Due poesie inedite di Lucio Mayoor Tosi con una nota di Giorgio Linguaglossa

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Lucio Mayoor Tosi, Sponde

La tracciabilità delle Parole in presenza del «vuoto»

Quando abbozziamo alcune parole su un pezzo di carta o nella nostra mente, è come se mettessimo in fila delle note su un ipotetico e immaginario pentagramma, scriviamo mentalmente e corporalmente le parole come appese, aggrappate sulle linee del pentagramma. È un fatto del tutto naturale, tanto naturale che ce ne dimentichiamo subito dopo. Ma è indubitabile: noi scriviamo e leggiamo sempre le parole, messe in riga o su più righe, come se fossero incastonate in un pentagramma. Poi, chiamate questo pentagramma come volete: distico, terzina, strofa polivalente… il risultato non cambia: noi immaginiamo e scriviamo le parole sempre all’interno di una griglia, una struttura che le sorregge. Facciamo una ipotesi: questa struttura che sorregge le parole noi la chiamiamo lo spazio-tempo, e le parole sono i corpi di materia che abitano lo spazio tempo.

Il rischio qual è? Il rischio è che un poeta «ingenuo» scrive le parole senza avere contezza di scrivere le sue parole su un pentagramma già dato a priori, già posto. Mentre questo poeta ipotetico crede ingenuamente che le linee mentali siano delle linee poste di diritto, ecco che egli scrive le parole seguendo pedissequamente queste linee immaginarie, prendendole per buone, anzi, ritenendole ottime e ottimali. Facile. Ma il gioco non è esattamente in questi termini, altrimenti sarebbe tutto troppo facile. Nella nuova ontologia estetica, e in queste poesie di Lucio Mayoor Tosi non si dà mai uno spartito, un pentagramma già dato a priori che noi dobbiamo soltanto riempire di parole a mo’ di singole note, questa è una idea acritica che il bravo poeta in questione prende per oro colato e per vera. In realtà si tratta di illusione, di una pre-comprensione illusoria che ci fa credere nella esistenza «eterna» di questo pentagramma, questo sì metafisico, che governerebbe la tracciabilità delle parole messe sulla carta. Ma le cose non stanno così.

E la nuova ontologia estetica ne ha preso atto. La nuova ontologia estetica non prende per vera a priori alcuna convenzione strofica e rimica, ricomincia da zero, inizia nel e dal «vuoto», come se non ci fosse alcun pentagramma, alcuno spartito già preformato e confezionato. E questo costruire nel e dal «vuoto» predispone le condizioni affinché la struttura sintattica e la scelta delle parole siano completamente libere, slegate dalle convenzioni comunemente accettate. Questo nascere dal «vuoto» conferisce alle composizioni della nuova ontologia estetica quella particolarissima aura di instabilità e gassosità, e anche direi vulnerabilità… Il poeta della nuova ontologia estetica è un frequentatore del «vuoto», del «vuoto» di legittimità delle convenzioni che nel passato erano comunemente accettate. Il «vuoto» di uno spartito inesistente. E questo è un Fattore decisivo che condiziona e determina tutta la costruzione di parole che costituisce la composizione di una poesia. Questo aspetto mi sembra indubitabile in queste composizioni di Lucio Mayoor Tosi.

Giorgio Linguaglossa

 

Ho dedicato metà della vita a descrivere l’altra metà.
Non ho vissuto due volte, mi sono solo disintegrato.
Dietro di me, nella scia invisibile trascino buona parte
del mare Mediterraneo (solo i giorni di bel tempo
quelli secchi cadono da soli). Ma sono appassito.
Mi lecco la coda. Scambio figurine con persone mai viste.
Come ci conoscessimo da sempre.

*

E ridere per le follie del mondo. Sopra un divano
pieno di pulci, ridere. Perché a spedizione avvenuta
il nero si è mosso come un robot. Non ho tenuto conto
dei gingilli che governano la ragione.
Lili, come in una poesia di Mario M: Gabriele, si toglie
dal divano mostrando la carrozzeria fatta di gomma.
Da masticare.
La sua testa è piccola, pari alla distanza che intercorre
tra il mio naso e il mento. È venuta a trovarmi
perché l’ho chiamata.
È bellissima.

Lucio Mayoor Tosi

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