L’orrore
(1909)
Mi vidi andar per stanze desolate.
Sul fondo blu danzavano pazze le stelle,
e dai campi ululavano fortissimo i cani,
e tra le foglie in alto il favonio frugava furioso.
D’un tratto: silenzio! Sorda una vampa febbrile
dalla mia bocca fiori velenosi fa sbocciare,
dai rami piove come da una piaga
rugiada povera di luce, e cade, e cade come sangue.
Dall’illusorio vuoto di uno specchio
lento si leva, e come fosse incerto,
un volto dall’orrore e dalla tenebra: Caino!
Lievissima la tenda di velluto dà un fruscío,
dalla finestra, come dentro un vuoto, la luna s’affaccia,
eccomi solo con il mio assassino.
(Traduzione di Furio Durando)
Das Grauen
Ich sah mich durch verlass’ne Zimmer gehn.
– Die Sterne tanzten irr auf blauem Grunde,
und auf den Feldern heulten laut die Hunde,
und in den Wipfeln wühlte wild der Föhn.
Doch plötzlich: Stille! Dumpfe Fieberglut
lässt giftige Blumen blühn aus meinem Munde,
aus dem Geäst fällt wie aus einer Wunde
blass schimmernd Tau, und fällt, und fällt wie Blut.
Aus eines Spiegels trügerischer Leere
hebt langsam sich, und wie ins Ungefähre
aus Graun und Finsternis ein Antlitz: Kain!
Sehr leise rauscht die samtene Portiere,
durchs Fenster schaut der Mond gleichwie ins Leere,
da bin mit meinem Mörder ich allein.
NOTA DEL TRADUTTORE
Nato il 3 febbraio 1887 e morto suicida ventisette anni dopo con una volontaria overdose di cocaina, il salisburghese Georg Trakl è stata una delle voci più alte e tragiche della poesia nella declinante felix Austria di lì a poco travolta dalla catastrofe della Grande Guerra. Coltissimo, e di una cultura disordinatamente ed entusiasticamente acquisita mentre intraprendeva la carriera di farmacista, fu divorato dalla mistica dolente e estetizzante del maledettismo, fu dedito a droghe e alcool e visse una devastante storia d’amore con l’adorata sorella minore, Grete, che si tolse la vita tre anni dopo, travolta dal vuoto e – dicono i benpensanti – dal rimorso. Frequentò Kraus, Loos, Kokoschka, Wittgenstein, anche se forse l’unico che avrebbe potuto illustrare la sua anima, percorsa da dèmoni endogeni e sconvolta dagli orrori della guerra (fu militare nei reparti sanitari sul fronte orientale, in Galizia e Rutenia), sarebbe stato Egon Schiele, col quale tuttavia non ebbe – a quanto risulta – rapporti. L’orrore è un capolavoro nel quale presagio e lucida consapevolezza s’intrecciano, portando il lettore dal paesaggio esteriore, percepito attraverso la sinestesia di visioni offuscate, suoni, sensazioni tattili e gustative in un crescendo spaventoso, a quello interiore, risolto nella scoperta che diviene immediata constatazione: il terrore di quella notte tempestosa, sollecitato da una solitudine assoluta, rivela il destino al poeta, che avverte e scorge dapprima l’immagine archetipica dell’umana volontà di male nel volto di Caino, ma presto vi riconosce il proprio viso. Un destino pari a quello del primo figlio di Adamo ed Eva: rispetto al racconto biblico, Abele è certamente Grete, ma il Caino di Trakl, distrutta l’esistenza della sorella, non può che continuare l’opera con se stesso, fino a una fine senza catarsi, fino a un amaro azzeramento. Il testo tedesco, in endecasillabi a rima incrociata e in forma di sonetto, non presenta difficoltà interpretative, ma è parso il caso di non ingessare la traduzione in un sonetto con pari caratteristiche – esercizio già compiuto da miei predecessori, bensì di lasciar fluire la poderosa forza semantica dei termini impiegati e la nevrotica musicalità delle frasi, intrise di dissonanze degne di un testo schönberghiano, in quanto di meglio poteva corrispondervi in italiano.
Furio Durando
L’ha ribloggato su "LA GROTTA DELLE VIOLE" di Giorgina Busca Gernetti.
densissimo il testo che rende l’allucinata viandanza di un uomo nell’estasi dei tramonti