Tre poesie edite di Daniele Cavicchia scelte da Maria Grazia Di Biagio

Foto_CavicchiaNel proporre queste tre poesie di Daniele Cavicchia, mi avvarrò della facoltà di non sciuparle con considerazioni frettolose e sommarie, riservandomi di parlarne in seguito e in modo approfondito. Le affido alle parole del  maestro Mario Luzi, dalla prefazione al primo libro di quella che, a mio modesto avviso, può essere considerata una trilogia dell’essenza ovvero “la” trilogia di Micol, figlia vestita di cielo.

“Sentivo …che mi trovavo di fronte a un artefatto conchiuso appunto nella sua arte: nello stesso tempo avvertivo che non era protervo né riposava nella propria sdegnosa consistenza ma vibrava internamente, come una macchina in moto. Ho evocato, avendoli risvegliati da un lungo letargo, poemi in prosa di più o meno gloriosa ascendenza che mi aiutassero nella definizione: non tanto quelli romantici e ottocenteschi quanto i più moderni da Campana e dai surrealisti in poi; ma il loro possibile modello ha funzionato molto poco, e se mai, superficialmente. Si trattava infatti di entrare all’interno di questa scrittura. Era qui il vero problema. E questa scrittura voleva affermarsi invece proprio come enigmatica, enigmatica essendo non  la modalità ma l’essenza”. “L’inafferrabilità è il proprio della Beatrice dalle sporadiche epifanie almeno quanto lo è la sua sapienza, inservibile in questo mondo, mi par di capire, se non a inquietare e a mettere in incredibili allarmi il suo alunno”.

Mario Luzi

 

Il sorriso

Appena un sorriso gli si donò
smarrì il senso del discorso
e non seppe più navigare
nel mare azzurro di quegli occhi.

Fu silenzio nella stanza, qualcuno si congedava
indicando l’imbrunire, oltre la porta
la costellazione da scoprire.
Allora fu lei che, sfiorandolo, disse
– Forse domani…
– Già, domani; è così che vanno i giorni…
– Questi o quelli?
– Un confine da stabilire
per poterlo oltrepassare…

Lei varcò la soglia
con l’azzurro del suo mare
lui rimase immobile a lisciarsi le tempie incanutite.

Nel buio buio accartocciò parole
tra le dita rinsecchite, quindi volle uscire
ma c’era ancora un porta da inventare
in quell’ora strana di un giorno che non finiva.

(da: La malinconia delle balene – Passigli 2004)

 

Il silenzio

Quello che di te mi resta
è un tutto fatto di sguardi e di silenzi.
Ora non dirmi che questo silenzio
è quello che rimane,
insegnami l’altra lingua
quella che io cerco e tu conosci.

(da: Dal libro di Micol – Passigli 2008)

 

VIII

La signora dell’acqua
ascolta l’uomo che adesso piange
ascolta ma non risponde
lei non sa di essere quello che è,
non sa di essere quello che altri credono.

L’uomo in ginocchio bussa alla porta del tempio,
le lacrime sono sincere, le nocche disperate,
la porta è di marmo e i secoli l’hanno sigillata.
Non sospetta che l’imputato ha la chiave
ignora che nel tempo la forma è mutata.

Nulla è di ciò che era – è inciso sullo stipite –
nemmeno il silenzio prima del creato.
La signora guarda l’uomo e gli sorride,
lui ha un tremito e inizia una preghiera
ma sono parole e per quelle non chiede perdono.

(da: La signora dell’acqua – Passigli 2011)

Daniele Cavicchia è nato nel 1948 a Montesilvano (Pescara), dove risiede. Per la poesia ha pubblicato: Liriche (Pescara, 1969); Per i sentieri di Sion (Jester libri, 1973); Alle porte di Enaim (Bastogi, 1982); Altri sogni (Giardini Editore, 1988); Un dio per Saul (Tracce, 1989); Il Manichino (1993); I dialoghi del paziente (Noubs, 1988); Il custode distratto (Tracce, 2002); La malinconia delle balene (Passigli, 2004, presentazione di M. Luzi); Dal libro di Micol (Passigli, 2008); La signora dell’acqua (Passigli, 2011, presentazione di S. Givone). Ha collaborato a “L’Informatore librario”, a “Il Messaggero” e diretto due riviste letterarie. È segretario organizzatore del premio di saggistica “Città delle rose” e ha curato il premio “Ovidio” e il Festival Internazionale di poesia “Moto Perpetuo” di Pescocostanzo. Sue poesie sono state tradotte in inglese, ungherese, giapponese, ebraico, russo e tedesco.

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