Mal bianco. E il mare – «il mio mare». Si comprende il luogo di questa poesia, la sua nascita energica per quanto dolente, ed energica nel suo dolore, quasi propositiva – Memoria del mare –. Non sono parole e luoghi, anche soltanto questi, d’infanzia? – di memoria d’infanzia, di un possibile o impossibile ritorno a una infanzia vissuta in pienezza, che si legge in filigrana, nella controluce dei versi. All’infanzia ricercata – «Il paradiso è ieri» – corrisponde l’impossibilità. – una impossibilità che si ramifica in un presente infragilito: l’infanzia, il «primitivo sereno», è lontananza ed è distanza, non fuga; è anelito, non irraggiungibilità senza remissione; «certezza di un ritorno» (laddove, per Antonia Pozzi, è «speranza di un ritorno»);
così sia la mia liberazione – /un ritorno eterno all’irremovibile magia /di un preludio felice.
Perché, in questa poesia, la vita sembra perduta, «irrimediabile» (ancora, Antonia Pozzi), e sembra lottare contro il corpo, forse esso più «irrimediabile» della vita stessa? Il restare della vita e nella vita si àncora a quell’infanzia, ne trae lo sprone; e la pervasività gentile dell’acqua, dell’elemento acqueo, rimanda alla protettiva, acquea dimensione della maternità e della nascita, del «ritorno eterno» nella tenerezza del grembo materno – l’«infanzia onnipresente», che continua a resistere, e a purificare lo sguardo della scrittura, a renderlo così viscerale; a rendere vita e scrittura indissolubilmente unite, une, viscerali l’una nell’altra, imprescindibili, reciprocamente necessarie. […]
Matteo Mario Vecchio
Anche il mare è stanco.
Guarda, sembra ansia di dormire
quando tenta all’infinito di tendere a riva
braccia e braccia venate di bianco
di aggrapparsi alle alghe lucenti come ferri.
Ma non ce la fa
ad allungarsi fermo sulla sabbia
a stendersi con tutto il corpo per riposare –
una forza contraria lo trattiene
e lo risucchia verso i propri moti di tormento.
Stanotte il mare
mi ha teso una mano dalle dita già dissolte
perché lo trascinassi via con me…
Non sa il mare di essere inafferrabile
di non poter essere aiutato da nessuno?
*
Scivolano mattine dimenticate
in ogni slabbrata asola dei sensi.
Questo cielo mi commuove
perché mi riporta
non so quale altro cielo
e così il vento – è in un altro vento
il suo incantamento triste.
Sento che esiste
la benedizione del mattino e vorrei fosse anche per me.
Vorrei che il chiasso dei bambini che giocano all’aperto
sfondasse nell’aria la botola del regno
di cui il nostro non trovare pace
è l’inutile cartografia marchiata nel sangue
da un primitivo sereno.
Il paradiso è ieri
un’imperfetta assenza –
oasi che non allucina netta
ma si stende nel corpo
scheletro di vento.
*
L’assenza preme su tutte le pareti
sembra voler far scoppiare la casa –
stringo le ginocchia al petto
faccio finta che la mamma sia seduta in cucina
che oggi sia un giorno di ieri.
La chiodatura abbacinante cede,
la testa rotola via.
Resta un corpo che scrive
anche se non c’è più spazio sul foglio.
Ma non si sfugge alla spada del faro
all’occhio che stronca l’inverno di vetro,
la corazza notturna del mare –
la realtà è un grido spietato:
pianterà più a fondo le unghie nelle viscere
rinverdirà la nostra morte.
*
A che servono i momenti felici
se non a collezionare i ricordi che daranno più dolore?
Ma il ricordo delle nostre passeggiate appare e sfugge
un riverbero sull’acqua in travaglio
un pungiglione d’oro nel fogliame buio:
il dettato della natura in noi si oppone
al rimpianto che la carne dei battiti non regge –
frantuma di nebbia la strada del ritorno
ci strappa a morsi una gran fetta di passione
perché l’intollerabile coscienza abbia buchi di deserto.
E si procede mutilati.
*
Il potere delle parole è colossale.
Demoliscono vite se noncuranti
o nate con intento di lama.
Sono un vento che innalza in cammino
se ci guardano come ciascuna vita va guardata:
in direzione dell’origine e del tutto.
Formano l’ossatura del passo
se snudano un sentire capace di piantare luce e rive
una costellazione di porti
dentro tutta una indefinita lunghezza di tempo –
se parole fondatrici di un noi.
Ma anche le parole che salvano
se non si fanno carne in terra,
artigianato dell’oro nel pane quotidiano,
se non sono catene d’acciaio tra la lingua e il cuore,
uccidono.
Silvia Giacomini
Silvia Giacomini, nata a Busto Arsizio nel 1976, ha pubblicato due raccolte di racconti, Pozzanghere e bagliori e La metamorfosi delle cose, edite da Progetto Cultura nel 2011 e nel 2015, e le raccolte di poesie La sirena discorde (Edizione Ape, 2012), Il sangue del cielo (Italic Pequod, 2014), La tentazione di essere vento (La vita felice, 2014) premiata con menzione al Premio Lorenzo Montano 2015, e Mal Bianco (Ladolfi, 2019), premiata con menzione d’onore al Premio Lord Byron Porto Venere Golfo dei Poeti 2019.Attrice di teatro, dopo aver lavorato per alcuni anni nella compagnia Atecnici di Busto Arsizio e presso altre compagnie di Milano, ha avviato l’attività della propria compagnia “I desideranti”, nome che etimologicamente rinvia alla tensione dell’uomo verso le stelle e l’infinito.Tra il 2001 e il 2004 ha scritto i testi, e partecipato alla rappresentazione, di spettacoli di argomento astronomico andati in scena per il Gruppo Astronomico Tradatese e presso il Civico Planetario di Milano. Nel 2008 ha realizzato uno spettacolo sulla mitologia degli alberi, rappresentato per il F.A.I. a Villa Necchi, al castello di Padernello (Bs) e al Parco Nord di Milano. Da un suo racconto ha tratto il monologo La vestale, che ha debuttato nel 2009 a Milano ed è stato riproposto a Lavena Ponte Tresa, Varese, Buccinasco, Viareggio. Ha realizzato numerose letture sceniche tra cui sui testi di Antonia Pozzi, Piera Badoni, Etty Hillesum e Simone Weil. Dopo aver frequentato la scuola di formazione in Drammaterapia di Lecco, ha partecipato alla conduzione di laboratori di teatro nell’ambito del disagio psichico e della disabilità. Ha seguito i corsi di disegno e di incisione della scuola serale degli Artefici dell’Accademia di Belle Arti di Brera e ha tenuto mostre personali di incisioni a Varese e Milano. Nel 2018 ha partecipato al Circuito Off del Festival di Fotografia Etica di Lodi con una mostra fotografica intitolata Memoria del mare.