Marco Belocchi, “Esercizi d’immortalità”, Edizioni Progetto Cultura, letto da Dante Maffia

esercizi-di-immortalitaMarco Belocchi è personalità poliedrica con alle spalle varie esperienze. Ha pubblicato libri di narrativa, di teatro, di poesia con uno sguardo attento al mondo antico, cioè alle fonti della poesia, a quando la parola aveva un peso specifico e non si era intorbidita nella falsità dei “giochi consueti degli incontri e degli inviti fino a farne una stucchevole estranea”, come ha scritto Costantino Kavafis. E che i suoi riferimenti siano situati nella filosofia e nella poesia greca antica è dichiarato esplicitamente dalle quattro sezioni del volume rispettivamente intitolate “Logos”, “Eros”, “Mythos” e “Thanatos”, oltre che dalle citazioni di Plotino, di Esiodo, di Pindaro, di Pseudo-Pitagora e di Empedocle. La bella e dotta Introduzione di Francesco De Girolamo ci accompagna tra le pagine del libro che si muove dentro una circolarità culturale larga e profonda davvero alla ricerca dell’immortalità. E’ come se Marco Belocchi fosse costretto dagli Dei a individuare qual è la ragione per cui si trova dentro la vita, da qui gli “Esercizi di immortalità”, una sorta di assuefazione agli eventi che però non devono mai essere occasione fuggevole, ma approdi di una consapevolezza che il poeta vorrebbe spandere anche sulla donna amata e sugli archetipi che incombono e che dovrebbero essere miti e disponibili per procedere insieme nel cammino della vita. De Girolamo parla di contenuto “morale” e forse ha ragione, perché ognuna di questa poesie è tesa a raggiungere la verità e non per supposizioni o vaghe intuizioni, ma per sentieri veri e ricchi di doviziose occasioni umane e ideali. “Ciondolavo su una strada lastricata di libri” mi ha fatto pensare a Jorge Luis Borges, alla sua ossessione per i libri, a una biblioteca che invade strade, spiazzi, case, parchi, campi sportivi e imponga a ognuno di entrare nella sonorità di un rapporto che non sia soltanto di convenienza e di occasionalità, ma di partecipazione e di ingerenza. Sarebbe molto interessante confrontarci con ognuna delle composizioni per renderci conto che siamo dinanzi a un testo ricchissimo non solo di echi, ma soprattutto di progetti che tendono alla rivelazione di se stessi: “Voci lontane a me presenti, a voi / più volentieri parlo, alla sbiadita / pagina che l’eterno mi racconta”; “… là sul veliero / sulle onde del tempo rapide e snelle / ci inoltrammo lontano, / secoli dopo, nella vita laggiù”. Il linguaggio adoperato da Marco Belocchi ha la capacità di saper cogliere sostanza e sfumature di processi dello spirito che macerano dentro la psiche umana dando apertura a una poesia che vagamente potremmo definire esistenziale, non nel senso in cui i francesi la intendono, ma nel senso più semplice possibile, cioè poesia che cerca la luce negli eventi anche minimi. Si pensi a una poesia come L’incidente per comprendere appieno il senso delle mie parole: “L’incidente è un segno nero / sotto gli occhi, uno sciocco pensiero / che tradisce il torpore / la mano avventata che manca / la mira, la fortuna che gira / a casaccio mutando la vita. // L’incidente in fondo / è una speranza. Sì, la coincidenza / ardita che cambia vita. / Ché la morte non cambia/ nella scarpata. Schizzato di curva / per una frenata”.
Gli esempi potrebbero essere tanti. Dico semplicemente che Esercizi di immortalità nasce da un’autentica vocazione e riesce a fermare momenti inusuali per avvertirci che la realtà muta incessantemente. E molto merito di questi esiti tanto convincenti lo si deve al linguaggio adoperato e alla musicalità dei versi ottenuta con le sette note e, a volte, anche con l’ottava che Marco si inventa per aggiungere senso alle sue immagini e alle sue parole profonde e ricche di verità.

Dante Maffia

1 commento
  1. Grazie Dante per la bellissima recensione e per l’acume critico che da sempre ti contraddistingue. Un carissimo abbraccio.

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