Francesco Granatiero, “La chiéve de l’ùrte”, Edizioni Interlinea – 2011, letto da Dante Maffia

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La chiéve

Me lu deciste appéne
arrevéte alla irótte,
ca sté sótte la cénere.

Mó, tatà, a nnòtte a nnòtte,

nde pòzze addummanné
la chiéve addónne sté,
se sté sótte la cénere.

Pochissimi poeti della neodialettalità sono stati così costanti nel perseguire un loro discorso poetico serrato e circostanziato come ha fatto Francesco Granatiero ed è evidente, quindi, che il suo mondo interiore, formatosi negli anni dell’infanzia, ha un accumulo di sensazioni e di esperienze che hanno via via trovato un amalgama perfetto con gli sviluppi successivi incardinandosi in quel fiume sotterraneo che è la voce dell’anima e che cerca il senso del vivere e del morire. Togliamo comunque subito qualsiasi ombra sullo scrivere di Granatiero nel dialetto di Mattinata, in provincia di Foggia. Egli non è un nostalgico che si crogiola dentro il fiato materno, ma un poeta che vuole arrivare al senso primigenio del dettato attraverso i suoni, direi la musica, di un alfabeto che ha respirato con il latte e che quindi è nel suo sangue. Mi sono occupato altre volte di Granatiero e oggi posso dire che l’ho visto crescere costantemente, arrivare a una espressività che sa contemperare in maniera compatta senso e forma, riuscendo ad esprimere al meglio non solo le connotazioni visibili, ma anche quelle dissolvenze che sono sempre in agguato nelle parlate meridionali. Ne La chiéve de l’ùrte si respira un’aria salubre, che ha il sapore autentico di pane appena sfornato, un’immagine per dire al lettore che il poeta non sconcerta i suoi versi per farne un oggetto raffinato ma privo di anima, tutt’altro, egli ordina il dettato con piena consapevolezza organizzando una visione del mondo di Mattinata al di là e al di sopra di qualsiasi tentazione vernacolare. Insomma, Granatiero adopera la lingua di Mattinata alla stessa maniera in cui Shakespeare adopera la lingua inglese o Goethe adopera quella tedesca. Se non entriamo in questa ottica sarà difficile comprendere l’operazione di questo poeta che ormai ha raggiunto esiti importanti e tali da doverlo segnalare all’attenzione non solo dei cultori della poesia in dialetto, ma a tutti coloro i quali leggono in genere poesia. In questo libro, ha ragione Giovanni Tesio, c’è un disegno unitario che rende ogni singola composizione e direi ogni verso una ragione che tende a illuminare anfratti segreti di quella umanità che ormai sembra essersi dissolta e che invece qui trova ascolto e si fa misura di grande umanità. Sarebbe interessante seguire passo passo  le varie poesie per vedere come siano fresche e leggere, sintesi e ragioni di verità accuratamente conservate e fatte lievitare con accenni e sussurri davvero delicati. Per citare ancora Tesio, ogni sua opera “consiste in una serie di corrispondenze e di ritorni (cose luoghi persone) che avvincono l’intera ‘visione del mondo’ alla scansione di un ritmo, alla magia di un destino”. Francesco Granatiero dunque poeta a tutto tondo, consapevole, vero e autentico.

Dante Maffia

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