ODE AL TRADUTTORE INCERTO
Se vuoi tradurmi
e non mi vuoi tradire,
non lasciarti indurre
all’ansia di capire
ma affidati propenso
– almeno per metà
(la testa e il cuore…) –
al tuo più intimo sentire,
facendone lo specchio
del vero gran riflesso,
e interpreta i miei versi
come note…
usa le pagine
come gli spartiti.
Leggi con l’orecchio
nei segni percepiti:
c’è un nesso
tra suono e senso
dentro la parola
ed è la musica
a crearlo per intero,
l’unica che vola
dalla terra al cielo.
Considera te stesso
lettore e ascoltatore
in una volta sola.
Per annunciare l’imminente uscita nella Biblioteca dei Leoni (LCE Edizioni) della traduzione mia e di Tino Sangiglio delle poesie di Costantino Kavafis, “Il sole del pomeriggio”, ho scritto questa lirica ai traduttori delle mie poesie, in cui sintetizzando le modalità da me seguite nel tradurre altri poeti istigavo ad accostarsi ai miei versi con la stessa disposizione musicale di fondo.
Paolo Ruffilli
“e interpreta i miei versi /come note, /usa le pagine /come gli spartiti.”
Hai ragione, Paolo. Ti ho sentito spesso affermare che una poesia è come uno spartito musicale. Il traduttore dovrebbe tenerne conto se la musicalità è uno degli elementi costitutivi della composizione poetica oppure, come affermi ora, “c’è un nesso/ tra suono e senso/ dentro la parola/ ed è la musica/ a crearlo per intero,/ l’unica che vola/ dalla terra al cielo.”
Auguri per il tuo nuovo libro e… in bocca al lupo per le traduzioni!
Giorgina
Questa poesia vale più di ottomila saggi intorno alle “teorie della traduzione”. Proprio per questo io l’avrei ulteriormente spersonalizzata iniziando con il distico “Se vuoi tradurre / e non vuoi tradire”. Per il resto è tutto musicalmente stupendo e quindi “vola / dalla terra al cielo”. Complimenti, Paolo! E auguri per il tuo nuovo libro!
L’ha ribloggato su La distensione del verso.
che ritmo!
che ritmo che si trasmette, gli occhi sono in continuo movimento e restituiscono perfezione…
molti anni fa ho fatto da interprete per Paolo Ruffilli in una conferenza che tenne su Leopardi a UC Berkeley. Ricordo con terrore quando si mise a cantare “A Silvia” e come interprete avrei dovuto seguirlo con la versione inglese (essendo io stonatissima e non avendo la più pallida idea che avrebbe fatto tutto ciò). Mi rimase però impresso il suo discorso sulla poesia come musica. Un bravissimo poeta.