più vivace
Già corre la sorgente desta; il faggio
inclina il capo incerto e tra le foglie
mormora e brilla; e intorno a grigie nubi
Rosse fiamme si allungano, annunciando,
Senza rumore si levano in onde;
Come flutti alla riva, le cangianti,
Alte si levano, sempre più alte.
Vieni ora, sali, e non troppo presto,
Giorno dorato, al vertice del cielo!
Perché più aperto e confidente vola
A te il mio occhio, beato! fino a quando
Giovane nella tua bellezza guardi
E troppo splendido e orgoglioso ancora
Per me non sei; sempre vorresti andare
Lo potessi io con te, viandante dio!
Ma tu sorridi del lieto spavaldo,
Che vorrebbe eguagliarti; benedici
invece il mio mortale agire e ancora
Benigno! allieta il mio muto sentiero.
Friedrich Hölderlin (trad. di Anna Maria Giachino)
L’ha ribloggato su Paolo Ottaviani's Weblog.