Stanza n. 28
La Lubjanka interroga il musicista
I
Le blatte si accalcano sotto la fessura della porta.
Il Signor K. esce dalla notte. Sbatte le palpebre.
Il Re delle blatte esce dal cono d’ombra
ed entra nella luce.
Sbatte la porta ed entra nello specchio.
Esce dallo specchio ed entra nel cono di luce.
Il Dieci di Denari gioca con il dado e la clessidra.
Mostra una ampolla. «Ecco il Covid19, caro Cogito».
Il Re delle blatte indossa la redingote e assume la figura del Dieci di Spade.
Entra il commissario con un occhio di vetro.
Nella stanza attigua, la Vopos interroga la bellezza di Enceladon.
«La bellezza è più logica della verità»,
dice il filosofo.
«La verità, o meglio, la menzogna è più vera della bellezza»,
dice il primo Commissario.
«La menzogna, o meglio, la cosiddetta verità è più vera della bellezza».
dice il secondo Commissario.
II
La Lubjanka ha fatto catturare tutti gli uccelli,
ha disposto che venissero impiccati
Ai rami degli alberi e lasciati oscillare
come idrocaedri al vento del Favonio.
Interrogano il musicista.
Interrogano il Signor Cogito.
Interrogano Bulgakov.
Interrogano Enceladon.
Interrogano Gino Rago.
Cercano «Quella cosa che avete seppellito».
«È colpa del Signor Retro per questi inconvenienti – si rammarica Cogito –
Quel maleducato è sempre indietro di un passo,
rispetto agli eventi. E non c’è ragione che possa voltarsi di lato,
Guarda sempre in avanti. È assetato di futuro.
Folle di vita».
La polizia segreta perquisisce il violino,
smonta la cassa armonica, fa a pezzi l’archetto.
III
Lanterna rossa. La Lubjanka ha convocato il violinista
negli uffici della Vopos.
La tigre bianca siede sulla scacchiera rossa.
La tigre sorride.
Il Signor Retro mastica un chewingum.
Il Signor Prius lecca un gelato alla panna.
Una copia della Gioconda mi osserva dalla parete.
Il Commissario con l’occhio di vetro sorride.
Hanno interrotto le perquisizioni.
Hanno requisito il violino.
Hanno perquisito Enceladon.
Hanno inquisito il Signor Cogito.
Hanno divelto la porta rossa e la chitarra azzurra.
Hanno abbattuto le pareti.
K. piega le sue ali nere dietro le spalle.
Dice: «Herr Cogito, il violino non ha colpe».
«Non c’è nessuna refurtiva, qui.
C’è un solo colpevole. È lei il colpevole».
Giorgio Linguaglossa
Giorgio Linguaglossa è nato a Istanbul nel 1949 e vive e Roma. In poesia ha pubblicato nel 1992 Uccelli (Scettro del Re); nel 2000 Paradiso (Libreria Croce). Ha tradotto poeti inglesi, francesi e tedeschi tra cui Nelly Sachs e alcune poesie di Georg Trakl. Nel 1993 fonda il quadrimestrale di letteratura «Poiesis» che dirigerà fino al 2005. Nel 1995 firma, insieme a Giuseppe Pedota, Lisa Stace, Maria Rosaria Madonna e Giorgia Stecher il «Manifesto della Nuova Poesia Metafisica», pubblicato sul n. 7 di «Poiesis». È del 2002 Appunti Critici – La poesia italiana del tardo Novecento tra conformismi e nuove proposte (Libreria Croce, Roma). Nel 2005 pubblica il romanzo breve Ventiquattro tamponamenti prima di andare in ufficio. Nel 2006 pubblica la raccolta di poesia La Belligeranza del Tramonto (LietoColle).
Per la saggistica nel 2007 pubblica Il minimalismo, ovvero il tentato omicidio della poesia in «Atti del Convegno: È morto il Novecento? Rileggiamo un secolo», Passigli. Nel 2010 escono La Nuova Poesia Modernista Italiana (1980–2010) EdiLet, Roma, e il romanzo Ponzio Pilato, Mimesis, Milano. Nel 2011, sempre per le edizioni EdiLet di Roma pubblica il saggio Dalla lirica al discorso poetico. Storia della Poesia italiana 1945 – 2010. Nel 2013 escono il libro di poesia Blumenbilder (natura morta con fiori), Passigli, Firenze, e il saggio critico Dopo il Novecento. Monitoraggio della poesia italiana contemporanea (2000–2013), Società Editrice Fiorentina, Firenze. Nel 2015 escono La filosofia del tè (Istruzioni sull’uso dell’autenticità) Ensemble, Roma, e una antologia della propria poesia bilingue italiano/inglese Three Stills in the Frame. Selected poems (1986-2014) con Chelsea Editions, New York. Nel 2016 pubblica il romanzo 248 giorni con Achille e la Tartaruga. Nel 2017 esce la monografia critica su Alfredo de Palchi, La poesia di Alfredo de Palchi (Progetto Cultura, Roma) e nel 2018 il saggio Critica della ragione sufficiente e la silloge di poesia Il tedio di Dio, con Progetto Cultura di Roma. Ha curato l’antologia bilingue, ital/inglese How The Trojan War Ended I Don’t Remember, Chelsea Editions, New York, 2019
Sostiene lo stesso Giorgio Linguaglossa:
“La differenza tra un poeta NOE e un poeta normale è questa: quando un poeta NOE prende una parola (ad esempio: tavolo, giacca, lampadario, finestra, porta, comodino, aereoplano etc.), il primo sa, avverte che dentro la parola e al di fuori di essa c’è il «vuoto», il «nulla»; il secondo invece prende quella parola come un pieno, una rotondità. Questo è l’elemento più importante. Tutto in resto verrà da sé. È questa sensazione di forte disagio che apre la parola come un guscio. Questa esperienza è terribile, ti comunica insicurezza, mina ogni certezza, ti rende edotto che in ogni parola che impieghi si apre una voragine, un abisso… E sei preso da vertigine. Che tutta la scala di valori di cui le parole tradizionali e tradizionalmente intese erano portatrici è precipitata nel nulla, si è dissolta, frantumata, e che un poeta ha a che fare soltanto con delle parole che sono gusci vuoti, e che sono gusci vuoti anche i valori di cui quelle parole erano e sono portatrici.
È chiaro, penso lampante che da questa esperienza vertiginosa quel poeta non potrà più «usare» un linguaggio descrittivo, epifanico, eufonico, seduttivo, non potrà più affidarsi al salvagente del significante o del significato perché non avrà più a sua disposizione nessun salvagente e nessun ormeggio. Non gli rimarrà che un linguaggio inter-fanico, inter-patico, inter-fenomenologico…”
Da tali affermazionei alla poetica delle parole abitate, all’estetica della dis-trazione, alla poetica dell’interferenza emergenti dal polittico che Giorgio Linguaglossa su Erato di Luciano Nota con-divide con chi frequenta questo fruttifero blog il passo è davvero breve:
“[…]
La Lubjanka ha fatto catturare tutti gli uccelli,
ha disposto che venissero impiccati
Ai rami degli alberi e lasciati oscillare
come idrocaedri al vento del Favonio.
Interrogano il musicista.
Interrogano il Signor Cogito.
Interrogano Bulgakov.
Interrogano Enceladon.
Interrogano Gino Rago.
Cercano «Quella cosa che avete seppellito».
«È colpa del Signor Retro per questi inconvenienti – si rammarica Cogito –[…]”
(gino rago)
Che poesia, Giorgio!
Wow!
Che forza innovativa in pieno Covid19, fa presagire un paesaggio poetico totalmente altro da tutto ciò che è già irriducibilmente spento.
Se penso ai miei testi, rileggerli è come riesumare le salme dalle tombe, sanno di muffa e cose vecchie, arrugginite…
Grazie Giorgio 🙋🏻♀️🌹
cara Luigina,
la mia poesia non è scritta per piacere ai tradizionalisti, anzi, spero che non piaccia a nessuno di loro. Se piace a tutti vuol dire che non vale nulla. Spero che dispiaccia a molti.
Grazie cmq per il tuo sostegno.