(originally posted by: “Poetarum Silva”, 10/11/2016)
Luciano Nota, La luce delle crepe
Scrivendo della poesia di Luciano Nota, sottolineavo già in passato il richiamo a una forza primigenia, a una “naturalezza” del profondo, voce archetipica e delle origini, ispirazione autentica, a marcare in modo originale la vocazione dell’autore. Quella notazione critica mi pare confermata con ancor maggiore evidenza nella nuova raccolta pubblicata, La luce delle crepe (EdiLet, 2016), che fa dire a Marco Onofrio nella Postfazione al libro che «Nota è uno degli autori più sinceri e solidi della poesia italiana contemporanea». La luce delle crepe attesta in tutte le poesie che compongono la raccolta una grande forza espressiva, tanto più incisiva perché giocata senza enfasi e senza forzature, in levare e facendo ricorso a un tono colloquiale molto coinvolgente. E il fatto direi fondamentale è che la misura è una qualità innata in Nota, anche se indubbiamente hanno esercitato la loro influenza i molti “classici antichi e moderni” evocati da Dante Maffia nella sua acuta prefazione.
La presenza della natura continua ad avere una potenza fondante in tutti gli aspetti della vita, dal primo decisivo marchio delle origini e della formazione («La mia terra è ciò che incide / duramente il dorso / e nel petto si stagna. / E non sarà mai spina, / ma cima») a ogni altra occasione in cui càpita di aderirvi per una ricarica vitale («Acqua e terra sotto i piedi. / Mi stendo per sentirne l’essenza») e fino alla magia che avvolge sulla scena naturale i corpi degli amanti («Ammaliati. Morire d’amore / al centro di un querceto. / Gonfiarci nel caldo fardello. / Cercarci, rifarci dove prima eravamo, / dove il bosco si apriva / al linguaggio delle malve. / E le querce non parlavano, / spiavano»). Rivolgendosi a un “tu”, sempre evocato con discrezione ma con pungente acribìa, Nota svolge il filo del discorso sui sentimenti intrecciati dentro l’esperienza esaltante e insieme inquietante dell’amore. È «forse perché assuefatto / ai più aguzzi disinganni» che continua «a filare il manto / delle più ardue condizioni.» Ed è (senza forse) perché è poeta e non si priva dell’incanto che continua «a sostenere / il fabbisogno delle larve.» Fatto sta che proprio l’essere poeta gli consente di parlare in modo fulminante e convincente dell’amore, per quel suo riuscire a mettere sotto cristallo senza spegnerla perfino la passione: «Vorrei evitare il dopo, / il dolce stilnovo / con tutte le sue affezioni. / Ti vedo / esteso, acuto, in gioco, / orientato al fuoco / sul drappo verde del divano.»
A realizzare l’incanto del verso è il modo di vedere le cose e di scriverle di Nota, così bene metaforizzato in una sua lampante poesia che ha dato il titolo alla raccolta: «Le cose viste dalle crepe / sono enormemente più belle. / Le scorgo diverse, libere da impegni. / Non hanno peso, ma riposo. / Stanno sopra il capomastro. / Mai voltarsi, mai centrarle. / Sono stive / e per questo assai più vive.» E le sue poesie sono appunto piccole “stive” in cui le cose raccolte sono “vive” perché si portano dietro emozioni e ragioni. Con il suo delicato passo musicale, la dimensione lirica delle poesie di Nota chiama in causa, oltre all’inconscio che detta i suoi messaggi segreti, l’uso pieno dei cinque sensi: l’occhio che coglie i colori, l’olfatto che riconosce gli odori, l’orecchio che distingue i suoni, il gusto che introduce ai sapori, il tatto che sperimenta il pieno e i suoi vuoti. E l’istinto lirico si nutre anche dell’immaginazione e attraversa i sogni, senza mai perdere il riferimento e l’attaccamento alla consistenza fascinosa della realtà fisica. E la poesia sa renderne conto nelle sue variopinte sfumature con una scrittura limpida ed armoniosa, che è il soffio vitale rigenerante che Nota trasmette al lettore.
Paolo Ruffilli
ANNUNCIO
Annuncio che sei agro e subbuglio
un frenetico olimpo di semi.
Precipita sotto la faccia
se stilli e boccheggi
se solo ti esalti di essere foglia.
Il gambo conosci
il fusto più o meno vorace.
È culto nuotare
in quel mare di farro.
ACCETTURA
Fummo ciuffi.
Uno dopo l’altro
in alcun punto poté posarsi il polline.
Fu lo spazio più ristretto,
l’attimo che avvita la luce
il colore.
Chi ti ha lasciato
ha una lenta agonia,
nel costato un senso di chi è stato
sosta e sostanza.
I morti sono i tuoi rami.
Ma non è più stretta quella gabbia
se con un sibilo richiama
l’allodola e l’acquasanta.
SALANDRELLA
L’acqua gonfiava le vertebre
quando si andava al torrente
e da esso sgorgavano nodi
affascinanti di mani.
Qualcuno toccava la terra
altri inseguivano serpi.
Il più bello si assopiva sul drappo
ad un palmo dall’album che gli avevo donato.
Lo svegliavo dopo pochi minuti
alato nella scatola dei colori.
IL PIÙ GIUSTO GESTO
Fu il più giusto gesto
ingrandire il cuore
posizionare l’urlo
ai piedi del cadavere.
(Anni di voci
di abiti ripetitivi
vivi
brividi senza radici).
Lo vedo, lo vedi
quanto fatica il sangue
quanta parte di quel tratto
è bersaglio al senno.
E fu il più giusto gesto
rivedere il ferro
in un metallo più tenero.
LIUTO
Muto, nel silenzio più assoluto
ascolto te che parli ai tarli.
È una regola che tutto muti.
E non par vero che il legno
con le piaghe in eccesso
sia regno, sia liuto.
Luciano Nota