Mario M. Gabriele, Poesie da “In viaggio con Godot”, Progetto Cultura – 2018, nota di Giorgio Linguaglossa

9788860929594_0_0_0_75Ricevo da Ubaldo de Robertis questa citazione di Osip Mandel’stam sulla poesia. Credo che si attagli perfettamente alla poesia di Mario Gabriele e alla nostra sensibilità:

Non chiedete alla poesia troppa concretezza, oggettività, materialità. Questa pretesa è ancora e sempre la fame rivoluzionaria: il dubbio di Tommaso. Perché voler toccare col dito? E soprattutto, perché identificare la parola con la cosa, con l’erba, con l’oggetto che indica? La cosa è forse padrona della parola? La parola è psiche. La parola viva non definisce un oggetto, ma sceglie liberamente, quasi a sua dimora, questo o quel significato oggettivo, un’esteriorità, un caro corpo. E intorno alla cosa la parola vaga liberamente come l’anima intorno al corpo abbandonato ma non dimenticato. […] I versi vivono di un’immagine interiore, di quel sonoro calco della forma che precede la poesia scritta. Non c’è ancora una sola parola, eppure i versi risuonano già. È l’immagine interiore che risuona, e l’udito del poeta la palpa”.*
(da Osip Mandel’stam, in La parola e la cultura).

Ecco i vagoni del treno del tempo che questa poesia mette in atto: successione, salto in avanti, salto all’indietro, cambiamento, continuità, discontinuità, interruzione, ripresa, reversibilità, irreversibilità, peritropè (capovolgimento).

Un gendarme della RDT, lungo la Friedrichstraße,
separava la pula dal grano,
chiese a Franz se mai avesse letto Il crepuscolo degli dei.
Fermo sul binario n. 1 stava il rapido 777.
Pochi libri sul sedile. Il viso di Marilyn sul Time.

In questo testo poetico la profondità del tempo è diventata profondità dello spazio. Il treno del tempo: successione, salto in avanti, salto all’indietro, cambiamento, continuità, discontinuità, interruzione, ripresa, reversibilità, irreversibilità etc., è diventato il treno dello spazio. Il lettore nell’atto della lettura è costretto a cambiare continuamente il suo registro temporale, con l’effetto che il tempo diventa, magicamente, spazio. Il tempo si è spazializzato, ha assunto profondità spaziali. E lo spazio si è temporalizzato.

La de-fondamentalizzazione del Soggetto è un processo che ha attraversato il novecento, di esso è rimasta la retorizzazione del soggetto, un dio minore di un dio maggiore. La poesia di Gabriele ha posto tra parentesi la retorizzazione del soggetto, sostituita dalla retorizzazione dei frammenti, dei membra disiecta, una molteplicità di direzioni temporali e spaziali si è così aperta alla poesia, infatti, la spazializzazione del tempo è una delle caratteristiche precipue di questo tipo di poesia che abbiamo chiamata «Nuova Ontologia Estetica».

Il tempo diventa visibile attraverso la spazializzazione del tempo. E lo spazio attraverso la temporalizzazione dello spazio. Accostare tessere diversissime in un insieme, in un mosaico, significa fare un puzzle, un Enigma che rifugge alla interpretazione perché l’Enigma deve essere vissuto. Per sua essenza, l’Enigma rifugge da atti di padronanza categoriale. Il «tempo interno» è nient’altro che questo processo che interviene tra l’autore e il lettore, ma è anche una caratteristica di ogni singola «tessera» o «immagine»; in fin dei conti, ogni «immagine» è analoga all’altra, c’è nell’orizzonte degli eventi del mondo e non ha bisogno di essere spiegata in quanto è un darsi e un moltiplicarsi di superfici riflettenti nelle quali l’uomo contemporaneo può riflettere la propria «Assenza», la propria mancanza ad essere. Una problematica di carattere squisitamente esistenzialistica.

Il tempo può essere percepito ed esperito soltanto come una delle dimensioni dello spazio, e lo spazio è il luogo nel quale si può vivere l’esistenza temporale. L’esistenza è dentro lo spazio e dentro il tempo come una serie di scatole cinesi. Qui siamo posti davanti ad un «tempo interno» che è diversissimo dalla visione retrospettiva e memoriale di un Proust, ma più simile a ciò che nel romanzo hanno fatto narratori come Salman Rushdie con i suoi romanzi Versetti satanici (1988) e Midnight’s children (1981) e Orhan Pamuk con Il mio nome è rosso (2000) e Il museo dell’innocenza (2008). L’utilizzazione dei frammenti nel romanzo moderno è una procedura assodata da tempo, in poesia l’accademismo e la tradizionalizzazione delle forme estetiche ad opera di letterati conservatori, questa nuova forma di pensare la scrittura poetica, per una serie di motivi storici è stata ritardata.

Platone nel Timeo parla del Tempo Cronos come di una «icona in movimento di Aion, come di una «immagine mobile dell’eternità». È singolare che Platone per indicare il «Tempo-Cronos» ricorra alla parola «immagine». Singolare ma significativo in quanto noi possiamo afferrare qualcosa intorno al «tempo» soltanto se ce lo rappresentiamo come una «immagine», cioè attraverso una figurazione spaziale. Chi sogna ad occhi aperti sa molte cose che sfuggono a chi sogna soltanto ad occhi chiusi. La poesia di Mario Gabriele è simile ad un sogno ad occhi aperti. Ne L’interpretazione dei sogni Freud ci dice che il sogno «è una messinscena originaria», anteriore alla stessa distinzione tra «soggetto» e «oggetto». Le immagini mobili che fluttuano sulla superficie riflettente degli attimi temporalizzati della poesia di Mario Gabriele sono messe in scena sostitutive di quella originaria, sono la traduzione di concetti temporali in figurazioni spaziali.
Scrive Giacomo Marramao:

«il tempo baudeleriano si è spogliato di tutte le prerogative spaziali. Per il semplice fatto di costituire una dimensione reale dell’esperienza umana, il tempo vissuto non può assolutamente darsi indipendentemente dallo spazio. Ed essendosi in tal modo spazializzato il tempo, tutta l’esperienza vissuta appare come spazializzata. Anzi: identica allo spazio. Lo stesso tempo può rendersi propriamente visibile, essere ‘sinestesicamente’ percepito ed esperito, solo come una delle dimensioni dello spazio, che viene pertanto complessivamente a coincidere con la stessa estensione dell’esistenza […] Questo movimento è esattamente un movimento prospettico “l’atto con cui, per giungere alla profondità, si apre nel campo visivo una strada che lo sguardo percorre”. Si spiega così il significato recondito delle “magiche prospettive” che Baudelaire dispone nelle sue memorabili descrizioni paesaggistiche e che fa corrispondere le sue analisi delle tele di Delacroix alle proiezioni che l’esperienza organizza nei “quadri” del suo vissuto: “evaporazione e centralizzazione (o condensazione) dell’Io: è tutto qui (Oeuvre, II, 642). evaporazione inebriante e condensazione nel ricordo e nel rimpianto rappresentano i confini, i termini estremi, di un movimento del vissuto che tende a coincidere con lo spazio. Un’esistenza spazializzata è un’esistenza evaporata in numero: “Il numero – sottolinea Baudelaire – è una traduzione dello spazio (ivi, 663). E poiché sempre di spazio vissuto si tratta, anche il numero andrà inteso nel senso di numero vissuto. Sta qui la chiave segreta dell’immagine baudeleriana di “ripetizione”: essa prospetta la virtualità di esperire una moltiplicazione dell’esistenza attraverso un’infinita estensione di campo delle sensazioni. La moltiplicazione dell’esistenza divenuta numero dipende così da quella misteriosa facoltà di ripetere il suo salto lungo tutta la superficie dell’essere: di rimbalzare come un’eco lungo la misteriosa curva di uno spazio tempo i cui confini non sono mai tracciati definitivamente. Non per nulla i versi più belli e significativi di baudelaire sono proprio quelli che esprimono il riecheggiamento:

Comme des longs éclos qui de loin se
confondent…
C’est un cri par mille sentinelle…

Non si dà, pertanto, né reale né possibile esperienza del tempo a prescindere dallo spazio. La grande intuizione baudeleriana circa la costruzione di una profondità di campo quale condizione imprescindibile per afferrare-insieme (null’altro se non questo è il significato di “comprendere”) gli eventi che ci accadono sopravanza, in questo senso, la nozione di “tempo vissuto” di Bergson: non più Spazio come morte del tempo, estinzione della sua fluente autenticità nel rigore esclusivo della misurazione cronometrica, ma spazializzazione come conditio sine qua non per poter fare esperienza…
[…]
Poiché solo all’apparire del “perturbante” si dileguano gli idoli. Exeunt simulacra». Il nostro modo di esistenza ha prodotto la moltiplicazione degli istanti, la moltiplicazione delle temporalità, la moltiplicazione delle immagini. Che cos’è l’immagine? L’immagine è l’istante. Che cos’è l’istante? Per Parmenide l’istante, o meglio l’istantaneo è: «L’istante. Pare che l’istante significhi (…) ciò da cui qualche cosa muove verso l’una o l’altra delle due condizioni opposte [del Passato e del Futuro]. Non vi è mutamento infatti che si inizi dalla quiete ancora immobile né dal movimento ancora in moto, ma questa natura dell’istante è qualche cosa di assurdo [atopos] che giace fra la quiete e il moto, al di fuori di ogni tempo…».

Il modo di esistenza della nostra civiltà ha prodotto una moltiplicazione di «superfici riflettenti» quali sono le immagini nella civiltà telemediatica. Questo processo è esploso in questi ultimi decenni a velocità forsennata ed ha prodotto una profonda modificazione del nostro modo di percepire il mondo; il mondo si è frantumato in una miriade di spezzoni. Fare un processo al mondo per quanto accaduto non è nelle nostre intenzioni, questo della moltiplicazioni delle superfici riflettenti è un dato di fatto incontrovertibile, e Mario Gabriele non altro ha fatto che prenderne atto e fare una poesia di «superfici riflettenti». Questo processo epocale fra l’altro ha prodotto una conseguenza anche sull’idea di Soggetto e di Io. Il Soggetto è scomparso. si è trovato ad essere un fonatore. Anche l’enunciato è qualcosa di diverso dal Soggetto enunciatore, il predicato si è scollegato dal Soggetto. Si tratta di questioni che la filosofia del nostro tempo ha chiarito in modo ritengo sufficientemente attendibile. Fare oggi una poesia del Soggetto che legifera nella sua sfera di influenza, è, a mio avviso, una ingenuità filosofica ed estetica. La poesia dell’Io è un falso, e una banalità. Quanto ai concetti di armonia, di eufonia, di musica, di verso musicale, di poesia e di anti poesia etc. si tratta di concezioni tolemaiche legate ad una visione totemica e ingenua verso la quale mi viene da sorridere; provo addirittura nostalgia per quell’età in cui si scriveva credendo ingenuamente in quelle categorie estetiche. La nuova ontologia estetica di cui qui si parla lascia questi concetti semplicemente come abiti dismessi sulla sedia a dondolo per chi vuole ancora dondolarsi in ozio intellettuale. Pecchiamo di arroganza? Forse. Non lo so. E neanche mi interessa.

Giorgio Linguaglossa

2

Il Decalogo è chiaro, il Codice pure.
I convenuti furono chiamati all’appello.
Chiesero perché fossero nel Tempio.
A sinistra del trono c’erano angeli e guardie del corpo.
Solo il Verbo può giudicare. L’occhio si lega alla terra.
Non ha altro appiglio se non la rosa e la viola.
Un gendarme della RDT, lungo la Friedrichstraße,
separava la pula dal grano,
chiese a Franz se mai avesse letto Il crepuscolo degli dei.
Fermo sul binario n.1 stava il rapido 777.
Pochi libri sul sedile.Il viso di Marilyn sul Time.
– Quella punta così in alto, che sembra la Torre Eiffel cos’è?-,
chiese un turista.
– È la mano del mondo vicina all’indice di Dio-,
rispose un abatino.
Allora, che salvi Barbara Strong,
e il dottor Manson, l’abate De Bernard,
e i morti per acqua e solitudine,
e che non sia più sera e notte finché durano gli anni,
e che ci sia una sola primavera
di verdi boschi e alberi profumati,
come in un trittico di Bosch.
Ecco, ora anch’io vado perché suona il campanaccio.
Ci furono mostre di calici sugli altari,
libri di Padre Armeno e di Soledad,
e un concerto di Rostropovic.
Usciti all’aperto prendemmo motorways.
Nella terra di miti, dove ci si scorda di nascere e di morire,
c’erano cartelloni pubblicitari e blubell.
A San Marco di Castellabate
la stagione dei concerti era appena cominciata.
Il palco all’aperto aspettava il quintetto Gospel.
Si erano perse le tracce del sassofonista del Middle West.
Uno raccontò la fuga d’amore di Greta con Stokowski.
Le passioni minime vennero con gli umori di Medea,
di fronte alle arti visive di Cornelis Escher.
Quest’anno il postino non suonerà più di tre volte.
Et c’est la nuit, Madame, la Nuit! Je le jure, sans ironie.

 

3

Scendiamo nella valle tu ed io
a cercare il lume di Diogene.
-Bernabei- gridai, mentre saliva le scale,
a chiudere porte e finestre:
-il cielo si spacca!-.
Arianna, che di futuro se ne intende,
consultò tavole e papiri,
le centurie di Nostradamus.
-Bisogna stare alla larga dai mesi autunnali-.
Un giorno- disse, – perderemo la casa,
la Moviola d’inverno,
e i Capricci di Paganini.

L’inverno è alle porte.
Costruiranno un pied –à- terre
e rifaranno da capo la dimora.
-Vuoi che venga qualcuno a trovarti stasera?
E chi? Nancy? O il pruno e la rosa? – disse Coralba-.
Scriverò una lettera a Lilian dopo il fumo di Londra.

Nella villa vanno e vengono le odalische di Marrakech.
Fra poco non sarà più la nostra casa.
Tempo che va e tempo che viene.
Quattro mura e una porta blindata
come un museo irreale con anni allo sbando,
mentre discutiamo sulle piccole cose
ora che i fiori sono ingialliti
e non crescono più i semi d’albaspina.
Denise non ha più scritto da Natale.
E’ tardi per un incontro.
C’è un mercato domani.
Qualcuno avrà un anno in meno.
Ci costerà un bouquet
l’insostenibile leggerezza dell’essere.

 

4

La cena fu come la voleva Lilly:
un tavolino con candele e fiori
e profumo Armani.
Le chiesi come stava Guglielmo.
-Di lui- disse, è rimasto un segnalibro
nella notte di San Lorenzo.
Monika, più sobria dopo il lifting,
prese la mano di Beethoven
per un tour Vienna – Berlino.
Declinando il futuro di Essere e Avere
le gote di Miriam si fecero rosse.
Sui muri della U2
splendeva il museo di Auschwitz.
Averna era suggestiva con l’abito blu.
In un angolo giocatori d’azzardo
puntavano sull’eclissi lunare.
-Allora, posso andare, Signora?-
disse la governante.
-Ho chiuso tutte le porte e le finestre.
Può stare tranquilla-.
Raccogliemmo il riverbero di luce
nella stanza con profumo di violetta, e ligustro.
Una serata all’aperto, come clochard
e nessuna chiatta o pagaia alla riva
se non la fuga e il ritorno dopo il check-up.
E’ stata lunga l’attesa nell’Hospital day.
Il truccatore di morte
si è creata una Beautiful House
a pochi passi dal quartiere San Giovanni.
A Bilderberg la povertà si arricchisce di nulla.
Tomasina rivede i conti
con le preghiere del sabato sera.
Un giorno verrà fuori chi ha voluto l’inganno.
Se metti mano all’album vedi solo ologrammi.
Un quadro di Basquiat al Sotheby’s di Londra
ha dato luce all’Africa Art.
Bisogna rimetterla in piedi la statua caduta.

 

5

Il surrealismo, cara, l’abbiamo riscoperto
una sera d’agosto passando in via Torselli.
Erano i barattoli di Warhol
e le tazzine di Keith Haring
più che di un artista sconosciuto;
né sapevi, chiusa com’eri
nel tuo mondo di griffe ed evergreen,
che quella collezione fosse il meglio dell’Art Now
presentata dai signori Baxster
nella Galleria di Jan Buffett.
Ora solo un colore sopravvive in noi,
ed è autunno, prèt à porter.
Lucy seguiva il pensiero di Dennett e Florenskij.
-Perché fai questo?- le dissi.
C’è una stagione per la frantumazione
e una per la resurrezione!
Suor Angelina aveva in mano
le anime degli ottuagenari.
–La sepoltura dei morti? si chiese.
-Parlatene tra voi se vi va bene-.
E rimanemmo tutto il pomeriggio
in una riva all’altra,
facendo il giro del faubourg,
tra vecchie palme, e cipressi ammutoliti,
leggendo i libri della Biblioteca di Alessandria.
Il brahmano disse di stare alla larga dagli embrici.
Erika invitò i sapienti di Villa Serena
ad un cocktail party con brioche e gin-tonic,
perché parlassero della Vocazione di Samuele
e degli Oracoli di Balaam.
La mia anima è una barca,
senza mare e né sponde.
Ci fermammo sotto i portali.
Una voce si levò dal coro.
Iene e leoni fuggirono dal bosco.
Tacquero i muti e i sordi
e quelli che vennero con amore e afflizione
a seguire il flauto magico di Hamelin,
gli oroscopi di Madame Sorius.

 

6

Di te non seppi più nulla
se non fosse stata per una lettera
col timbro UK. Cambridge 2016.
– Egregio Signore,
Miss Olson non è più tornata da noi.
Le spediamo una chiave.
Lei saprà a quale porta appartiene-.
Ora ci tocca trovare l’armadio
e la buhardilla, escaneando fotos,
aprendo file e digital cameras.
Caro Adelfio non leggo più le Fetes Galantes.
E’ un peccato lo so.
E’ come dire che la Olson ha una casa a Portogruaro.
Padre Mingus accetta i cadeaux quando viene a Natale.
Osako ha buttato una vita
per togliere le spore di Nagasaki.
La stanza è clemente
quando escono i vermicciattoli dal muro.
Non ti lascerò andare, mia streghetta del Sud
che hai vestito le pagine bianche di perifrasi varie.
Raymond Queneau ha fissato l’istante fatale.
La domestica di turno ha percezioni notturne,
contatti paranormali. Ghosth!
Fu splendida Cathy quando riferì
di aver trovato nei ripostigli schizzi di Walterplatz,
un ritaglio della strage di Ustica
su una pagina londinese del Daily Mirror.
L’estate la passeremo a Pratolungo
ascoltando la voce dell’acqua,
leggendo Samson Agonistes.

Mario M. Gabriele 

 

8 commenti
  1. “In viaggio con Godot” segue a “L’erba di Stonehenge” (2016) alzando ulteriormente l’asticella a record di inventiva, sicurezza e virtuosismo. Credo si possa ormai parlare di stile-Gabriele paragonando al Fosbury dell’atletica: mai letto niente di simile! Non accadeva da tempo; qualcuno ha scritto da Montale, dalla Rosselli… e io sono d’accordo.

  2. caro Lucio,
    la tua doppia esperienza di poeta e di pittore ha trovato nei miei testi una empatia che ammiro moltissimo. Con Ritratto di Signora, L’erba di Stonehenge, La porte ètroite, In viaggio con Godot e ora, con Registro di Bordo, di prossima pubblicazione, credo di aver dato al Progetto NOE un documento utile alla critica linguaglossiana per validare un ricambio linguistico e poetico, assieme a te, Giorgio, Donatella, Rago, Steven Grieco, Letizia Leone, Francesca Dono ed altri che si riconoscono in questa poetica, che copre con un lenzuolo la faccia tumefatta della poesia del Novecento, ancora barbaramente riproposta nei Blog. E’ nostro compito far avvicinare i lettori a questo nuovo clima, perché è venuta a decadere la scenografia territoriale di certe icone della civiltà agreste e di un meridionalismo estensivo fino alle radici dello sconforto e del rimpianto. L’ uva puttanella, i contadini del Sud, il lirismo oppressivo e nostalgico, ha uniformato la poesia del Novecento, senza alcuna variazione semiologica. E’ nostro compito proseguire con costanza e attitudine se si voglia aprire un nuovo capitolo linguistico, apportando tutte le variazioni possibili, al fine di sfatare pregiudizi e contrapposizione.

  3. per Heidegger il nichilismo è la riduzione dell’essere a valore di scambio. Bene, nel tuo modo di fare poesia tu riproponi il medesimo grande problema del: che ne è dell’essere? Che è rimasto dell’uomo? Che ne è della civiltà occidentale?. Sempre Heidegger ha scritto: «con la conoscenza dell’origine, aumenta l’insignificanza dell’origine». Apoftegma gabrielista direi. Dell’essere, come si vede da queste poesie, non ne è rimasto più nulla. Ciò che rimane lo fondano i poeti, scriveva Hölderlin 150 anni fa. Ciò che resta lo fondi tu, lo fondi con i fondi del caffè, con le briciole, con i frustoli, con i residui… la tua poesia è fatta con i residui e i frantumi di specchi. Forse nessun poeta italiano di oggi è andato a fondo della crisi della civiltà occidentale così come hai fatto tu.

  4. caro Giorgio,
    se non avessi avuto questa sensibilità, che per me è come una sorta di maledizione all’interno della filosofia della crisi, che mi ha portato a vivisezionare la vita, fino all’attimo estremo del non senso, di fronte all’Essere nel Tempo, mettendo in chiaro una cosa sola, la nostra deportazione in un mondo dove non c’è nessun approdo salvifico rispetto al cerchio degli eventi che ogni giorno si chiude su di noi da farci diventare osservatori dei problemi esistentivi ed esistenziali, sempre ontici e ontologici , credi davvero che sarei giunto a formalizzare certi esiti poetici che sono le cose minime che ognuno di noi affronta nel corso della giornata e negli anni? Le cose, gli oggetti, le categorie metamorfiche della Presenza -Assenza, sono utilizzabili soltanto come dossier unificato all’interno del Nulla. Il mondo che conosciamo non ci è stato dato, ci è stato imposto fino a considerare questa situazione come l’assunto heideggeriano dell’essere gettati dentro. Non mi prolungo in queste dannate minidissertazioni, che sono proprie del mio carattere e della mia sensibilità, in quanto anche tu sei sulla mia stessa linea concettuale. E’ per questo che la poesia ha un filo logico di esistenza, nel risalire in superficie dal profondo del nostro ES. Un caro saluto e grazie di questo tuo nuovo riscontro.

  5. «Già ora, nella società dei consumi, il rinnovamento continuo (degli abiti, degli utensili, degli edifici) è fisiologicamente richiesto per la pura e semplice sopravvivenza del sistema; la novità non ha nulla di “rivoluzionario” e sconvolgente, è ciò che permette che le cose vadano avanti nello stesso modo. C’è una specie di “immobilità” di fondo nel mondo tecnico, che gli scrittori di fantascienza hanno spesso rappresentato come la riduzione di ogni esperienza della realtà a una esperienza di immagini (nessuno incontra davvero nessuno, vede tutto sui monitor televisivi che comanda stando seduto nella sua stanza)».

    La tua poesia è la più tipica espressione di quanto andava dicendo Vattimo nel 1985, la tua poesia di immagini è, paradossalmente, la più attuale forma di poesia che si fa oggi in Italia, segna la punta più avanzata di consapevolezza delle questioni estetiche del nostro tempo. Ricordi che una volta ti ho chiesto come, in che modo scrivevi tu le tue poesie? – Mi hai risposto e avrei potuto giurare che mi avresti dato la risposta che poi mi hai dato. Alla tua attuale forma di poesia non ci sei arrivato per caso, io che ho letto le tue poesie di esordio del 1972 (Arsura), ho potuto constatare che scrivevi sì in bello stile ma non eri ancora il poeta maturo di oggi, degli ultimi cinque libri, quindi ci hai impiegato 50 anni per raggiungere il risultato attuale. 50 anni che hanno segnato la stasi della poesia italiana dagli anni settanta ad oggi, fino alla nuova ontologia estetica che abbiamo messo in campo in questi ultimi due tre anni.

    È incredibile tutto questo ritardo, ma nelle arti la stasi accade di continuo, e alla stasi se ne esce solo con una ripresa, con un nuovo inizio…

    1] G. Vattimo, La fine della modernità, Garzanti, 1985, p. 15

  6. Tutto vero ciò che dici. Ci sono voluti 50 anni per arrivare ai 6 libri compreso quest’ultimo Registro di bordo.: anni di esperienze, di lettura, di cambiamento della psiche, di adattamento con il mondo, soggetto primario della nostra indagine. Di più non si può. Bisognerebbe vedere la vita con altri cannocchiali.

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...