Pensavo che Claudio Magris ( fine saggista, critico letterario, romanziere, letterato a tutto campo) per i suoi ottant’anni si fosse concesso l’ultima importante fatica letteraria, i cinque splendidi racconti, uniti dal titolo del racconto eponimo Tempo curvo a Krems, con le sue affabulazioni su un tema unico, quello della vecchiaia, quasi a fare il punto conclusivo della sua vasta narrazione e forse della sua vita. Ma non è così. È uscito all’inizio di dicembre 2019, per La nave di Teseo, il nuovo libro dell’autore triestino dal titolo Polene, che ha per tema le mitiche figure che sfidano i mari, spesso gigantesche, intagliate nel legno massiccio, poste sulla punta dello scafo con lo scopo di indicare il nome della nave che la ospitava a persone che spesso non sapevano leggere . Sono l’anima della nave, gli occhi del mare, per lo più volti femminili misteriosi e fatali, corrosi dal tempo e dal maltempo, con occhi attoniti che vedono quello che il marinaio non vede e sta per avvenire, occhi spalancati su catastrofi indecifrabili. Nascono da un’arte umile, imbevuta di sacralità, sono mangiate dalle onde e dalla salsedine, scavate fino a perdere la sembianza umana.
Ed è un nuovo viaggio, che mi pare chiuda un vastissimo itinerario ciclico che l’Autore ha percorso per tutto l’ itinerario narrativo della sua impegnata vita letteraria e di ricercatore attraverso letteratura, arte e leggenda, ricollegandosi e chiudendo il primo splendido esperimento narrativo, che abbiamo avuto a suo tempo la fortuna di leggere, Il “Conde” , un romanzo brevissimo, anzi un racconto lungo, del 1993, dove forse per la prima volta entrano nel suo orizzonte narrativo i temi del mare, dell’acqua e delle polene. Cosa sono le polene?, chiede il lettore curioso e l’Autore risponde al termine del suo viaggio di indagine e ricerca: “ la polena sboccia dal legno, è un suo elemento, e insieme dall’acqua, il vento le dà ala, rende ariosa la sua figura e i veli che la coprono, ma non la travolge e non la schianta; la polena è uno schermo fra il navigante e il sublime che lo circonda da ogni parte. ..lo sguardo della polena è stupore, da cui nasce la poesia, malìa delle cose viste la prima volta o come se fosse la prima volta.” Spiegazione che è poesia. Infatti per spiegarci il suo fascino inquietante ma severo, ricorre ai versi di Ippolito Pindemonte che sono nati per illustrare non la polena, ma la Ebe del Canova, ma sono versi che sanno ricreare e mantenere il perfetto equilibrio tra il movimento delle onde e l’immobilità del mare sereno sul quale solamente vivono la loro vita le polene.
E la gonna investir che frettolosa
Si spiega ondeggiando e indietro riede.
E natura, onde legge ebbe ogni cosa
Che pietra e moto in un congiunto vede
Per un istante si riman pensosa.
E commenta: “Si tratta di una fascinazione che mi sono trascinato per lungo tempo e che alla fine ha visto la luce non tanto sotto forma di invenzione quanto di resoconto tra storia, arte minore e psicologia”. Per anni, quando ha potuto, ha visitato i luoghi dove le polene erano state raccolte o ammassate: il cimitero delle polene alle isole Scilly, davanti alla Cornovaglia, a Tresco, i musei a Greenwich, a Parigi, ad Anversa, a Brema, a Portsmounth, a Newport in Virginia, il museo navale di La Spezia…
Ciascuno di loro con caratteristiche diverse, come quello di Tresco, un paradiso dell’aldilà, voluto da Augustus Smith, in mezzo a una vegetazione tropicale, nonostante la dislocazione nordica dell’isola, o la collezione Mursia, attualmente a Milano, esteticamente conforme al suo raccoglitore, l’editore milanese Ugo Mursia, innamorato del mare, editore e traduttore di Conrad…. Sono l’ espressione di artisti-intagliatori che riflettono la loro storia, la loro cultura, come quelle pagane-cattoliche, barocche ed eccessive, francesi, volute dal Re Sole, che il Colbert cercava di frenare, o quelle classicamente stilizzate di Rush, tipiche della cultura americana, espressione dello spirito di indipendenza orgogliosa che non vuol copiare dalla vecchia Europa, poste nella zona di Salem, evocativa dei processi di stregoneria e di fanatismo puritano. Ma la prima polena col suo carico di bellezza, fascinazione e di morte è quella che segna la sua presenza nel Conde: “…non m’importa da dove uno viene… stavo seduto a poppa e guardavo quegli occhi socchiusi e quel sorriso che mi canzonava dall’acqua. Forse le parlottavo tra me e me, che c’è di strano, tanti in chiesa parlano alla Vergine di legno bianca e celeste e solo uno stupido può ridacchiare delle donnette che biascicano e non son certo peggio di me…
Quando stavamo per arrivare…, il Conde mi guarda e dice: < Questa la useremo come legna per il fuoco, ma la testa me la porto a casa e la ficco davanti alla porta>, e tira fuori l’accetta. Io mi sono solo alzato e gli ho detto no così, semplicemente, ma deve aver capito che bastava ancora una parola e non so cosa sarebbe successo ed è rimasto zitto, anche quando poi, a riva, l’ho tirata su, me la son presa in braccio, grande e pesante com’era, e l’ho portata qua.. E così io , che ho tenuto la testa bassa quando si è trattato di Maria e della Giba e ho perso la mia vita come una partita a carte, ho mostrato chi sono con questa qua, una figura di legno…L’ho sistemata là, come vedete, e quando mi faccio la cena e la fiamma le accende il viso, la osservo con calma, cerco di capire dove guardano quegli occhi un po’ obliqui e guardo anch’io da quella parte…per vedere se c’è qualcosa e la fiamma si alza e s’abbassa , il viso cambia e sorride di quegli inutili cambiamenti … Ogni tanto mi verrebbe la voglia di attaccare la polena sulla barca e mettermi in alto mare per chissà dove, poi rido, si vede che comincio a diventare vecchio e a perdere colpi… a me non dispiace che le cose diventino sempre più uguali, e tutto è bene quel che finisce bene o anche solo che finisce.”
La misteriosa polena rimanda comunque a ciò che è venuto dal mare, la malinconia, la sensualità e la bellezza della vita, la perdita, la morte, quale avrebbe potuto essere quella del barcaiolo. Nel capitolo finale Magris riconosce che la polena ha avuto anche a che fare anche con l’altro suo romanzo, Alla cieca, dove narra in un dedalo di vicende della donna di Traù, la donna, la polena seminuda ed aspra, posta nell’atrio del palazzo di Cippico, il protagonista camaleontico. Questa donna viene identificata, alla stregua dei personaggi maschili, con diversi nomi nel corso di tutto il libro, ma è particolarmente interessante evidenziare il parallelo, delineato dall’autore, con la polena, imperturbabile: che ha il ruolo di esorcizzare, con i suoi vuoti occhi, tutte le paure e le incognite di un viaggio per mare, la polena che aveva ornato la galea nella battaglia di Lepanto, che si ripresenta al marinaio-narratore, privo di ogni polena, che procede ormai alla cieca, senza ideali, senza amore, senza nemmeno sapere più chi sono i nemici: “ uno dei volti, moltiplicati nel delirio del protagonista, dell’amata e colpevolmente perduta figura femminile”…Polena poi rubata, quasi fosse un rapimento. Romanzo complesso, il quale, dice l’autore, “ non sarebbe nato…senza una casuale e decisiva visita al Museo del Mare di Anversa. Quei volti tragici, quegli occhi veggenti e atterriti ma anche impavidi che scorgono chissà quali catastrofi in arrivo invisibili per gli altri… mi hanno fatto sentire il ritmo che la narrazione doveva avere…” Il museo di Anversa con le sue polene consunte, fatiscenti, segnate dalla storia, infatti ha fatto intuire l’orrore visto dalle polene nei loro enigmatici viaggi. Un capitolo conclusivo – le polene e le Muse- ci ricorda alcuni scrittori di fama che si sono cimentati con l’argomento, a cominciare da due poeti sudamericani Pablo Neruda, che nell’isola Negra, la sua ultima dimora, aveva raccolto e cantato (Canto general, 1950) le polene che l’Oceano gli conduceva a riva:
“Sulle sabbie di Magellano ti raccogliemmo affranta/navigante, immobile/ sotto la tempesta che tante volte il tuo dolce petto/ sfidò e in due capezzoli divise”.
E Juan Octavio Prenz, lo scrittore croato-argentino vissuto a lungo a Trieste, che alle polene ha dedicato parte della raccolta Figure di prua (La nave di Teseo 2019), di cui Magris scrive: “A Ensenada de Barragán, fra Buenos Aires e La Plata, c’era, sino agli anni Cinquanta, un cimitero di barche e di polene. Forse Juan Octavio Prenz è diventato poeta guardando, nella sua infanzia, quei volti femminili misteriosi e fatali, corrosi dal tempo e dal maltempo, quegli occhi attoniti e spalancati su catastrofi indecifrabili, quelle figure che sulla prua si erano protese in avanti, verso il mare aperto, e marcivano a poco a poco nell’acqua stagnante della baia e nella pioggia, difendendo ostinatamente e vanamente dalla morte la loro forma, il loro nome, le storie aspre e favolose legate alla loro figura, alla barca che le aveva portate sui mari, ai destini dei loro equipaggi.” Inoltre dedica spazio al nordamericano Henry Wadsworth Longfellow, (The Building of the Ship) le cui polene riproducono rassicuranti fattezze domestiche, pur mantenendo una nota inquietante, il volto della natura e dell’ignoto, (quello della figlia del capitano), a Nathaniel Hawthorne, (Figura di prua) che corteggia la parabola del mistero della creatività nella figura dell’intagliatore Drowne che raggiunge il massimo della sua arte nell’innamoramento per la bellissima polena che sta intagliando e che, una volta perduta, ripiomba nel nell’apatia.
Passa a famosi scrittori europei , ricordando C. Andersen, della novella Holger il danese, ispirata a un intagliatore di polene, quella del mitico eroe, con la sua lunga barba, la spada e lo stemma di Danimarca, e i tre cuori, una delle meno drammatiche novelle dell’Autore, una polena al maschile, polena augurale, salvatrice, oggetto di racconti bonari e famigliari, ricorderà ancora quella drammatica di Günter Grass , ne Il tamburo di latta, una Niobe seduttrice, aggressiva, erotica, crudele ed inquietante,incorruttibile e indenne al logoramento del tempo, misteriosa che induce all’autotortura, che semina rovina, come quella di Karen Blixen, legata al binomio di amore e morte è la polena di Peter e Rosa, in uno dei Racconti d’inverno di Karen Blixen: è la storia di una figura di prua fatta scolpire da un capitano con le fattezze della moglie molto amata, che se ne ingelosisce al punto da togliere le preziose gemme usate per gli occhi sostituendole con due vetri. Si accorgerà però che lei stessa, sta diventando cieca, mentre la nave si va a sfracellare contro una rupe, affondando con tutto l’equipaggio. Una donna diventata polena, mare, crudele, lontana, salmastra e spumeggiante proprio come il mare. Polene: figura che stanno al fondamento dei racconti di Magris, …un angelo catastrofico alla Klee, col volto dell’Angelus Novus, e il mito classico, tra Cassandra inascoltata ed Euridice, la figura del non ritorno.
Maria Grazia Ferraris
Magnifica , coltissima e struggente lettura, seducente il soggetto..