Tre poesie di Vera Bonaccini da “Little Town Blues”, Matisklo Edizioni. Nota di Roberto Keller Veirana

AAA IMMADi che poesia abbiamo bisogno oggi? Siamo sicuri che dal cappello a cilindro dell’arte sia ancora necessario tirare fuori conigli e colombe? Io non credo. Come non credo che ormai siano necessari eccessi formali e strutturali. I virtuosismi lasciateli a chi ha bisogno di trovare il modo di non dire nulla. Siamo circondati di esegeti della parola, di lacrime destrutturate. Di campionamenti e riletture post-adolescenziali di quarantenni sfatti in cerca di un briciolo di autocommiserazione. La solitudine delle parole è già un prezzo troppo alto da pagare e a conti fatti quelle povere parole non ci hanno fatto nulla e non si meritano così tanta crudeltà. Lasciamo da parte finalmente l’anima bella, “quel mazzolin di fiori che vien dalla montagna” e anche e tutte le turbe da “maledettismi” patinati che oggi affollano il catalogo del quotidiano tediare dell’arte e della comunicazione. Siamo soli. Da soli. O in due o tre. Da soli in compagnia, da soli in gruppo. Da soli in strada, a letto o al cesso. Da soli di fronte all’amore, alla morte o alla bolletta della luce da pagare. Eccola che arriva, allora la poesia di cui abbiamo bisogno. La poesia che è la parola che ci sveglia. Che ci fa da specchio. Che non ci consola e non ci illude. Perché di speranza a basso costo non ne abbiamo più bisogno e ancor meno di poeti che ci raccontino l’ennesima storiellina per farci sentire appagati. E allo stesso tempo nel cortocircuito di parola e senso ci regala anche il suono. Melodia. Nella e della semplicità. Senza sprecare attese.  Perché questo libro, questa raccolta di testi ad opera di Vera Bonaccini altro non è che un piede, un braccio, un fiore, un muro o quant’altro di un corpus che non si definisce in un singolo testo o nell’opera in sé. È parte di un insieme, rizomantico, dove la parola, il pensiero e la necessità d’espressione – non la libertà di parola – trovano il loro senso. La poesia è testimonianza di un accadere dove l’unica consolazione possibile è quella di non esserci persi quel momento. Allora grazie, Vera, per esserti prodigata a raccogliere questi momenti e averceli consegnati, qui e ora, in parole e suoni. Ne faremo tesoro. In attesa della prossima mietitura. Della prossima raccolta. Del prossimo germoglio.

Roberto Keller Veirana

Sofismi

il treno
sottintende l’orizzonte

mischiando i giorni

tra le pagine
asfissianti

del tuo
bovarismo
inconsapevole

tinto
di rossa
lacca alimentare

fotogrammi e stralci
di vite campionate

a cui tutti
date sempre
troppo peso

ed è l’amianto
a soffocare le montagne

che non scaliamo più
per apatia

e la barriera corallina
sopravvive

anche se scordi
il tuo oroscopo alla radio

tanto parla sempre
di sciocchezze

e di incontri
sottomessi a
un karma strano

e il treno
sottintende l’orizzonte

con la noncuranza
tipica del cosmo,

la dose consigliata
per l’oblio
è circa quella
terapeutica
per trenta

e l’orizzonte finisce

– tipo –
a una ventina
di chilometri
da qui

e piove il sole
sottomesso a gravità

tra le lamiere dissestate

di labbra gonfie

masticate
per la voglia.

 

Satori

abbiamo avuto
insieme
dieci anni
tu e io.

campi di fragole
quantiche
in cui
girare
scalzi
e sorrisi dirigibili
colmi
di idrogeno
felice

– caramelle karmiche
di stupore azzurro
inesauribili
a frizzare sulla lingua –

abbiamo
avuto insieme
dieci anni
io e te.
e sedici.
e mille.

 

Tra titolo e tritolo

questa felicità
che ci massacra i denti
nel tramonto iconoclasta
di un febbraio inconsistente

pianeta7 verso pianeti nuovi
gradini e scarpe lente a gravitare
in bulimiche blues-stringhe
d’adamantio,
dentro un cartone di frattali
indemoniati.

e chi lo sa
se tua sorella è ancora in carcere
se questo muro avrà ricordo della mia schiena
se reggeranno i pantaloni fino a sera
se il tempo ha un senso

le parole accatastate
sopra al foglio
pensieri pendolari
su un autobus stracolmo
e c’è la vita, nei tuoi occhi e nelle tasche
che ricoprono le mani
in frenesia.

non vedo il senso del sesso
sublimato, né del rancore
gettato in pasto ai cani,
che non scrivete poesie,
ma bionde biografie
Alka-Seltzer mentali
gusto lime.

Vera Bonaccini

imagesVera Bonaccini (Milano, 1977) vive e lavora in Liguria. Scrive da sempre su tutto quello che le capita a tiro: fogli, scontrini, muri, a volte anche sulle proprie mani. Fa parte del collettivo Nucleo Negazioni, col quale ha pubblicato la raccolta di racconti “Nagasaki Luna Park” (Edizioni La Gru, Padova 2013) e partecipato all’antologia poetica “I ragazzi non vogliono smettere” (Matisklo Edizioni, Mallare 2013). Suoi testi sono presenti su numerose riviste e antologie, fra cui “Guadagnare soldi dal caos” (Edizioni La Gru, Padova 2013). In poesia ha pubblicato “Le stelle sono andate tutte al cinema”, “Biologica al 97% – poesie lomografiche” e “Cartoline da un paese in dismissione” (Edizioni La Gru, 2014). È parte del collettivo letterario Bibbia d’asfalto – Poesia urbana e autostradale e redattrice della rivista digitale Bibbia d’asfalto. Per Matisklo Edizioni è curatrice della collana Vertigini, dedicata alla narrativa italiana contemporanea.

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