Tre poesie di Arthur Rimbaud da “Illuminations”

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Nel 1871, nella Lettera del veggente Arthur Rimbaud annuncia una nuova poetica: il poeta deve “farsi” veggente, deve coltivare la sua anima a prezzo di “ineffabili torture”, deve distruggerne l’ordine apparente e disintegrarla per ritrovare il caos. Il poeta è colui che attinge l’ignoto, il mistero, l’Assoluto. Il poeta possiede la parola e in questo consiste la sua sfida a Dio, il suo potere demiurgico. Nelle Illuminazioni Rimbaud conduce all’estremo la ricerca di un linguaggio atto a tradurre una disposizione visionaria e onirica. Lo sgretolamento delle forme poetiche è esasperato e il verso è sostituito spesso da una sorta di prosa poetica. Le Illuminazioni  sono da considerarsi il suo capolavoro: esse appaiono come il risultato di ispirazioni diverse, con vortici di esaltazione e abissi disperati, confessioni di un’anima afflitta, non di rado accesa dalla droga. Sono la testimonianza di una poesia altissima, ricca di rivelazioni della sua tormentata esistenza, volta alla conquista di una misura diversa nella poesia e nel sogno, nella vita e nella creazione, che eleva il poeta ad altezze sublimi  per lasciarlo umile uomo tornato alla terra da cui con un colpo d’ala aveva voluto staccarsi.

 

FIORI

Da un gradino d’oro, – fra i cordoni di seta, i veli
grigi, i velluti verdi e i dischi di cristallo che si anneriscono
come bronzo al sole, – vedo la digitale aprirsi su
un tappeto di filigrane d’argento, di occhi e di capelli.
Monete d’oro giallo sparse sull’agata, colonne di mogano
che sostengono una cupola di smeraldi, mazzi di raso
bianco e sottili verghe di rubino circondano la rosa d’acqua.
Simile ad un dio dagli enormi occhi azzurri e dalle
forme di neve, il mare e il cielo attirano verso le terrazze
di marmo la folla delle giovani rose rigogliose.

 

MARINA

I carri d’argento e di rame –
le prue d’acciaio e d’argento –
battono la schiuma, –
sollevano i ceppi dei rovi.
Le correnti della landa,
e i solchi immensi del riflusso,
filano con moto circolare verso l’est,
verso i pilastri della foresta, –
verso i fusti del molo,
il cui angolo è investito da turbini di luce.

 

ANGOSCIA

E’ forse possibile che Lei mi faccia perdonare le ambizioni
di continuo calpestate, – che una fine fra gli agi
compensi i periodi di povertà, – che un giorno di successo
ci faccia dimenticare la vergogna della nostra fatale inettitudine?
(O palme!, diamante! – Amore, forza! – più grande
di ogni gioia e di ogni gloria! – in ogni modo, dovunque,
– demone, dio, – Giovinezza di questo essere: io!)
Che gli incidenti della fantasmagoria scientifica
e dei movimenti di fratellanza sociale siano bene accetti
come progressiva restituzione della libertà primitiva?…
Ma la Vampira, che ci rende gentili, ci impone di divertirci
con quello che lei ci lascia, o altrimenti di essere più furbi.
Rotolare verso le ferite, attraverso l’aria spossante
e il mare, verso i supplizi, attraverso i silenzi delle acque
e dell’aria che uccidono; verso le torture che ridono,
nel loro silenzio atrocemente agitato.

Arthur Rimbaud

(traduzione di Laura Mazza)

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