LA VITA IN VERSI
Metti in versi la vita, trascrivi
fedelmente, senza tacere
particolare alcuno, l’evidenza dei vivi.
Ma non dimenticare che vedere non è
sapere, né potere, bensì ridicolo
un altro voler essere che te.
Nel sotto e nel soprammondo s’allacciano
complicità di visceri, saettano occhiate
d’accordi. E gli astanti s’affacciano
al limbo delle intermedie balaustre:
applaudono, compiangono entrambi i sensi
del sublime – l’infame, l’illustre.
Inoltre metti in versi che morire
è possibile a tutti più che nascere
e in ogni caso l’essere è più del dire.
TIMOR DI ME?
Oh, un terribile timore;
La lietezza esplode
Contro quei vetri al buio
Ma tale lietezza, che ti fa cantare in voce
È un ritorno dalla morte: e chi può mai ridere –
Dietro, sotto il riquadro del cielo annerito
Riapparizione ctonia!
Non scherzo: chè tu hai esperienza
Di un luogo che non ho mai esplorato, UN VUOTO
NEL COSMO
È vero che la mia terra è piccola
Ma ho sempre affabulato sui luoghi inesplorati
Con una certa lietezza, quasicchè non fosse vero
Ma tu ci sei, qui, in voce
La luna è risorta;
le acque scorrono;
il mondo non sa di essere nuovo e la sua nuova giornata
finisce contro gli alti cornicioni e il nero del cielo
Chi c’è, in quel VUOTO DEL COSMO,
che tu porti nei tuoi desideri e conosci?
C’è il padre, sì, lui!
Tu credi che io lo conosca? Oh, come ti sbagli;
come ingenuamente dai per certo ciò che non lo è affatto;
fondi tutto il discorso, ripreso qui, cantando,
su questa presunzione che per te è umile
e non sai invece quanto sia superba
essa porta in sé i segni della volontà mortale della maggioranza –
L’occhio ilare di me mai disceso agli Inferi,
ombra infernale vagolante
nasconde
E tu ci caschi
Tu conosci di ciò che è realtà solo quell’Uomo Adulto
Ossia ciò che si deve conoscere;
lei, la Donna Adulta, stia all’Inferno
o nell’Ombra che precede la vita
e di là operi pure i suoi malefizi, i suoi incantesimi;
odiala, odiala, odiala;
e se tu canti e nessuno ti sente, sorridi
semplicemente perché, per ora, intanto, sei vittoriosa –
in voce come una giovane figlia avida
che però ha sperimentato dolcezza;
Parigi calca dietro alle tue spalle un cielo basso
Con la trama dei rami neri; ormai classici;
questa è la storia –
Tu sorridi al Padre –
Quella persona di cui non ho alcuna informazione,
che ho frequentato in un sogno che evidentemente non ricordo –
strano, è da quel mostro di autorità
che proviene anche la dolcezza
se non altro come rassegnazione e breve vittoria;
accidenti, come l’ho ignorato; così ignorato da non saperne niente –
cosa fare?
Tu doni,spargi doni, hai bisogno di donare,
ma il tuo dono te l’ha dato Lui, come tutto;
ed è Nulla il dono di Nessuno;
io fingo di ricevere;
ti ringrazio, sinceramente grato;
Ma il debole sorriso sfuggente
non è di timidezza;
è lo sgomento, più terribile, ben più terribile
di avere un corpo separato, nei regni dell’essere –
se è una colpa
se non è che un incidente: ma al posto dell’Altro
per me c’è un vuoto nel cosmo
un vuoto nel cosmo
e da là tu canti.
Mi consola che ci sia ancora chi propone Pasolini come maestro: condivido e ringrazio.
Certo che è un Maestro, e che Maestro!
Gentile Luciano Nota, la Sua risposta è un ulteriore motivo di gioia per me, ma sa, viviamo nel paese della rimozione collettiva, per cui ogni segnale contrario è, penso, benvenuto ed incoraggiante (mi scuso per l’eventuale generalizzazione che, ovviamente, fa torto a chi invece coltiva lo studio di Maestri come Pasolini).
Cari Antonio, Luciano, e aggiungo Pasquale (pasoliniano anche lui), Pasolini non amava i maestri, quasi quanto i padri. Eppure del maestro aveva tutto e ha infatti fatto scuola. E per molti della mia generazione (ero ancora un ragazzino quando vidi le foto della sua morte pubblicate dall’Espresso) con il tempo è diventato una figura paterna, sia pure con i conseguenti conflitti e dubbi che si nutrono per i padri. In questa poesia che ho scelto, dedicata a Maria Callas, Pasolini parla dell’amore “da padre”, quell’amore che la Callas desiderava da lui e che Pasolini sapeva di non poterle dare. Una poesia che al di là dei contenuti, considero emblematica del Pasolini dopo “Le ceneri”, con i suoi contrasti tematici, d’immagini e di registro, quell’ibrido “sublime” che ne ha fatto di lui, “forza del passato”, uno dei poeti più “moderni” del nostro Novecento.